martedì 4 settembre 2018

Volete andare in Albania? Consigli solo pratici. Il resto lo trovate su qualsiasi Guida......

Una vacanza in Albania può essere concepita anche con il proprio mezzo di locomozione, unica avvertenza stipulare una assicurazione RCA in entrata dato che la nostra carta verde non copre il territorio albanese: costo 49 euro (estate 2018). Le formalità sono minime, si può chiedere al doganiere di confine. La registrazione alla frontiera in entrata e in uscita è a volte lunghetta. Abituati ormai alla scomparsa delle frontiere europee che i nostri politici attuali con le loro dissennate velleità autarchiche vorrebbero reintrodurre con l'uscita dall'Euro, ci sembrerà noiosa lungaggine tutto il battere dati sul computer e la scannerizzazione della carta di identità. L'assicurazione è comunque consigliabile tenuto conto di come si guida in Albania, tra biciclette che zigzaggano in ogni senso spesso contromano, pedoni che attraversano al di fuori di strisce pedonali, il tutto comunque con tranquillità senza strombettii di clacson o proteste. C'è da dire che in una settimana non ho mai visto un incidente neanche minimo. La benzina costa come il diesel in genere 174 lek ovvero circa 1,40 euro. Una cosa che salta all'occhio è il numero impressionante di distributori lungo le strade, impossibile restare a secco qui. Le strade. Sulla questione fondo stradale la qualità complessiva non è male, molte eccezioni inaspettate e imprevedibili sono rappresentate da statali con buche spaventose e banchine impercorribili con medie sui 20/30 km ora. Per esempio la statale  che collega Berat ad Argirocastro prima di Fier è una di queste… Le distanze in Albania vanno calcolate usando costantemente Google Maps. Buona norma è a casa col Wifi scaricare le mappe dell'area che si potranno utilizzare offline comodamente. Scopriremo così spesso che 150 Km, qui, si percorrono in due ore e mezza   se non di più….. Le superstrade sono comunque rare:  anche su queste è bene guidare con prudenza perché non sarà raro vedere pedoni che con masserizie le percorrono ai lati o motociclisti (rigorosamente senza casco) in contromano, anche se ai bordi…. Come si legge sulle guide e sul web, a stupire è la gentilezza delle persone che si fanno in quattro per darvi una mano o un consiglio, disinteressato, in caso di bisogno. Pochissimi i questuanti per strada, moltissimi i rivenditori di piccole cose dagli alimentari, ai vestiti usati o alle piccole e povere cose.
Mangiare in Albania non è un problema: cucina a base di carne e spesso anche pesce, con influenza di vario genere dal greco al medio orientale. Cucina saporita proposta a prezzi per noi italiani molto conveniente. Vi capiterà spesso di cenare con meno di 20 euro in due. Viaggiare in Albania è rilassante anche perché ci si può concedere una pausa di relax (birra, cappuccino, un semplice espresso tra l'altro ottimo) con pochissima spesa tranquillamente seduti al bar. In Albania i bar, caffè, a volte strutturati in modo semplicissimo, sono numerosissimi e sempre hanno qualche avventore seduto. I negozietti di frutta e verdure sono molto economici, vale la pena di acquistare con poco delle ottime pesche, uva, pere sempre molto saporite.
Un'altra fonte di stupore, questa un po' meno positiva è l'alto tasso di randagismo canino nelle città e nelle campagne. Raramente in branchi, queste povere bestie (a volte non è raro trovarle morte ai lati delle strade, investiti da auto) si aggirano o riposano all'ombra sempre con una penosa aria di rassegnata consapevolezza. Non sono comunque pericolosi, mai. Quasi tutte le notti dalle camere d'albergo dove dormivo, il sonno era preceduto dall'abbaiare lontano di qualche cane, anche nella capitale
La mia prima impressione, entrando nel paese dal Nord non è stata entusiastica. Case senza intonaco, spesso ad un solo piano con i pilastri di cemento armato in bella vista, di progetti mai portati a termine. Spesso si incontrano in campagna come in città case in rovina con tetti crollati e muri pericolanti. Il concetto di sicurezza qui nel paese non è quello in vigore (talora persino eccesivo, va detto….) da noi. In aree museali storiche (castelli, cittadelle ecc) è facile vedere baratri non protetti e mura su precipizi privi di qualsiasi protezione. Il buon senso (virtù talora poco conosciuta nei cosiddetti paesi civili) qui è indispensabile. Passati i primi momenti, però poi ci si abitua gradualmente al diffuso degrado, alle macerie in bella vista, all'immondizia sparsa ovunque, alla polvere e ad altre cose non piacevoli per il turista. Nella capitale, a Tirana si vedono grandi sforzi per dare dignità al paesaggio. Il lavoro del sindaco socialista Edi Rama è stato negli anni notevole e la sua lotta alla corruzione, alla sfacciata inettitudine di molti suoi feroci oppositori politici è encomiabile.
Una delle cose che più mi hanno colpito lungo le strade è il numero impressionante (non decine ma centinaia) di cippi funerari che ricordano persone decedute in incidenti: tempietti, lapidi in marmo con o senza fiori, spesso di gusto pessimo, molte in curva o nei tratti montani dove l'assenza di validi parapetti rende un incidente quasi di sicuro mortale. Pare che la mancanza di una vera educazione stradale sia alla base di comportamenti scriteriati: la patente viene rilasciata, mi si diceva, con estrema facilità per di più da persone non competenti né abilitate.


 Dormire costa poco, se si vogliono standard europei bisogna però preventivare una doppia a non meno di 60/70 euro. Per chi non ha grandi esigenze (personalmente per esempio non ho grandi pretese culinarie ma devo soggiornare in hotel sempre confortevoli e puliti) abbondano le sistemazioni super economiche a poche decine di euro a notte. Bookimg com è da anni il mio punto di riferimento nella scelta.
Mi sembra di avere detto tutto. Gli euro sono quasi sempre graditi ma conviene di certo prelevare dai diffusi ATM col Bancomat. I sistemi VISA e MASTERCARD sono presenti su tutto il territorio. Ricordate però che spesso non è possibile usare la carta di credito. In alcuni hotel una percentuale aggiuntiva al conto sui 3-4% viene addebitata per la copertura delle spese. Rassegniamoci, fino a che il sistema assurdo delle banche di far pagare l'uso della carta non sarà calmierato, è legittimo non rimetterci da parte dei commercianti.
La lingua. L'italiano è diffuso ma non come si legge sul web. L'inglese comunque toglie ogni problema.
Quindi buon viaggio. Non partite aspettandovi meraviglie ad ogni angolo. L'Albania è bella, non meravigliosa come si vuol, far credere! E' un paese che si sforza di crescere in modo onesto, con ancora molti problemi da risolvere, il tenore di vita non è dei migliori, si vive con una media di 250 euro pro capite e le spese quotidiane per i servizi non sono bassissime. Corruzione e malavita sono ancora un aspetto critico della società albanese...

venerdì 15 giugno 2018

Marcel Proust, una passione.

La mia passione per Proust nacque nel 1965 quando al liceo il professore di italiano, istituì una piccola biblioteca di classe. Non era la prima volta che accadeva, già alle elementari una iniziativa simile mi aveva avvicinato a 20 mila leghe sotto i mari e agli altri piccoli capolavori per l'infanzia.... La sostanza era identica, a cambiare solo i titoli... Tra i vari libri mi colpì la copertina che raffigurava una teiera con dei biscotti disposti in bella mostra su un vassoio. Non sapevo ancora che l'immagine non era propriamente fedele al testo... al posto della famosa madeleine c'erano infatti dei petit fours alla mandorla...
Folgorato da quel primo volume mi procurai i restanti nell'edizione classica Einaudi del 1946. Se la Strada di Swann aveva come traduttrice la Ginzburg, la successiva traduzione di Raboni del 1983 mi sembrò molto più simile nella musicalità al periodare proustiano. Il difetto dei volumi Einaudi risiedeva nella molteplicità dei traduttori (ogni volume un traduttore diverso) e nel fatto che risentiva degli anni (ormai 60!): la lingua e le parole mutano.


Il mio amore profondo per il testo proustiano mi ha portato poi a comperare l'edizione Gallimard della  Recherche, che confesso di non avere letta interamente, ma a spizzichi, un pò come penso si può leggere un test biblico o come, più modestamente, un livre de chevet. Non ho difficoltà ad affrontare il periodare di Proust e questo mi ha permesso di assaporare pagine memorabili che in italiano perdono fatalmente (e incolpevolmente) l'essenza intima della loro musicalità. Negli anni, soprattutto, nel decennio 1980/90, ho arricchito costantemente la mia biblioteca proustiana con saggi e biografie che spaziano dagli anni '20 agli anni recenti. A volte con temi particolari (Proust e la musica, Proust e la pittura, Proust e l'architettura), a volte testi squisitamente linguistici, a volte rivisitazioni di biografie. Anche qui la lettura non è stata condotta razionalmente e in profondità: a parte il piacere feticistico del rinvenimento di una edizione ghiotta (come quella autografa di Robert de Billy del 1930) a volte mi è stato sufficiente lo sfogliare qua e là un testo cogliendo un particolare interessante e cedendo magari le armi di fronte alle difficoltà di analisi troppo specialistiche. Alcuni testi poi mi son risultati ostici al punto che a fine volume non avrei saputo dire cosa l'Autore avesse voluto dire. Non ho coltivato questa passione in maniera costante, per anni i volumi (una settantina circa) sono stati lì, confinati in un settore dedicato della libreria, spolverati, osservati ma non più aperti. Ultimamente, ho per caso preso in consultazione in biblioteca il Proust in love di Carter che tratta l'aspetto della sessualità dell'autore. Di sicuro per omogeneità e trattazione è il saggio sull'argomento più esaustivo. Ad ogni buon conto ho acquistato su Amazon il Marcel Proust: Du coté de la médecine di Soupault del '67... che leggerò per avere un confronto, anche se penso che quest'ultimo sia più circoscritto agli aspetti della malattia che afflisse per tutta la vita Marcel, l'asma. Di sicuro il nostro sguardo disincantato unito all'evoluzione della medicina, ci consente oggi di sorridere ai tentativi ingenui di classificare l'asma che affliggeva Proust. A fine '800 essa era considerata una "nevrosi consistente in crisi di dispnea spasmodica, spesso accompagnata da turbe vaso-secretorie delle mucose delle vie aeree"
A Proust non sarebbe piaciuto ma in fondo Saint Beuve aveva ragione: la creazione letteraria di un artista affonda nel suo quotidiano ed ha nella "biografia" la sua ragion di essere. E' noto che Proust, calato in un contesto familiare (e sociale) molto tradizionale, ha cercato in ogni modo di celare la sua omosessualità. In un gioco di buone maniere e di profonda ipocrisia, ha sempre difeso con massima convinzione (anche con un duello portato a compimento ed altri minacciati) la sua ostentata normalità, salvo poi trasfondere nella Recherche tutto quanto la sua vera natura reclamava a gran voce. E' certo che sia la madre che il padre, e quindi anche il fratello Robert, fossero al corrente di questa inaccettabile anomalia, ma di ciò, scavando nella biografia di Marcel, è dato molto poco di cogliere, al più sussurri per le preoccupate e rassegnate confidenze che Adrien a volte, sia pur molto parsimoniosamente, lasciava trapelare ad amici intimi (Foschini, Il cappotto di Proust, 2010, pag.27). Tutta Parigi sapeva, eccetto lui, verrebbe da dire....La cognata di Marcel ha la responsabilità di aver bruciato e distrutto alla morte del fratello di Proust, Robert molti documenti che potevano compromettere l'onorabilità della famiglia. Molto presto Proust si adeguò alla sua natura, senza drammi se non quelli della rispettabilità di fronte alla società. Con sensibilità e intelligenza aveva velocemente capito che nessuno era disposto ad ammettere il desiderio omofilo una naturale variante della sessualità umana. Nelle lettere, come quella del maggio 1888 a Halévy, poteva però scrivere: "Et je ne sais pas pourquoi leur amour est plus malpropre que l'amour habituel". L'ambiguità della sua posizione non sfugge però nella cerchia delle sue amicizie più periferiche agli occhi attenti e bacchettoni di Jeanne Caillavet, moglie dell'amico Gaston: "E' un peccato - scrive lei nel suo diario del 1896 - che frequenti degli amici dalla fama così esecrabile. C'è del vero in quel che si mormora...". Proust comunque non si asterrà dal fingere una infatuazione per l'algida Jeanne, sostenedendo di non poter accettare gli inviti di lei e marito per via del sentimento che prova.....
Ritornando a Sainte Beuve possiamo concludere che se da una parte l'elemento esistenziale biografico non può spiegare da solo la complessità e l'essenza profonda di una opera d'arte letteraria, dall'altra essa permette di spiegare moltissime cose.
La bibliografia su Proust in poco meno di 100 anni è diventata sterminata. Si è grattato il fondo del barile resuscitando scritti come quello di René Peter, esili e di lettura non agevole, si sono scritte eccellenti biografie ogni volta "definitive" (G. Painter, G. de Diesbach), si è addirittura preso a prestito il nome di Proust per imbastire romanzi polizieschi o comunque di fantasia con risultati quasi sempre deludenti (Cortesi 2014, Leprince 2016)
Proust non fu mai una persona semplice. Il vasto epistolario con il suo consulente finanziario Hauser, offre una interessante prospettiva di giudizio sulla persona al di fuori del ruolo di letterato. Esistono molte lettere che Lionel Hauser, nel primo dopoguerra indirizza al nostro autore che svelano quelli che sono i difetti di Marcel e la loro ricaduta sul suo patrimonio. Si tratta di un robusto carteggio sulla testardaggine di Marcel nel voler fare investimenti di testa sua. Una lettera in articolare è molto significativa perchè confeziona, in una sintesi geniale, un ritratto umano di cruda realtà che nessuno degli intimi dello scrittore,  ebbe mai a scrivere.
"Sei circondato da persone dolci e comprensive che ti trattano come tu vuoi essere trattato. Il tuo mondo irreale viene confuso con quello reale in cui vivono persone reali. Sei rimasto il bambino che non ammette di essere sgridato quando è stato disobbediente. Hai quindi eliminato dalle tue amicizie tutti quelli che insensibili alle tue tenerezze avevano il coraggio di redarguirti. Sono ben contento di lasciarti sprofondare anima e corpo nell'Assoluto ma non prima di aver risanato i tuoi disavanzi economici." 
La sostanza è giusta ma il tono "brutale e diretto" che Hauser usa non può non ferire Proust che in effetti si chiude a riccio di fronte a queste contestazioni e risponde con ulteriori lamentele. Il saggio Hauser conclude "Mi hai fatto capire che preferisci le carezze ai pugni, ma ci sono circostanze nella vita in cui la dolcezza porta a conseguenze nefaste". Ma Proust è un essere complesso, Lionel Hauser tra l'altro non sarà mai messo al corrente della reale consistenza del patrimonio complessivo dello scrittore (terreni, diritti d'autore degli scritti del padre ecc ecc) riuscirà comunque a mettere ordine nelle finanze e a lasciare, alla morte dello scrittore nel '22 più di 4 milioni di franchi di valori. Per la gioia degli eredi.
Un altro interlocutore privilegiato di Proust fu il suo editore Gaston Gallimard subentrato, a cavallo della guerra. a Grasset che per primo aveva pubblicato Du coté de chez Swann. Gallimard diventa in breve il capro espiatorio di ritardi, di errori tipografici, di una distribuzione non perfetta dei libri  insomma di tutto ciò che poteva rendere Proust scontento o addirittura furioso. Il metodo di lavoro del nostro non era un modello di efficienza: la continua rielaborazione dei testi, con correzioni, cancellature, ripensamenti il tutto complicato dall'ostinazione dello scrivere a mano su foglietti volanti, non aiutava certamente i tipografi a svolgere correttamente il loro lavoro. Di qui contestazioni, lamentele, recriminazioni se non a volte aperte minacce da parte di Marcel. Gallimard, da buon imprenditore, sopportò sempre con fermezza le conseguenza di questo imbarazzante rapporto perchè capiva l'importanza della materia che aveva tra le mani.
La corrispondenza di Proust, racchiusa in varie decine di tomi (e si noti che essa è solo una parte dell'immenso epistolario in parte andato disperso in parte sepolto e inviolabile) rappresenta un ideale contraltare della sua meravigliosa opera, con un importante distinguo. Se la Recherche rappresenta un capolavoro della letteratura mondiale, le lettere sono al contrario un mostruoso coacervo di banalità, di lodi sperticate a personaggi indegni della più elementare considerazione, di falsità ripetute volte a ingraziarsi mediocri figure della mondanità parigina a cavallo dei due secoli... Se da una parte l'epistolario è servito ai critici ed esegeti proustiani per approfondire la comprensione e la genesi di alcune parti della Recherche, dall'altra (cosa che a Proust avrebbe fatto orrore) ha rivelato la meschinità che può celarsi nelle menti del genio. Cose risapute ma che fanno sempre un certo effetto a chi ha amato incondizionatamente un libro e il suo autore.
La testardaggine di Proust nel voler gestire la sua salute accelerò di sicuro la sua morte prematura, poco dopo il 51esimo anno di vita. E' in parte vero che la medicina di inizio '900 non offriva grandi risorse nella cura di patologie complesse come lo stato asmatico. Oltre al classico salasso e le iniezioni di canfora, per non parlare di fumigazioni varie, peraltro molto abusate da  parte di Proust, la terapia era praticamente  inesistente. Al di là di una comprensibile diffidenza verso la scienza medica, Proust ad accelerare la morte, ci mise del suo in maniera quasi consapevole e rassegnata. La morte fu in sostanza determinata da una progressiva denutrizione, dall'eccessivo utilizzo di sostanze stimolanti e sedative (adrenalina, veronal, morfina e soprattutto caffeina) che predisposero il suo organismo a soccombere ad una banale bronchite evoluta in polmonite. Ma la malattia (scoppiata in tutta la sua drammaticità fin dai nove anni di età) costituì anche per Proust un'arma formidabile per piegare alla sua volontà tutti i familiari e gli amici, attraverso una rigida imposizione di orari, riti, capricci e fobie. Fu attraverso la ostentazione continua del suo stato di "malato" e della conseguente sofferenza, che a Proust fu permesso di porsi al di fuori di ogni condizionamento sociale. Sono note a tutti le sue visite notturne, non annunciate ad amici e conoscenti, i suoi abbigliamenti eccentrici (sovrapposizione maniacale di abiti e sciarpe con lo scopo di ripararsi dal freddo, suo nemico mortale). 
Cinquant'anni di frequentazioni intermittenti, in sostanza più colpevolmente rivolte alla umana figura dell'autore che non alla sua opera, mi hanno rivelato una persona complessa, insopportabilmente nevrotica. La scena che viene riportata in una lettera (Kolb, corrispondenza , Tomo II, pag 96) a Laure Hayman in occasione della morte dello zio Louis Weil, non può non impressionare il lettore odierno. "Quando il ciclista ebbe raggiunto con la vostra corona, la sepoltura senza fiori come dalle volontà del defunto,, quando ho saputo che erano da parte vostra, sono scoppiato in singhiozzi, meno per il dolore che per l'ammirazione. Avrei sperato tanto voi foste al cimitero per cadere nelle vostre braccia...". Già. Che la bella Laure fosse la demi-mondaine (la mantenuta) del caro defunto è un particolare secondario: l'ipocrisia proustiana va considerata nel periodo storico in cui si espresse. Si potrebbero citare tante altre debolezze del buon Marcel, come la gelosia corrosiva, patologica che riuscì a sviluppare per Reynaldo Hahn fino alla fine del loro rapporto, quando all'orizzonte si profilava già il più malleabile Lucien Daudet. Con questi Marcel condivideva  l'esasperata sensibilità che poteva sfociare in pianti isterici come in ridondanti esternazioni di amorevole partecipazione.  Insomma umanamente Proust era, secondo i nostri odierni giudizi, persona di insopportabile umanità. Considerazione e giudizio purtroppo inevitabile per chi come me, in modo talora eccessivo (e morboso) ha voluto scavare nell'immenso materiale biografico che nei decenni, è stato pubblicato, analizzato e commentato su di un autore che voleva invece essere solo giudicato per ciò che aveva scritto.
Una citazione a parte merita un libricino di un autore polacco Jòzef Czapski, che raccolse una serie di conferenze tenute in un campo di concentramento sovietico ad altri ufficiali dell'armata polacca rinchiusi  a Grjazovec nell'inverno 1940-41. Senza nessun riferimento cartaceo l'autore basandosi sul filo della memoria delle sue letture traccia un interessante analisi della Recherche con numerose digressioni sulla personalità e vicenda umana di Marcel Proust. Son poco meno di 100 pagine ma intense e di grande chiarezza. Un piccolo tesoro davvero.
La singolarità di questo autore risiede nel fatto che se da un canto ha scritto un'opera non certo facilmente fruibile nella sua monumentale complessità, dall'altro in un tempo relativamente breve essa è diventata una dei testi più importanti della letteratura mondiale. Se l'Italia ha un Dante, la Germania un Goethe, l'Inghilterra uno Shakespeare allora la Francia può annoverare un Proust senza tema di smentite. Basterebbe per suffragare l'affermazione andare a spulciare la sterminata bibliografia su Proust che supera di gran lunga quella per esempio su Napoleone.
Ma ciò che più colpisce l'osservatore attento è come Proust abbia in sostanza cambiato il nostro modo di percepire la realtà e di vedere il mondo sensibile che ci circonda. Impossibile ormai dissociare da questo autore i concetti di Tempo, Ricordo, Gelosia o Amore in generale. Pochi altri titani della letteratura mondiale sono riusciti ad entrare così profondamente nelle nostre sensazioni da mutare nelle fibre più intime il nostro sentire.
Proust non è uno scrittore facile. Il 90% di chi si accosta, magari diffidente, alla sua opera non va oltre il primo volume della Recherche, Un amore di Swann  che per il tema trattato e per lo stile è uno di quelli più accattivanti. Ma si tratta comunque di una lettura "faticosa" per la lunghezza dei periodi, che spesso portano il lettore a perdersi letteralmente tra le decine di coordinate/subordinate che il nostro utilizza per sviscerare il suo pensiero, con la minuzia e cura che sono propri solo di un anatomo patologo intento ad eseguire una autopsia.
(aggiornato 16 giugno 2020)

lunedì 7 maggio 2018

A Ginevra negli anni della mia giovinezza

Le mie prime visite alla città risalgono ai primi anni 60. Allora ero un poco più di un bambino. Mi era stata regalata una macchina fotografica rudimentale con una fodera in plastica grigia che aveva come opzioni  unicamente la scelta tra Tempo nuvoloso/Sole splendente, messa fuoco e pulsante per lo scatto. Montava rullini da 12 foto, esclusivamente in bianco e nero. Ho ancora una foto di quella macchinetta, ritrae delle lapidi del cimitero di St Georges, per lo meno credo, che già allora costituiva luogo di meditazione e relax delle mie esplorazioni del territorio. Di Ginevra ho sempre ammirato la tranquillità di alcuni quartieri periferici, veri angoli di quiete dove lo scorrere delle giornate sembrava possedere una dimensione familiare di pace introvabile nella mia città natale. Il sobborgo (quartiere?) di Chene Bougeries per esempio, dove abitavano i miei cugini svizzeri, era un susseguirsi di giardini delimitati da basse recinzioni lignee, più simboliche che reali, di spazi ben delineati dove regnava ordine ovunque. Anche le case più semplici pur recando i segni del tempo trascorso, qualche scrostatura, i legni sbiaditi o gli infissi ormai obsoleti conservavano un aspetto che mai sconfinava nell'ordinario del cattivo gusto. I nomi stessi delle strade lì iniziavano spesso con "Chemin" (de la Gradelle,  de la Montagne, des Flombard) appellativo per cui non ho mai trovato una traduzione soddisfacente in italiano. Non "cammino" di certo, non "sentiero" e neanche il generico "via". In quel quartiere al confine con più recenti edifici dormitorio era ancora possibile scoprire angoli di verde con viali ben tracciati e semplici ma bellissime lapidi tombali: il cimitero del quartiere di Chene Bougeries appunto. Li è possibile ammirare una pietra singolare che invece che l'effige del defunto reca l'immagine di un fagiano! Dichiarazione d'amore ad eterna memoria di un animale amato?  o della nobile arte venatoria?


Ma Ginevra è anche stata il centro città con le Rues basses e i grandi magazzini tra cui lo storico Grand Passage, i cui reparti costituivano nei miei anni '60 una meraviglia continua. Soprattutto il reparto libri. Anche se avevo ormai da tempo completatata la raccolta delle avventure di Tintin, un fumetto della grande scuola belga dai tratti nitidi e semplici, dai bellissimi colori netti, la mia curiosità era attratta dai classici, su tutti l’immenso Marcel Proust. Ogni testo critico serviva ad arricchire la mia bibliografia, mi piaceva spaziare dai temi  linguistici, talora un poco noiosi e difficili ai testi più squisitamente biografici fino ad arrivare ai saggi che trattavano aspetti particolari, Proust e la musica, Proust e la pittura... Inter scaffali erano dedicati ai Livres de poche dalle belle copertine  specie quelli più vecchi con immagini che sapevano ancora un pò di rotocalco....


Dalle Rue Basses si saliva, per tornare a casa da mia sorella, per la città vecchia, attorno alla Cattedrale dove trovavo le vetrine dei negozi di libri antichi cui mi avvicinavo con curiosità e reverenza: sugli scaffali introvabili testi su Proust alimentavano la mia voglia di possesso, voglia frenata solo dai prezzi inaccessibili. C'era poi più prosaicamente la Ginevra dei molteplici supermercati. Dall'istituzione nazionale rappresentato dalla Migros alla più signorile Coop, era un susseguirsi infinito di banchi che da noi in Italia non esistevano ancora (erano gli anni '60 e a Torino la piccola, immutabile distribuzione regnava sovrana). Il reparto alimentari era fonte di continue novità inaspettate. Si spaziava dalle cioccolate che nonostante un Franco svizzero forte, erano discretamente convenienti rispetto alle nostre abbastanza limitate disponibilità nazionali. Poi le minestre liofilizzate, i biscotti, le salse e decine di altre offerte.

*
Gli anni sono passati anche per Ginevra. Sono comparsi qua e là sui muri, come nelle nostre città, gli orribili graffiti del disagio giovanile, segni incomprensibili se non visti attraverso l'intenzione dello sfregio di un bene pubblico, di un segnale di esistenze dai limitati orizzonti mentali. E' cambiata e a volte non in meglio anche la fisionomia di interi quartieri, raggiunti da opere faraoniche di viabilità cittadina. Vecchie mura di mattoni abbattute a beneficio del grigio cemento, case solide di fine '800 con le mura in bugnato circondate da polverosi cantieri. Sono forse cambiati soltanto i miei occhi: poco meno di 50 anni hanno cambiato la mia percezione dell'ambiente, quell'uniforme velo di fascino che diffondeva per le vie, sui bei portoni di legno massiccio, sugli acciotolati che portavano ai bastioni incombenti sulla place du Theatre, tutto si è stemperato nel più ordinario degli aspetti del quotidiano dove le persone hanno fretta di ritornare a casa e le automobili si riversano nelle corsie trafficate del Pont du Mont Blanc. Rue du Pré Naville conserva ancora un'aria appartata ai confini del bellissimo parc de la Grange: il balcone della Nina, anziana cugina ginevrina, dove canticchiavo sopvappensiero aspettando solo l'attimo per chiedere di farmi un giretto lungo il lago, è ancora lassù al secondo piano e di certo dell'annoiato quindicenne non ha memoria. Ritorno ogni anno a Ginevra, ripercorro le stesse vie senza mai annoiarmi, sfioro esistenze che mi saranno ignote per sempre, ogni volta guardo con ammirazione i muri delle case del centro città, muri in bugnato, quasi sempre in pietra grigia, studiate per trasmettere la solidità morale di un ceto borgehese ricco, consapevole della propria sicurezza e del proprio benessere. Anche i portoni, gli infissi delle case spesso conservati e mai rinnovati per decenni possiedono quella patina di vetustà che conferisce il fascino delle cose vecchie, immutabili e durevoli. 

venerdì 4 maggio 2018

Tromba di scale, bellezza e tragicità di un luogo neutro (aggiornato)

La tromba, in architettura, è lo spazio vuoto attorno al quale si avvolgono le scale. (Wikipedia)


 
(Torino Casa inizi '900)


La tromba delle scale è uno spazio comune, luogo d'eccellenza di morte accidentale o volontaria. E' impressionante, se solo si ha la voglia di approfondire, quanti incidenti nelle pagine dei quotidiani hanno come protagonista la tromba delle scale. In alcuni casi vengono scelte per darsi la morte, forse lo spazio delimitato da mura, interno, circoscritto dalla frequentazione quotidiana è in grado di dare l'estremo coraggio a chi cerca, con un drammatico atto, la fuga dalla vita. Se si digita su di un motore di ricerca "tromba delle scale, suicidio" si ottengono migliaia di risultati, a rimarcare l'alea mortifera che avvolge questo apparentemente neutro di uno spazio comune. Nell'archivio de La Stampa l'articolo più vecchio che riporta un suicidio di scala è del 1902. Elvira, sartina romana, abbandonata dal fidanzato si reca alla di lui abitazione e salita in cima alle scale pone fine ai suoi giorni precipitandosi nella tromba. Accanto a queste morti procurate per disperazione ci sono quelle avvolte dal mistero, come quella del generale Baldwin che nel 1951, sempre a Roma, vola dal sesto piano sempre nella tromba delle scale. Il giornalista dopo aver descritto con funerea precisione descritto il luogo della sciagura  annota che il morto "vestiva, all'atto della tragica fine, un completo di gabardine verde bottiglia con scarpe marroni e camicia di seta. Al polso aveva un orologio d'oro che si è fermato sulle 12,6, l'ora esatta in cui il suo corpo si è sfracellato al suolo".

Numerose sono le forme con cui la tromba si presenta, dalle più eleganti elicoidali, coniche o semplicemente circolari alle classiche rettangolari talora ristrette all'inverosimile (foto 1).

  
foto 1 (Torino. Edificio anni 30)

Spesso questo spazio vuoto, viene riempito con un ascensore che lo priva della sua bellezza. Invece a volte è stato possibile conservare l'eleganza del disegno grazie anche alla ricchezza dei particolari  di piastrellature e ringhiere. (foto 2, 3).

                                                  
foto 2 (Milano inizi '900 Casa signorile)

 
Foto 3 tratta da "https://it.freepik.com"

L'architettura del ventennio, forse, è stata più in grado di molte altre, di creare autentici capolavori di equilibrio ed eleganza.

Foto 4. Milano Palazzo della Borsa

In alcuni casi la struttura è grandiosa e ricorda le impossibili creazioni di Escher  come nella scala elicodale degli anni '30 nella Borsa di Milano. Foto 4. Qui la struttura in cemento armato è rivestita da marmo di Carrara venato a ricordare lo scalone monumentale di Caprarola, capolavoro del Vignola.
In altri casi la scala diventa ricostruzione di luoghi immaginifici, creata al computer....




domenica 18 febbraio 2018

Vite di sconosciuti: Rosa ed Evaristo

Quando Rosa sposa Evaristo lui ha già 54 anni ed è pensionato. Lei ha quasi 30 anni in meno, 25.  Appena una manciata di giorni prima di Natale, siamo nel 1927, viene celebrato il loro matrimonio, prima civile poi religioso.  Da inizio anno è stata istituita la tassa sul celibato: chissà se questo ha spinto i nostri due protagonisti a regolarizzare la loro posizione... Ma il '27 è anche un anno che registra tragici eventi: Sacco e Vanzetti vengono giustiziati negli Stati Uniti, il piroscafo Principessa Mafalda affonda al largo delle coste brasiliane causando oltre 600 vittime mentra a fine anno una scossa di terremoto nei Colli Albani rade al suolo la città di Nemi. Nulla ci dice se Rosa ed Evaristo furono consapevoli di questi fatti nè tantomeno ci è noto quel che provarono. Lui, data l'età, di sicuro leggeva le notizie sui quotidiani, lei viveva nell'ombra di lui completamente appagata dal suo amore e dalle sue attenzioni. Quel poco che sappiamo della coppia è racchiuso nelle pagine di un volume che nel 1937 veniva consegnato agli sposi in occasione della cerimonia matrimoniale.
Il volume era corposo di più di 100 pagine, suddiviso in sezioni


L'ossessione del fascismo per incrementare la natalità che nel trentennio del '900 aveva subito un preoccupante calo, viene qui esaltata al massimo grado. Anche le numerose inserzioni pubblicitarie contenute nel volume sono un chiaro invito demografico...
Il libro cartonato rosso che reca la scritta OMAGGIO AGLI SPOSI è usato come un semplice diario senza date, con vari pensieri e ricordi della vita trascorsa assieme. Non segue i capitoli stampati se non nella compilazione delle ricorrenze più importanti fidanzamento e matrimonio. Nelle numerosissime pagine dedicate a "I NOSTRI FIGLI" Rosa scrive i suoi piccoli ricordi, quasi sempre rievocazione di tempi felici della vita in comune. Il tutto sembra essere stato composto negli ultimi anni di vita, una specie di riassunto a posteriori. Rosa non ha avuto una vita felice prima dell'incontro con Evaristo. Scrive: "tutte le tristezze che la vita mi ha dato tu caro Evaristo con la tua dolcezza e bontà hai saputo rendermi felice". Certo periodare di alcuni passi sembra indicare una istruzione di Rosa medio bassa. Altre frasi suggeriscono che Rosa aveva un lavoro che la impegnava fino a sera. Evaristo le raccomandava spesso di riposarsi  perchè  "domani sarà un altro giorno di lavoro". Forse la differenza di età ha contribuito a far sì che il matrimonio fu sterile. Questo nonostante la pressione ideologica non certo leggera che il fascismo esercitò nel campo della demografia: Rosa ed Evaristo vissero gran parte della loro vita coniugale sotto la dittatura fascista. Non c'è traccia nelle pagine di grandi avvenimenti dolorosi. Molte estati li videro in villeggiatura alle porte di Torino, C'è al proposito una sintesi delle vacanze. Dal 1930 per 5 anni passano le ferie nel Canavese in una frazione di Corio: lunghe passeggiate in montagna alla ricerca di ciclamini o funghi, entrambi felici e spensierati. Lui è un buon camminatore e anche quando Rosa sale a fatica su per una mulattiera lui riesce sempre a trovare una parola di incoraggiamento. Dal 1940 al '45 le vacanze le trascorrono a Coassolo. Nel settembre 1954 i coniugi fanno il loro ultimo viaggio, in autunno, a Roma e Napoli. Un anno più tardi Evaristo muore.
Nel autunno del 1958 Rosa confessa alle pagine di questo che è divenuto un diario per pensieri sparsi, la sua solitudine. Evaristo era il centro della sua vita con i suoi consigli e con la sua sola presenza. E' triste, Rosa, confessa che solo nella preghiera trova la forza di continuare a vivere.


E' questa l'ultima traccia scritta lasciata da Rosa. Evaristo è ormai morto da 5 anni, il ricordo di lui sempre vivo nei giorni. 
Ho cercato a lungo nel web tracce del loro passato terreno, senza successo. Rosa nè tantomeno Evaristo risultano sepolti a Torino. La moglie di uno dei due testimoni di nozze muore nel 1965 ma neanche di lei esiste traccia se non nel necrologio. Ho omesso i cognomi, nonostante siano passati molti anni dalle vicende dei nostri due per rispetto della privacy.