Recentemente ho preso in prestito da una delle
belle biblioteche civiche torinesi un testo di Anthony Cardoza. Si tratta di "Patrizi in un mondo
plebeo. La nobiltà piemontese nell'Italia liberale". Mi interessava
approfondire l'argomento dopo una visita all'Archivio di via Piave durante la
quale la Dott.ssa Miccoli aveva en
passant accennato alla figura
di Compans di Brichanteau. Appena avuto in mano il libro, molto consumato, con
la sovracoperta lisa e un poco dilacerata, ho notato nella seconda pagina uno scritto a matita che riporto.
"Certo che i refusi presenti in questa edizione ne
fanno una emerita porcheria, priva di serietà. Del resto, alleggerlo, risulta
un ammasso di gossip e ammirate curiosità. Un lettore"
Devo dire che è la prima volta, in anni di frequentazione
e prestiti alle civiche di Torino, che mi imbatto in un commento sul testo vergato sul libro stesso. Il fatto mi ha incuriosito. Innanzitutto mi ha stupito l'impellenza che deve aver
costretto l'anonimo lettore a esternare il suo critico sdegno di fronte all' emerita porcheria.... Il vocabolo porcheria mi ricorda
tanto i termini che usavamo negli anni 50/60 del secolo scorso, da bambini. In
più la scrittura spigolosa e decisa sembrerebbe quella di una persona colta ma
intransigente in massimo grado. Ho così deciso di andare a vedere se il Cardoza merita un
giudizio così severo..... I commenti sulla sua figura di studioso sono vari.
Sul sito della Giulio Einaudi editore si legge:
Sul sito della Giulio Einaudi editore si legge:
Anthony L. Cardoza insegna Storia dell'Europa moderna
alla Loyola University di Chicago. Fra i suoi scrittiAgrarian Elites and
Italian Fascism (Princeton 1983), Patrizi in un mondo plebeo:
la nobiltà piemontese nell'Italia liberale (Roma 1999; ed. orig.
Cambridge 1997) e Benito Mussolini: The First Fascist (London
2005).
Sul sito del Dipartimento di Storia della Loyola University di Chicago:
Anthony L. Cardoza (Ph.D., Princeton University, 1975; B.A., University of
California at Davis, 1969) is Professor of History at Loyola University Chicago , where
he teaches courses in Western Civilization, 20th century
Europe ,
modern Italy , and
contemporary international relations. He was Chair of the Department of History
from 1999-2002 and a Visiting Professor of History at the University of Chicago in
2000.
Relativamente al contenuto del libro riporto integralmente l'analisi esauriente compiuta da Signorelli.
Le ricerche di Cardoza sulla nobiltà piemontese erano note per una serie di saggi pubblicati tra il 1988 e il 1996, anni in cui lo studio delle élites si imponeva all'attenzione del dibattito storiografico sull'Italia contemporanea. In questo volume - comparso in inglese nel 1998 - lo studioso americano riprende il tema, riorganizzando i segmenti della sua indagine in una sintesi sull'identità dell'aristocrazia piemontese, la sua evoluzione dall'antico regime al XX secolo e il suo peso politico ed economico nell'Italia liberale. In base ai dati desunti da uno spoglio massiccio degli atti successori, Cardoza delinea permanenze e mutamenti nelle scelte patrimoniali e matrimoniali dell'aristocrazia di sangue dall'Unità ai primi decenni del '900. I dati economici sono integrati con l'analisi quantitativa e qualitativa di altre fonti utili a individuare la presenza dei nobili, e il ruolo da essi svolto, in ambiti di pertinenza delle élites: circoli e collegi, esercito e corpi professionali, teatro e opere pie, corte e comitati elettorali. Ne emerge il profilo di un ceto ancorato a valori e stili di vita radicati in un passato antico intessuto di privilegi feudali, glorie militari e gestione del potere, esercitato sempre in nome di principi di fedeltà istituzionale e responsabilità sociale. Riferendosi alla tesi di Mayer sulla "persistenza dell'antico regime" fino alla prima guerra mondiale, Cardoza prende le distanze sia dalla storiografia marxista e liberale che ha concentrato l'attenzione "sui grandi fattori di cambiamento" trascurando "le forze della continuità e della tradizione", sia dai più recenti studi di storia sociale sulle élites dell'800, che hanno posto l'accento sulla vitalità delle classi medie, lasciando sullo sfondo i vecchi gruppi aristocratici, nel ruolo marginale di custodi dei valori di cui si impadroniva la borghesia in ascesa. La tesi sostenuta nel volume è che, nel caso del Piemonte, dal 1848 alla Grande Guerra la nobiltà abbia mantenuto intatta la sua influenza sociale, economica e politica, non - come nel modello di Mayer - spendendo la propria capacità egemonica sul terreno dei nuovi comportamenti borghesi, ma, al contrario, serrando i ranghi, resistendo alla fusione sociale e investendo le proprie risorse finanziarie e culturali per mantenere un ruolo centrale nella vita pubblica, pur senza diluire la propria identità modellata sul ristretto gruppo di famiglie di origine feudale. Questo schema interpretativo si sovrappone talvolta in modo un po' rigido alle analisi dei comportamenti individuali e familiari che, nella loro varietà, disegnano la morfologia di un gruppo sociale complesso. Ed è certamente questo il contributo più rilevante del lavoro di Cardoza, che, al di là della tesi di fondo, dà un quadro ricco e ben documentato della nobiltà piemontese, che sarà tanto più utile alla conoscenza dell'articolazione delle élites nell'Italia liberale, quanto più si potrà disporre di ricerche analoghe sulle aristocrazie di altre regioni.
Le fonti e la bibliografia del libro sono dignitose e circostanziate. Il suo passaggio presso l'archivio di Stato di Torino è ancora oggi ricordato da chi a quel tempo (1987/1989) vi lavorava: lo stesso autore tiene a ringraziare per la disponibilità la responsabile di allora (Isabella Massabò Ricci) e le sue assistenti, impegnate a soddisfare le "continue e insistenti richieste di documenti" dello stesso.
Riabilitato dunqe il Cardoza possiamo concludere con un unico appunto, che esula però dal tema del libro Patrizi in un mondo plebeo.
Se vogliamo, infatti, dell'Autore possiamo solo
criticare la sua firma all'infelice petizione di intellettuali
americani che nel 2011 chiedevano la cancellazione dalla
toponomastica di Chicago Balbo Drive, la strada dedicata a Italo Balbo e
all'imponente manifestazione seguita alla grande trasvolata del 1933. Come si legge nell'articolo di Ernesto
Milani ..."Che dire? Se
si vuole eliminare il nome di Balbo in quanto parte attiva del regime fascista
di Mussolini governo di Mussolini,
futuro alleato di Hitler, potrebbe anche andar bene. Ma che dire di
Italo Balbo, apprezzato in tutti gli Stati Uniti, e mai contestato neanche dai
due sindaci Daley, che si ribellò alle leggi razziali del 1938, fu in aperto
contrasto con Mussolini riguardo al patto con Hitler e che proprio per questo
fu costretto ad andare in Libia dove fu abbattuto durante una
ricognizione aerea (per errore?) pochi giorni dopo l’entrata in guerra nel
1940? Nonostante le poco circostanziate accuse nei confronti di balbo
contenute nella petizione all’alderman di Chicago Fioretti, Italo Balbo non fu
coinvolto nella creazione di campi di concentramento in Libia e soprattutto la
sua morte fu salutata con rispetto e deferenza sia dagli avversari americani
sia inglesi".
(in costruzione, continua)