Le foto che
ritraggono Nadezhda Krupskaja la vedova di Lenin trasmettono l’impressione di
una volontà ferrea e grande determinatezza. Fino alla fine dei suoi giorni
ricoprì importanti cariche, fu infatti membro del Comitato centrale del
partito e membro del presidium del Soviet
Supremo. Donna di solida cultura con una
chiara visione politica di quello che soprattutto nel campo della scuola e dell’educazione
andava fatto, era un punto di riferimento per il marito che le sottoponeva
sempre i suoi scritti. Tutto questo non servì ad evitare che dopo la morte di
Lenin si avviasse quel processo di venerazione/culto della salma voluto da
Stalin. Troppo importante era infatti l’opportunità di sfruttare il cadavere
del padre della rivoluzione in un sistema di acquisizione costante di consensi.
Vana fu la lettera inviata da Nadezhda al Politburo in cui si esprimeva la preghiera
di non vedere il marito diventare oggetto di un culto della personalità. Se voi
volete onorare la sua memoria - disse testualmente - costruite degli asili
nido, dei giardini d'infanzia, edificate case, biblioteche, policlinici,
ospedali, ricoveri per invalidi e così via, e soprattutto mettete in pratica i
suoi insegnamenti". Anche Trotzky sottolineò
come fosse inopportuno e molto poco “atteggiamento rivoluzionario” sostituire le
reliquie dei santi della chiesa ortodossa con altre reliquie. Ma Stalin aveva
bisogno di miti cui aggrapparsi non da ultimo per il consolidamento della sua
posizione personale. In breve fu trovata la soluzione della conservazione del
cadavere che doveva rispondere ad alcuni presupposti inderogabili: la salma
doveva conservare un aspetto presentabile il colorito del viso soprattutto
doveva risultare come quello di una persona in vita, incarnato roseo e espressione serena.
Così erano soddisfatte le aspettative dei milioni di visitatori del mausoleo. Fu un
coraggioso un anatomo-patologo dell' università di Kharkov, il professore
Vladimir Vorobiov ad azzeccare il giusto "balsamo" in grado di procurare l’eternità
ai poveri resti terreni di Lenin. Il leader fu immerso in un bagno di formaldeide per un paio
di settimane, per uccidere germi e batteri, impedendo così il progredire della
decomposizione mentre con una soluzione di glicerolo si provvide ad ammorbidire
la pelle. Si pensò quindi ad attenuare il rigor mortis, che avrebbe reso
difficile il collocamento di Lenin all’interno della teca. Vladimir non
era uno stinco di santo, di lui si scoprirono negli anni molte piccanti
propensioni ai peccati della carne, ma gli va riconosciuto il coraggio di aver
rischiato la carriera e forse anche la vita nell’esecuzione di questa impresa (Stalin
non era particolarmente tenero verso chi falliva compiti da lui assegnati). La
spietata logica della ragion di stato trovò giustificazione nel successo di
questa operazione che oggi definiremmo mediatica. Milioni di persone da ogni
angolo della sterminato territorio russo si riversarono a Mosca per far visita
all’eccellente salma. Gradualmente il mausoleo
si arricchì di strutture e apparati di laboratorio in grado di monitorare la
salma e addirittura di provvedere ad accogliere, negli anni, altri illustri
cadaveri necessitanti di garanzie di eternità. Nel trentennio ‘50-’70 arrivò a dar
lavoro a più di 200 persone. Con la fine del comunismo, il laboratorio sembrava
destinato a scomparire per mancanza di fondi tanto più che i finanziamenti
statali si erano ridotti al 20 per cento. Il sindaco di Mosca ha però
avuto la brillante idea di fornire i servizi di imbalsamazione/conservazione a
potenti famiglie mafiose che desiderano mantenere viva la memoria dei cari
defunti sborsando cifre di tutto rispetto. Con la relativa liberalizzazione di
parola all’interno del grande ex impero sovietico sono sorte proposte di tutti
i generi non ultima quella di trasformare la teca con il suo contenuto in una
esposizione itinerante in giro per tutto il pianeta naturalmente a pagamento….