I fatti sono noti a chi conosce bene il pittore
di Cambiano. Tutto nacque con la presentazione all'Esposizione di Venezia del
1895 del quadro Supremo convegno.
In questa tela un cadavere è disteso in una bara aperta ed è circondato e
sovrastato da donne nude. Sono femmine che un tempo da vivo gli procurarono
piacere e che ora lo attorniano in un simbolico «supremo convegno». Il fatto
che la scena si svolga apparentemente in una chiesa immersa nella penombra
suscitarono l’immediata levata di scudi di quella parte di contemporanei sempre
attenta a limitare la visione di tutto ciò che poteva turbare o ledere la loro
sacrosanta morale cristiana. La richiesta di non presentare l’opera fu respinta
a seguito del giudizio positivo di una commissione all’uopo istituita. Della
stessa faceva parte Fogazzaro che, pur fervente cattolico, così giustificò il suo giudizio: «Le nudità del «Supremo Convegno» in
quell'atto, in quel luogo, mi parvero dover produrre una impressione
profondamente morale. Nell'arte il nudo ha diversi linguaggi […]. Le femmine
del «Supremo Convegno» sono apparse alla fantasia dell'artista in un'alta e
tragica ispirazione e la loro nudità bestialmente ostentata, orribilmente profanatrice,
ha un alto, tragico linguaggio. Il viso del morto, le membra delle vive,
voglion dire e dicono con efficacia terribile le colpe e castighi di una
passione tutta brutale». Il patriarca di Venezia però fu di tutt’altro
avviso e rivolse al clero veneziano la preghiera, equivalente a proibizione
assoluta, che nessun sacerdote visitasse la Mostra fino a tanto che fosse
esposta quella tela. Inoltre fu pubblicato nelle sagrestie un avviso col quale
si ricordava a tutti i preti forestieri la proibizione fatta ai sacerdoti del
patriarcato. Elisabetta d'Austria, da gran dama qual'era, lo volle vedere. Pare che sorridendo avesse esclamato: soprattutto ci son troppi fiori.... Di tutt'altro avviso la nostra Regina Margherita che pare non volle guardarlo: l'episodio sembra però smentito secondo quanto riportato da La Stampa.
E' dell'ottobre 1895 la notizia, sempre su La Stampa di Torino, che il quadro è stato acquistato dalla The Venice Art Company per conto di un grande negoziante di Chicago per la somma di 15mila dollari. Numerose furono le richieste di esposizione da parte di gallerie inglesi e tedesche, richieste che però rimasero sulla carta.
E' dell'ottobre 1895 la notizia, sempre su La Stampa di Torino, che il quadro è stato acquistato dalla The Venice Art Company per conto di un grande negoziante di Chicago per la somma di 15mila dollari. Numerose furono le richieste di esposizione da parte di gallerie inglesi e tedesche, richieste che però rimasero sulla carta.
Nel dicembre del 1900 sembrò che
i fulmini verbali del patriarca di Venezia, il futuro papa Pio X, centrassero
il bersaglio. Come riporta il quotidiano newyorchese il Progresso ItaloAmericano, il quadro, esposto da 2 mesi a Broadway in un vecchio fabbricato
affittato per l’occasione e arredato con drappi di velluto, viene distrutto da
un incendio partito proprio da una delle numerose cortine di stoffa. Due
inservienti rimasero gravemente ustionati nel tentativo di spegnimento delle
fiamme. Il dipinto non si potè comunque recuperare. Si concluse così nel fuoco l’esistenza di questa sfortunata opera d’arte e chissà quante pie menti non videro nell’evento la mano
implacabile della giustizia divina!
Uno strascico della vicenda si
ebbe due anni più tardi quando nella chiesa di San Gioacchino davanti alla
stazione della Torino-Cirié, costruita su disegni dell'architetto Ceppi, allo
pareti delle due navate laterali fu lasciato lo spazio per dipingere, in tanti
quadri di circa venti metri quadrati l'uno, tutte le stazioni della Via Crucis.
Due opere furono affidate al Grosso che però potè solo dipingerne tre mezze
figure per via di tanti altri impegni che aveva per le mani. La diffida del parroco
arrivò puntuale. Non avendo il Grosso ottemperato all'impegno, i suoi servigi
erano da ritenersi conclusi. Furono inoltre sempre dal parroco mosse critiche
per via del fatto che la croce e la figura del Cristo erano troppo piccini e
non campeggiavano com'era suo desiderio. A nulla servì la mediazione dell’industriale
donatore e di altre persone. Quando il Grosso si recò per ultimare l'opera sua non
trovò neanche più il palco su cui salire: era stato tempestivamente rimosso dall’inflessibile
parroco. Scrive il giornalista della Stampa: “Noi non vogliamo credere, come fu bisbigliato sulle prime, che la
deliberazione e l'atto ostile siano stati fatti in odio al pittore del Supremo
convegno e della Nuda.“ Il pittore venne quindi citato in giudizio dall'animoso parroco che vincendo la causa, ottenne un rimborso di 500 lire. Nel giugno 1898 un articolo della Stampa riporta che il dipinto "si sta distruggendo" e che si è provveduto a chiamare da Bergamo un pittore in grado di riaffrescare la parete. Non è chiaro nell'articolo cosa si intendesse per questa apparente autodistruzione dell'opera.
La riabilitazione avvenne anni
dopo quando nel 1918 in Vaticano Giacomo Grosso eseguì il ritratto del
Pontefice Benedetto XV opera dallo stesso molto apprezzata.
C’è da notare come alcune opere
del nostro come pure alcuni luoghi in cui esse erano conservate ebbero in tragiche circostanze una fine ingloriosa soprattutto
legata ad incendi. Oltre al Supremo Convegno in cenere finirono gli affreschi del soffitto
del Teatro Regio a Torino e pure quelli di San Gioacchino nel 1943 in occasione
dei bombardamenti alleati alla città. Singolare destino davvero!
Post scriptum: come in tutte le
vicende misteriose che si rispettino, non mancano le notizie contraddittorie a
proposito della fine del dipinto. Un articolo di Repubblica del 1995 riporta
che il quadro fu venduto e collocato in un castello in Provenza dove in seguito
bruciò…
Altri riportano che la
distruzione avvenne durante la traversata in mare verso l’ America.
In un altro articolo viene riportata la
possibilità di vedere quel che resta del dipinto in questione “bruciato in
parte”
Il quadro nell'Esposizione veneziana del 1895