La Stampa 16.3.1912In un letto della sezione Carle al S. Giovanni, giace da tre mesi una povera donna ancora ingiovane età. I medici, le suore, le infermiere che l'assistono, e le poche persone che si recanoa visitarla, si avvicinano al suo capezzale coll'animo velato e commosso da un senso di infinitapietà. Poiché la disgraziata è votata inesorabilmente alla morte. Giorno per giorno il suoorganismo si consuma in una lotta atroce contro un nemico implacabile che la corrodelentamente, martellandola, pungendola, attanagliandola minuto per minuto con la raffinatacrudeltà, di un tiranno chiuso ad ogni senso di umiltà. Il nemico è l'acido muriatico, che lasventurata ha ingoiato in una fatale notte dello scorso novembre. Vedremo in quali drammatichecircostanze. Eppure questo fragile corpo di donna, tanto barbaramente martoriato, ha saputoconservare per quattro mesi, fra le pieghe dell'anima che ancora lo vivifica, un segreto terribile,per non recare danno o pregiudizio al suo carnefice, a colui che con atto di inaudita barbarie leaveva dato la morte attraverso allo sofferenze indescrivibili di una lunghissima e straziante agonia!E indubbiamente la misera creatura avrebbe portato il segreto nella tomba se per un casofortuito la polizia non fosse venuta a conoscenza di una parte della verità terribile. Misteridell'anima umana!
Il suo ingresso all'Ospedale
Fu nella notte del 6 novembre verso le ore 4 che la povera donna fece il suo primo ingresso alSan Giovanni. Era accompagnata dall'amante, certo Bonino Giuseppe d'anni 38, meccanico daIvrea e da certa Cario Angela maritata Migliotti, una vicina di casa. Introdotta nella sala dellemedicazioni, fu subito attorniata dai sanitari ai quali narrò, fra singhiozzi strazianti, che pocoprima aveva ingoiato un liquido venefico di cui ignorava il nome. Mentre i sanitari si prestavanoa prodigarle i soccorsi del caso, la guardia di servizio procedette alla prescritta identificazione.Alle domande rivoltele rispose: Sono Novaresio Clelia di anni 27, sarta, ed abito in via Mazzinin. 44. Chiestole poscia perchè aveva ingoiato il veleno, rispose semplicemente: Perchè ero stancadi vivere. La risposta, conforme a quella che danno il novanta per cento delle parsone che sivotano volontariamente alla morte, fu creduta veritiera. Nessuno pensò in quel momento discrutare il contegno dell'amante presente. Compiuta la lavatura dello stomaco, la misera furicoverata nel Nosocomio e vi rimase per una quindicina di giorni, durante i quali il suo statoparve migliorare alquanto. Era però un miglioramento fittizio, apparente. Il terribile veleno leaveva concesso una breve tregua, ma le era rimasto nelle viscere, pronto a riprendere conmaggiore implacabilità la triste opera sua. Più disfatta, più sofferente, dovette richiedereospitalità, al Nosocomio; e lì rientrò il 18 dicembre. Questa volta fu ricoverata nella sezione Carle.Dai sintomi, che ora erano più chiari ed evidenti, i medici dubitarono assai che il veleno chela martoriava fosse il sublimato corrosivo, come prima si era creduto; ma ancora una volta ladonna interrogata su tale riguardo, rispose di ignorare di quale natura fosse il liquido ingoiato.Giorno per giorno intanto le sue condizioni si andavano aggravando in causa della crescentedebolezza dovuta all'impossibilità di ricevere qualsiasi nutrimento. I sanitari pensarono alloradi nutrirla artificialmente, e provvidero alla bisogna mediante l'immissione di una sondaattraverso ad un'incisione nell'addome. E così ancora oggi è nutrita la disgraziata creatura!Durante le molte settimane della degenza, alcuni conoscenti si recarono al suo letto a recarlela parola del conforto; ma non comparse mai l'amante, il Bonino. Egli — come si seppe di poi —aveva lasciato Torino e si trovava a Nicastro in qualità di «chauffeur» presso il comm. Mauro.Alla polizia nel frattempo era pervenuto fortuitamente, come abbiamo detto, un barlume dellaverità che la donna aveva saputo, con tanto spirito di generosità, tacere. Impressionato dallanotizia pervenutagli, per quanto frammentaria, il cav. Massera commissario della sezione di viaGiannone, volle subito approfondire le indagini, e insieme al delegato Olivazzi si recò senz'indugioal S. Giovanni per interrogare la Novaresio.
La vittima narra di essere stata costretta ad avvelenarsi!
Alle prime domande rivoltele, la povera donna fissò i due funzionari come stupita che una partedel s6uo segreto fosse conosciuto — Come l'hanno saputo? — interrogò a sua volta. Eh!la poliziaha svariate fonti che la mettono, non sempre ma sovente, a conoscenza di quanto la gente vuolnasconderle — rispose il commissario. Invitata poscia a dire tutta la verità, la donna si raccolseper qualche istante in un affannoso silenzio, poscia incominciò, il suo terribile racconto dall'inizio,incominciando delle sue tribolazioni. Circa, nova anni fa, quando era ancora giovanissima edinesperta della vita, essa conobbe un uomo che l'amò e nelle cui braccia essa si gettòcompletamente fiduciosa. Frutto di tale relazione fu una bambina che ha ora otto anni econvive con la mamma, o almeno è vissuta fino al giorno in cui la mamma dovette esserericoverata all'Ospedale. Passarono gli anni e giunse purtroppo anche un giorno triste, efu quello in cui l’amante volle riprendere intera la sua libertà ed abbandonò ai loto destinimadre e figlia pur restando a Torino ove fa il cameriere. Questa parte della narrazione formail preludio soltanto dell'odissea di guai della poveretta. La fase più burrascosa della suamartoriata vita è venuta in seguito. La Novaresio continuò il suo triste racconto: — L'annoscorso la cattiva sorte mi fece incontrare nel Bonino Giuseppe. Egli era vedovo, io ero liberae ci unimmo maritalmente, nella mia abitazione in via Mazzini N. 44. Restammo insieme quattromesi e non furono, purtroppo, mesi di pace per me. Il Bonino era gelosissimo e lo dimostravacon scene di inaudita violenza che mi terrorizzavano. Quanti giorni e quante notte di spasimoabbiamo passato io e la bambina. Poi venne la notte fatale (quella del 6 novembre), il cui ricordomi fa tuttora rabbrividire. E la misera rabbrividì infatti: poi continuò: — Il Bonino è venuto acasa quella sera col viso spaventosamente oscurato dall'ira; ed iniziò una delle solite scenate,ma con un impeto di ferocia che ancora non conoscevo. Mi difesi come meglio seppi, ma losciagurato non voleva udire ragioni, e non trovando nelle contumelie sufficiente sfogo all'ira,mi percosse spietatamente. Ma nemmeno ciò valse a soddisfarlo. Ad un tratto egli afferrò unrasoio e mi si gettò addosso terribile. Col coraggio della disperazione mi difesi come meglioseppi: e sia per le mie grida, o sia per un baleno di pentimento che egli ebbe, si lasciò finalmentedisarmare; e poscia si calmò alquanto. Io approfittai di quel momento per nascondere l'arma nelmaterasso, temendo che l'ira lo riprendesse. E non mi ero su questo punto ingannata. Losciagurato dopo brevi istanti di semi-pace, risorse più terribile e minaccioso, e ghermitami dinuovo pel collo gridò furente: «Voglio, voglio ucciderti!» Ebbi in quel momento l’impressioneche la mia ultima ora era giunta. Invece lo sciagurato improvvisamente mi lasciò ed avvicinatosiad un armadio prese una piccola bottiglia e me la porse. Io, a tutta prima non compresi. — Bevi!— mi gridò imperiosamente il furfante- altrimenti ti uccido. Ma cosa c’è li dentro- domandaitimidamente. Non fare domande: bevi! — ripetè lui. — In quel momento non seppi comprenderela gravità dall'atto che mi si chiedeva e sotto il dominio della minaccia mi appressai alle labbrala bottiglia e ingoiai 11 liquido che conteneva.
Le terribili sofferenze
Il Bonino assistè all'atto, impassibile. Parve finalmente soddisfatto del sacrificio supremo che miaveva imposto. Io rimasi alcuni istanti come istupidita. Ancora non comprendevo la terribilerealtà della mia posizione. Me ne accorsi però poco dopo quando il veleno incominciò la suaterribile opera, strappandomi grida e singulti di spasimo. Il Bonino parve allora misurare leconseguenze che in suo danno avrebbero potuto venire, e assumendo un tono supplichevolemi scongiurò di nascondere la verità dicendo che mi ero avvelenata di mia volontà. Glie lopromisi, e mantenni la parola! Nulla avrei mai detto se ella non fosse venuto qui. I dolori intantoaumentavano — continuò — e allora ti Bonino svegliò la vicina di casa. Corto Angela, chepremurosamente accorse e mi preparò una tazza di camomilla, il che non valse, certo, a togliermile sofferenze. Fu allora deciso di accompagnarmi al vicino Ospedale di San Giovanni; il che fufatto.
Lettere compromettenti
Abbiamo detto più sopra che il Bonino si allontanò da Torino per assumere un impiego dichauffeur a Nicastro in Calabria. La lontananza però non aveva dato la tranquillità all’animo suo.Era tuttora in lui il timore che la donna rivelasse la verità terribile e questo stato dell'animo suosvelò in una lettera che fu trovata dalla polizia. La verità poi del racconto fatto dalla donna fuconfermata dalla minuta di una lettera che essa aveva scritta al Bonino in risposta a quella di lui.La denunzia e l'arresto
Il commissario Massera, dopo avere raccolto la gravissima deposizione, fece una visitanell’abitazione della Novaresio e nell’armadio trovò e sequestrò un’altra bottiglietta contenentedel liquido che fu poscia riconosciuto per acido muriatico, che il Bonino teneva presso di sè perle saldatura. Proseguendo poscia per altre vie le indagini, il funzionario potè raccoglieredeposizioni varie che lo misero in grado di stendere una particolareggiata denunzia all'autorità,giudiziaria. Presa conoscenza dei fatti, il Procuratore del Re spiccò subito mandato di catturacontro il Bonino; mandato che fu immediatamente inviato all'Autorità di Nicastro perl'esecuzione. In tal modo, dopo quattro mesi dal delitto, il Bonino è caduto nello manidella giustizia. Egli verrà presto tradotto a Torino per essere messo a confronto, se già la, mortenon avrà compiuto il suo triste ufficio, con la sventurata vittima. La bimba della disgraziata èstata provvisoriamente ritirata da una vecchia e pietosa donna.
.. e poi continua....
Conseguenze del gravissimo delitto scoperto dopo quattro mesiUn cameriere che si suicida perché citato dal giudice istruttoreLa Stampa 22.3. 1912
Ieri mattina l’Autorità venne avvisata che in una camera ammobiliata sita un caseggiato internodello stabile n. 37 di via San Francesco da Paola si era ucciso un uomo. Sul posto si recòimmediatamente il delegato Azzati con agenti. Salito nella camera, che è attigua ad altre puredate in affitto ammobiliate. Il funzionario rilevò che il suicida si era sparato un colpo di rivoltellaalla tempia destra, stando seduto sul letto. Il colpo era riuscito mortalmente fulmineo. Nella camerafu trovata una lettera chiusa, indirizzata all’ ufficio di istruzione presso il Tribunale. Il funzionarione prese possesso per consegnarla all’ufficio. Dalle informazioni attinte da alcuni dei presentiegli potè stabilire che il suicida è certo Tos Gioacchino di anni 42 da Santhià cameriere al Molinari.Potè inoltre accertare che il movente del suicidio risale al fatto da noi narrato nella cronaca del16 corrente. In quella triste narrazione abbiamo esposte le tragiche vicissitudini toccate ad unadisgraziatissima donna, certa Novaresio Clelia, d'anni 27, che, sotto il dominio di gravi minacceper parte del suo amante Bonino Giuseppe, aveva bevuto quattro mesi prima, e precisamentenella notte del 6 novembre, una pozione di acido muriatico. Risalendo nel triste passato dellasventuratissima creatura, abbiamo pure narrato che in età giovanissima essa si era completamenteabbandonata nelle braccia di un cameriere, che l’aveva resa madre di una bambina, che ora ha8 anni e che la madre aveva voluto tenere con sé invece di abbandonarla alla carità pubblica comefanno, purtroppo, la maggior parte delle donne nubili. Orbene l’autorità giudiziaria la quale stacostruendo l’inchiesta contro il Bonino che com’è noto fu arrestato a Nicastro volle naturalmenteprecisare anche tutte le circostanza dei precedenti della tragedia: e in conseguenza il giudiceistruttore incaricato dell’inchiesta fece pervenire un invito a interrogatorio anche a GioacchinoTos che era appunto il cameriere ex-amante della Novaresio. Appena il Tos fu in possesso deldocumento si dimostrò conturbatissimo, e questo suo stato d'animo confidò ad un collega colquale era in maggiore intimità. Nè valse a tranquillizzarlo il pensiero che a lui, legalmente, nonvenivano fatti addebiti riguardo al veneficio. Nelle sue successive confidenze al collega, questicomprese che il turbamento andava aumentando nell’animo suo. Infatti l’altro ieri egli gli chiesefra l’altro con quale mezzo avrebbe potuto darsi la morte senza soffrire. Impressionato da talidiscorsi ieri mattina il collega il quale affitta pure una camera nello stesso stabile entrò nellacamera del Tos per svegliarlo ma il disgraziato dormiva già di un sonno che non ha risveglio!Fu allora dato l’allarme al vicinato e poscia all’Autorità. Dopo le incombenze di legge il cadaverevenne trasportato negli istituti universitari del ValentinoNon è dato di sapere quali furono gli sviluppi della tragica vicenda. Nella Stampa del 29gennaio 1916, quindi di 4 anni dopo, un trafiletto reca l'annuncio del matrimonio di tal Arato Felice con Novaresio Clelia...Ci auguriamo a distanza di quasi cent'anni che non si tratti di una mera omonimia
martedì 21 maggio 2013
Torino nera: via Mazzini, anno 1912
Un gravissimo delitto scoperto dopo quattro mesi. Costringe con minaccia di morte l'amante ad avvelenarsi. L’arresto del colpevole.
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