sabato 8 maggio 2021

Una visita all'ex manicomio di Collegno

Tutto nasce in un lontano giorno d'inverno del 1944. La guerra volge al termine. Ovunque a Torino sono evidenti i segni dei bombardamenti alleati del luglio precedente. Natale è alle porte ma nella casa di mio nonno Giacomo non c'è nessuna voglia di festeggiare. Nonna Luigia sta male, da mesi una profonda depressione la isola dal mondo: tra lamenti, grida e rifiuto del cibo la vita sua e quella dei familiari è sempre più difficile. In questa situazione il medico condotto non vede altra soluzione che consigliare l'internamento in manicomio. Non esistono infatti psicofarmaci in grado di dominare la malattia, l'uso della clorpromazina, capostipite di questa classe farmacologica, è dei primi anni '50. E' così che nella primavera del '45 mia nonna lascia per sempre il paese, la casa e i familiari per entrare nell'ex Regio Manicomio di Collegno. 



Sono questi i presupposti alla base della mia ricerca di prove e documenti che gettino luce su una delle vicende della mia famiglia su cui non sono mai riuscito a trovare precise testimonianze. Il tentativo via mail indirizzato al Comune di Collegno, sede dell'ex manicomio, si era rivelato inutile. Ero stato indirizzato all'Ufficio edilizio, nonostante avessi specificato che la mia era una ricerca genealogica. La ricerca sul web, per contro, si è rivelata produttiva. Ho trovato infatti la pagina del Centro di Documentazione sulla Psichiatria col nome del curatore Lillo Baglio. In pochi giorni, grazie al suo interessamento, ho resuscitato dall'oblio la cartella psichiatrica di mia nonna Luigia. Non proprio una cartella clinica con tanto di diaria e terapie, ma comunque una faldone con tante notizie utili, dati relativi all'accoglimento della paziente, alle pratiche necessarie per l'internamento e all'atto di morte. La cartella presente nell'Archivio collegnese, che raccoglie migliaia di documenti provenienti da tutti gli istituti psichiatrici dell'area torinese deve la sua salvezza in primis a Roberto Contartese uno degli ultimi pazienti del manicomio, docente di filosofia, uomo di grande cultura affetto da schizofrenia paranoide, che nei momenti di lucidità era però in grado di portare avanti impegnativi progetti come la catalogazione e messa in sicurezza di atti documentali dei vari Istituti psichiatrici dell'area torinese, via via che erano dismessi. Lillo Baglio negli anni '80 proseguì in maniera ideale l'opera del Contartese.

Ritornando a mia nonna, la sua vera cartella clinica con le annotazioni sulla salute e sulle cure praticate è stata, come dicevo più sopra, dispersa al pari di quelle di migliaia altre pazienti. Ma è già da considerarsi miracoloso l'avere salvato dal degrado e dissoluzione questi documenti. 

In famiglia, la vicenda di nonna Luigia era sempre stata tratta con una certa opacità. Si faceva risalire la sua condizione psichica ad un tumore in stadio avanzato che le procurava dolori terribili. Può essere vero questo, le testimonianze familiari al riguardo sono sempre state piuttosto vaghe. Mi sono chiesto spesso con quale frequenza mio padre, nonno Giacomo si recassero in visita a Collegno. Come vivesse Luigia l'alienante distacco dai luoghi cari, anche su questo è calato l'oblio.

Entrare tra le mura del vecchio manicomio che ancora reca i segni del suo passato utilizzo, è stato un momento particolare. 


Nella grande sala della biblioteca, adibita a luogo d'incontro, mentre sentivo l'inesauribile  messe di informazioni sulla storia del complesso manicomiale fornita dal Sig. Lillo, il mio sguardo andava al pavimento in mattonelle di graniglia e alle sbarre che proteggevano quasi tutte le numerose finestre. Era questa sala, in origine, una delle ali di cui erano composti i vari settori del manicomio. Una targa in plexigas ricorda l'opera meritoria del Contartese, alle pareti quadri di art brut creati dalla fantasia dei ricoverati, alcuni autentici artisti. Ad arricchire il flusso di informazioni ed aneddoti del Sig. Lillo è intervenuto nella mattinata una figura illuminata della psichiatria torinese, il Prof. Annibale Crosignani, che parallelamente ad altre esperienze italiane, inizia nel manicomio di Via Giulio un esperimento di radicale rinnovamento nell'assistenza dei pazienti fin dal 1969, nove anni prima quindi della legge 180. Nello specifico a Torino la chiusura dei manicomi si può far risalire al 1973, con la creazione di un sistema di assistenza territoriale.  Il sistema è ancora allo stato embrionale quando nel 1978 entra in vigore la nuova legge: le carenze della rete assistenziale si fanno sentire e le prime vittime di ciò sono i malati stessi. Ogni guerra ha i suoi morti -dice qualcuno riferendosi alle centinaia di malati che dall'oggi all'indomani si trovano tra le mani una libertà di cui non sanno cosa fare e finiscono dispersi o muoiono senza assistenza alcuna, perché nessuno ha pensato a creare adeguate forme di sostegno post ricovero. 

Una passeggiata lungo il perimetro del bel chiostro dell'ex Certosa conclude la visita in questo luogo dove ho ritrovato le tracce dell'esistenza di una nonna che non ho mai conosciuto, ma che la memoria familiare ha conservato e trasmesso. Sono uomini come Contartese, Baglio e Crosignani che portano avanti la testimonianza di un grande affresco storico, ognuno nel suo ambito di competenze, tutti insieme uniti da un sentimento di grande valore: la passione per la cultura e per il valore della persona umana.