sabato 3 novembre 2012

Memorie di uomini sconosciuti: Michelangelo Torretta (aggiornamento ottobre 2023)


Il tutto è iniziato con un cartolina acquistata online. Come in altre occasioni si trattava di qualcuno vissuto a cavallo tra '800 e '900, prigioniero di guerra, e della sua corrispondenza dal campo di prigionia. La cartolina  mi aveva incuriosito perché la sua destinazione era Torino. E poi la grafia del mittente era curata, l'eloquio perfetto e gli accenni alle condizioni della vita da prigioniero, per quanto consentito dalla rigida censura austriaca (ma anche italiana), precisi e contenuti. Nell'arco di un mese sono riuscito ad acquisire venti, preziose, testimonianze di Michelangelo Torretta allora tenente degli alpini detenuto in un campo magiaro in territorio austriaco dal settembre 1917 a fine (la data di liberazione è oscura) 1918.
I destinatari sono vari: Marianna Torretta Carrera (la madre), Emilia e Lidia (le sorelle) e Luigi (il fratello)       


Ma per ricostruire la vicenda umana di Michelangelo Torretta bisogna partire dalla sconfitta di Caporetto a fine ottobre del 1917, evento che  segna i destini di molte persone. La prigionia di Torretta inizia il 7 novembre a pochi giorni dunque dalla disfatta dell'esercito italiano. Negli scritti dal campo di prigionia viene più volte citato il nome del colonnello Alliney che in effetti si ritrova in molte memorie belliche come comandante del 3° reggimento alpini, lo stesso cui appartiene il Torretta. Il rapporto di questi con l'Alliney è cordiale e sembra essere alla base del trattamento di favore di cui Michelangelo fruisce quando viene trasferito dal campo di Magymagyar a quello più confortevole di Felsösag. 
Sul web non esistono molti riferimenti al Torretta. Il necrologio della morte su La Stampa è del 27 aprile 1951

27 aprile 1951

E' deceduto ieri il Cav. Michelangelo Torretta

Capitano C. degli Alpini

Medaglia d'argento V. M. 1817

Ne danno il doloroso annuncio la moglie Lina Micca, le sorelle Emilia Piacenti e Lidia MarconCini, i cognati comm. avv. Griva, sen. prof. Marconcini, Micca, Arile e Ruatto; i nipoti Griva, Piacenti Franchi, Marconcini; parenti ed amici. I funerali avranno luogo sabato 28 alle ore 9, da via Giolitti 9.

Dall'annuncio si ricava che una delle sorelle, Lidia, andò in sposa al senatore Marconcini, uno dei fondatori del Partito Popolare e ultimo proprietario del Castello di Bruzolo, dove passò gran parte della sua vita.
Nelle 20 cartoline che racchiudono l'esperienza di Torretta nei campi di prigionia austriaci è ricorrente uno degli aspetti più tipici del prigioniero italiano detenuto oltre confine dopo Caporetto ovvero la sua dipendenza dall'invio di pacchi dalla madre patria, in ultima analisi dalla famiglia d'origine. Le richieste di oggetti comuni quali sapone, calze di lana, dentifricio e pane si uniscono a quelle più singolari di spazzole per la testa, grasso per scarpe, forbici da unghie, penne e portapenne, carta bianca o a quadretti che denotano una condizione di relativo benessere esistenziale pur nella condizione di prigionia. La monotonia e il vuoto delle lunghe giornate sembra assillare la condizione del prigioniero più dei disagi materiali pur presenti (freddo e vitto scadente). Spesso il rimprovero per il mancato ricevimento delle agognate e preziose sigarette, "il fumo", si fa perentorio pur nella forma garbata che è propria di Michelangelo. Il quale non dimentica, nella rampogna, di ricordare che è possibile acquistare sigarette a prezzo di esportazione quindi più convenienti! La salute del prigioniero è sempre buona nonostante un accenno, ripetuto, ad un passato di salute cagionevole. Non mancano nella corrispondenza delle annotazioni alla vita di ogni giorno. “Nel viaggio per recarci qui abbiamo racimolato un discreto numero di volumi che ora sono uno dei nostri migliori passatempi perché le giornate sono veramente eterne. Alla sera alle 9 sono sempre a letto e al mattino la sveglia è alle 7. Alle 8 colazione, una tazza di quasi caffè, alle 11,30 pranzo semolino e un pezzo di carne e un piatto di verdure” TRE RIGHE CENSURATE  “Ma animo. Avremo giorni migliori”. La liberazione con ogni probabilità avviene alla fine del 1918 (l'ultima missiva è del 22 settembre: in essa si rinnova la speranza di un rimpatrio imminente). Del dopo nulla è dato di sapere. Di sicuro c'è la promozione a Capitano da Tenente qual'era durante la prigionia.
E' nel cimitero di Torino che ho trovato la sua tomba. Si tratta sicuramente di lui in quanto le date corrispondono perfettamente. In una cartolina del 22 gennaio 1918 indirizzata alla madre  Marianna scrive infatti " Compio oggi 39 anni!" Di lui così abbiamo anche la memoria visiva, busto e viso rivolti a guardare di lato, un naso sottile e pronunciato sotto cui  è disegnata la linea curata dei baffetti, un mento aguzzo e un sorriso appena accennato.... Nessun altro familiare dei Torretta è sepolto nei cimiteri di Torino.

Cimitero Monumentale di Torino Campo L, scomparto 319, celletta 50





giovedì 1 novembre 2012

Brani di memoria II: Sion nel 1960

Sion è un luogo pieno di significati, nel mio sussidiario della memoria. Che in questa stagione 2012 la squadra locale di calcio abbia acquisito l'esperienza di una una vecchia gloria del football milanese, sport di cui peraltro mi disinteresso in somma misura, non fa che alimentare questo intermittente risveglio dei ricordi.  

Il caseggiato in cinquant'anni, è cambiato poco o nulla. Lì al terzo piano abitava mia sorella, fresca sposa di un nostro cugino, emigrata in Svizzera per cominciare la sua nuova vita nel 1960. Le mie trasferte in quel mondo che allora mi appariva poco comprensibile nella sua vastità, se non a volte addirittura ostile in alcune occasioni. Mia sorella, desiderosa di far uscire il fratello minore dallo stato abulico dell' infanzia, mi spingeva a familiarizzare con la realtà di tutti i giorni, spedendomi a comperare il pane. Mi ripetevo scendendo le scale "Bonjour, Madame. Une demie livre de pain s'il vous plait. Oppure "Cinq cent grammes de saucisson" imprecando per il fatto di dover pensare in termini di libbre e di grammi invece del familiare ettogrammo. In genere di fronte al negoziante, che nel ricordo mi sembra sempre che fosse molto più in alto di me come i macellai dietro i loro banchi  a Torino, tutto filava liscio ma c'erano volte in cui qualcuno mi rivolgeva una domanda cui io regolarmente non sapevo rispondere: costernazione e senso di inadeguatezza..... Ma Sion non era solo questo, era anche il senso della scoperta di abitudini, di luoghi, di paesaggi che mi apparivano per la prima volta, singolari, paurosi ed attraenti. E' pur vero che il mio mondo rimaneva circoscritto dall'incapacità fondamentale di comunicare con i miei simili, ma la ricchezza di immagini ed esperienze acquisite in quei soggiorni era un bagaglio emotivo che durava per mesi.
Mia sorella possedeva uno scaffale dove erano allineati libri e dischi, i primi quasi esclusivamente in francese che cominciavo faticosamente a masticare, i secondi edizioni per lo più tedesche della Deutsche Grammophon tra cui L'anello del Nibelungo e la Sinfonia del Nuovo Mondo per me, digiuno di cultura musicale, entusiasmanti scoperte. I pomeriggi d'estate erano lunghi e spesso ero solo in casa. Fuori sulla Rue de Lausanne scorreva il traffico: erano automobili molto diverse dalle Fiat conosciute a Torino. Simca Aronde, Renault Dauphine, Ford Taunus, Panhard, mi annotavo i nomi su di un taccuino ed elaboravo giochi basati sul numero di passaggi delle varie marche in strada. Le visite a piedi, oltre a quelle scontate nei supermercati cittadini (allora la realtà supermercato era da noi a Torino ancora sconosciuta, esistevano nel quartier San Paolo dei "bottegoni" ma il modello scaffali con casse multiple all'uscita non si era ancora visto) avevano come meta le due montagnole che movimentano la skyline di Sion: Tourbillon e Valère. Li in estate si tenevano le rappresentazioni di Son et Lumière con proiezioni di luci sulle mura del castello o della collegiata e narrazioni storiche. Ricordo ancora le sciabolate azzurrine o arancioni sulla pietra scabra degli edifici e i suoni piacevolmente drammatici, dei testi (di sicuro in francese) nulla. Sion durò una manciata di anni nella mia vita poi mia sorella si spostò ad ovest verso la grande città (Ginevra) ed io dimenticai per molto tempo quel mio primo approccio oltre confine. Vi sono tornato per curiosità l'anno scorso: il caseggiato in cui soggiornai è incredibilmente identico dopo più di 50 anni, stesso colore smortino, stessi materiali, cemento e plastica, persino stessi negozi al piano terra.... gli svizzeri in fatto di case (ma forse non solo) sono davvero dei grandi conservatori.   

domenica 7 ottobre 2012

Memorie di uomini sconosciuti: Edward Johnson, fine '800.

Molto difficilmente riusciremo a scoprire qualcosa in più su Edward Johnson, di quanto è scritto sulla pietra della piccola tomba che fece erigere nel Cimitero della Foce a Sanremo a fine '800, per accogliere prima i due figlioletti poi la moglie Sophia. 
Sul lato destro del parallelepipedo sepolcrale un iscrizione ricorda che il 29 agosto 1866 a Sanremo morì di febbre gastrica (probabilmente una gastroenterite infantile, malattia a quei tempi facilmente mortale) il figlioletto Edward di 2 anni e mezzo, unico figlio rimasto. Pochi giorni prima infatti, il 24 agosto, era morta in Mentone, la sorellina Bessie Isabel di 2 mesi per "convulsioni interne".  Sulla faccia posteriore della tomba infine è ricordata la morte della moglie Sophia, di 27 anni, nel febbraio 1867 per tisi.
Di Edward Johnson sappiamo solo che si fregiava del titolo di Esquire che letteralmente significa Scudiero. In realtà potrebbe trattarsi di un titolo nobiliare in uso nel Regno Unito per indicare genericamente un proprietario terriero. In America invece il titolo di Esquire (anche se non con valore legale) corrisponde alla professione di Avvocato. Nulla si sa dell'ulteriore destino del vedovo. La tomba, di buona fattura e ancora in buone condizioni, aveva nell'ottobre del 2012 un vaso di fiori posto alla sua base.






Cimitero della Foce, Sanremo



sabato 29 settembre 2012

mercoledì 19 settembre 2012

Grandi uomini del passato: Giuseppe Bozzuto medico nella Napoli del '600


Il 1656 fu per Napoli il terribile anno della peste. Il morbo ebbe inizio in gennaio portato da soldati spagnoli giunti in nave dalla Sardegna. Il primo malato fu ricoverato nell’ospedale dell’Annunziata, dove fu posta la giusta diagnosi da parte di un medico di nome Giuseppe Bozzuto. Purtroppo l’allarmante realtà non fu presa in considerazione anzi il medico fu messo a tacere ed imprigionato perché, a parere del Viceré, aveva diffuso notizie false. L’ammalato intanto, come alcune persone venute a contatto con lui, morì accusando i sintomi del male. Il coraggioso gesto del Bozzuto non ebbe seguito in quanto i suoi colleghi preferirono tacere la natura della malattia, temendo le reazione delle autorità. Il mancato isolamento dell’ammalato e degli oggetti appartenutigli favorì così il propagarsi dell’epidemia. La vicenda di Bozzuto può ancora essere seguita dopo l’imprigionamento per qualche giorno. Tra le scritture contabili del Banco dell'Annunziata del 1656 vi è un conto intestato al «dottor medico» Giuseppe Bozzuto, dipendente di quella Casa Santa, conto che reca due accreditamenti del 9 febbraio e del 10 maggio di 14,11 ducati ciascuno, disposti in suo favore dai governatori della Casa Santa dell’Annunziata. Dopo l’11 maggio 1656, data in cui si estingue il conto acceso in anni precedenti, non rimane del medico alcuna traccia, segno che egli era con ogni probabilità nel frattempo deceduto.

Le motivazioni al comportamento irresponsabile del Viceré Conte Castrillo furono addotte al fatto che il riconoscere lo stato di epidemia avrebbe significato sospendere gli aiuti militari ai suoi compatrioti impegnati a Milano contro i Francesi. Altra motivazione le serie difficoltà di ordine economico in cui versava il Regno che sarebbero state sicuramente aggravate dal riconoscere il morbo in città. Da ultimo il permesso dato alla popolazione tra gennaio e maggio, di esodo verso le province contribuì non poco alla diffusione della peste. Un ultima analisi storica vuole che il comportamento del Castrillo fu un deliberato atto di “assassinio” della popolazione, alla luce della rivolta di otto anni prima capeggiata da Masaniello. L’idea di dover estirpare con ogni mezzo questo sentimento dalla plebe napoletana ricorre in rapporti del Vicerè destinati al re e conservati negli archivi madrileni “Se vogliamo continuare a governare questa città… dobbiamo cauterizzare tale sentimento con ferro incandescente”

 

In un testo del 1867 di Salvatore De Renzi troviamo una ricostruzione di quella vicenda

 
-          ….Dio sceglie per punire.

-          E che mi state a farneticare di giustizia di Dio, ripigliava il medico; che mi state a raccontare di vendette di chi è il sommo della bontà e della clemenza. Questa è vendetta non di Dio, ma de’ nostri tiranni; sentitevelo chiaro, questa è la peste che gli Spagnuoli sia per trascuratezza sia per volontà ci han portato dalla Sardegna per distruggerci.

-          Misericordia! Esclamavano gli altri, che ne sapete voi della peste?

-          E se non sa questo che volete che sappia un medico? Ripigliava quello. L’uniformità della malattia; i buboni i lividori le petecchie; il principio da uno ch’è tornato da Sardegna; la progressione da lui al servente, dal servente alla madre di….


-          Ma che dicono altri Medici ripetevano quelli, massime quei grandi medici che sono dalla mattina alla sera, che dalla Casa di un principe passano a quella di un marchese di un duca di un conte; che visitano sua eccellenza e che fanno da professori e protomedici?

-          - Eh sciocchi, rispondeva il Medico, e voi da questi aspettate di sentire la verità! Essi sono abituati a far la corte a sua Eccellenza ed a’ principi; essi tengono la carrozza e accumulano ricchezze perché adulano, perché vanno alla caccia di una meschina popolarità! Essi queste cose le sanno ma le nascondono perché non vogliono farsi nemici.

Questo medico coraggioso si chiamava Giuseppe Bozzuto; abitava né Quartieri bassi della città; ed abituato col volgo parlava concettoso e franco; e con la celia e coll’arguzie correggeva ed istruiva. E quando egli parlava si concitava e batteva il bastone e le sue pause erano segnate dalle prese di tabacco e tutta la gente di strada si affollava intorno a lui per ascoltarlo. Ed in mezzo ai crocchi ne’ quali si facevano i riferiti dialoghi eravi un tale che era stato Eletto della città, messere Donato Grimaldi, il quale riferì tutto al Viceré e sparse subito la voce che il Dottor Bozzuto aveva dichiarato esistere la peste in Napoli… Il Vicerè fece chiudere l’impudente Medico in oscure prigioni. Ivi sopreso dalla peste ottenne appena la grazia di andare a morire nella sua casa. Ecco il destino di chi predica la verità nel regno dell’oppressione e della menzogna

 

 


 

Tipografia di De Domenico Pasquale Via Anticaglia 35

Napoli 1867

 


 

Fatto


 


 

 

lunedì 17 settembre 2012

Napule è 'na carta sporca (e niscuno se ne importa): visita a San Gaudioso

Il treno che mi porta a Napoli sotto la pioggerella di settembre è in ritardo. Ho tempo  di leggere qualche notizia in più sulle catacombe di San Gaudioso oltre quelle già raccolte dal rete e di ricordare l'intreccio di vie per arrivarci. La mente intanto va alla  mia prima visita  ormai una decina d'anni fa, allora mi ero mantenuto con un briciolo di cauta diffidenza sui grandi corsi, a ridosso del lungomare e così ne avevo ricavato un idea di città caotica  e  nulla di più. La scoperta è avvenuta gradualmente, nelle visite succesive, grazie alle lunghe passeggiate attraverso il centro storico, lungo tutta via Tribunali e via San Biagio dei Librai per intenderci. Ricordo che qui lo sguardo non aveva il tempo di immagazzinare un'immagine o una scena che già un'altra si presentava in un flusso continuo di curiose sorprese. Leggevo, passando, di Vico Scassacocchi, Vico Fico al Purgatorio e già la mente si interrogava sul significato di questi nomi che poi più tardi avrei cercato di scoprire.


Adesso ogni volta che ritorno in città  la via Tribunali è il passaggio obbligato verso qualsiasi destinazione sia essa la zona musei, il rione Sanità o la ricerca dei vari sepolcreti partenopei. La pizzeria dei Di Matteo è una delle tappe costanti del peregrinare, anche solo per un breve assaggio. Non ho mai avuto sorprese negative, per curiosità ho interrogato Tripadvisor che ha recensito il locale con 350 e passa giudizi. Mi sono stupito dei 18 "pessimo" assegnati, legittimi di sicuro ma alla luce delle mie frequentazioni, singolari. Scontrini lesinati, sporcizia e altre brutture. Stupore dicevo perchè a me lo scontrino l'han fatto senza che lo richiedessi, il servizio è stato puntuale e moderatamente cordiale (in rapporto al numero di persone che servono, numero che in qualsiasi parte d'Italia è inversamente proporzionale alla gentilezza elargita al cliente) tanto da pensare che questa pizzeria è un pò il simbolo di una città dalle mille contraddizioni. Ma torniamo alla visita di quel giorno di settembre....la meta erano le catacombe di San Gaudioso, altro tassello della Napoli sotterranea che mi appassiona da anni. L'entrata in Santa Maria della Sanità lascia interdetti: forse è la natura stessa del progetto con cui è stata concepita, con le numerose cappelle laterali, che non permette uno sguardo in grado di cogliere la bellezza del tutto. Le impressioni si susseguono isolate, senza la piacevolezza che deriva dall'armonia. Le rampe che conducono all'altare maggiore, la sottostante basilica paleocristina sono di rara bellezza. Ma lo scopo della visita era la scoperta del San Gaudioso sotterraneo..... Mi dirigo quindi seguendo le frecce  in fondo a sinistra dove una scrivania costituisce la sede provvisoria della biglietteria per la visita delle catacombe. Scopro che l'ultimo turno di visite inizia di li a 15 minuti. L'esiguità del numero di accessi possibili giornalmente è da sempre un problema (alle 13 si chiude inesorabilmente), peraltro di impossibile soluzione viste le contingenze economiche in cui versa  la città e la sua cultura. La guida è cordiale, lentamente il numero di visitatori aumenta ma resta contenuto ed accettabile. Tra gli italiani una famigliola con due bambini. E sarà proprio uno dei due mocciosi a spogliare la visita della sua paleocristiana aura storica..... Irrequieto e petulante il fanciullozzo metterà a dura prova l'aplomb professionale della nostra guida  cercando di colpirne il documento di riconoscimento appeso ad un nastro, di calpestare in ogni occasione il raggio della luce proiettato in terra con esibizione di altri bambineschi e fastidiosi trastulli. I genitori.... ecco qui l'emblema di molte italiche (ma non solo) maleducazioni, vizi trasmessi forse col latte alla progenie. I genitori  osservano il rampollo senza intervenire, la madre forse assorta nell'abulica contemplazione di  reliquie secolari non proferisce verbo, il padre talora con condiscendente comprensione si limita a rimbrotti affettuosi. E San Gaudioso? Nonostante la noiosa presenza della piattola infante, i segni millenari che ornano le pareti delle catacombe lasciano un'impressione forte anche nel visitatore più disattento. Le coppelle ai muri, in cui  erano incastonati i crani dei ricchi defunti, sormontano eterni la tenue traccia degli scheletri che adornano le pareti. Ma in un angolo il presente irrompe nel maestoso silenzio dei secoli sotto forma di uno sgocciolio sulla pietra nera del pavimento. Pare che su, in alto, un condominio abbia una perdita che nessuno riesce ad individuare. I tempi si allungano, l'acqua continua a cadere ormai da più di un anno e tra rimpalli di responsabilità muri si piegano. Questa è Napoli, Signori miei, dice qualcuno nel buio. La visita finisce, si esce silenzio alla spicciolata, per fortuna il vociare querulo del fanciullino piattola riporta velocemente le menti ancora circonfuse di eternità  alla maleducata realtà dell'oggi...... La porticina laterale della chiesa si apre e riesplode il delizioso degrado della Sanità.   

venerdì 14 settembre 2012

Walter Bonatti e la clinica romana

Mentre il treno sotto una pioggia battente mi porta a Napoli leggo su La Stampa del 13 settembre l'articolo sulla vicenda umana di Walter Bonatti morto un anno fa dopo lunga malattia. In esso viene riportata l'uscita imminente del libro della sua compagna "Una vita libera" in cui, tra l'altro, si raccontano gli ultimi momenti della vita del grande scalatore in una clinica privata romana. Lei allontanata dal letto di morte perchè non regolarmente coniugata, lui in agonia per un cancro terminale rianimato contro ogni logica da medici disumani che ognuno di noi si augura di non incontrare mai nella vita. Sembra un racconto di fantascienza ambientato in una società futura che ha perso ogni pietà verso la sofferenza, popolata da cinici esecutori di una scienza medica senza più umanità ed invece siamo nel 2011 in una clinica romana privata con medici che vengono pagati per curare ed alleviare (ci si augurerebbe) le sofferenze di chi non ha più speranze di vita. L'articolo in sè riporta scene riferite dalla Podestà sconvolgenti, come quella del medico che continua ad ossigenare Bonatti già defunto. Neanche la cinica freddezza del Dott Tersilli sarebbe arrivata a tanto. Non conosciamo il nome della clinica romana nè del medico che con diligenza tenta di resuscitare un morto, peccato.

Dal Sole24 Ore del 13 settembre 2012


domenica 26 agosto 2012

1952: quando l'ideologia rende ciechi.... Beppe Fenoglio e Davide Lajolo

L'ideologia quando non è posta al servizio di un attento autocontrollo può far compiere ad uomini peraltro intelligenti ed onesti degli errori molto imbarazzanti. E imbarazzante fu nel 1952 lo spietato giudizio, vera condanna morale e di contenuti, che Davide Lajolo espresse sull'opera fenogliana I ventitrè giorni della città d'Alba sulle pagine dell'Unità. Imbarazzante perché mossa dal furore sacro dell'ideologia appunto resistenziale. E' pur vero che in quegli anni la mitologia del buon partigiano non era sottoposta a nessun tipo di critica o di seria analisi storica, stupisce tuttavia la ferocia dell'articolo del critico di Vinchio: lo scrittore di Alba lavorava in un'azienda vinicola, Lajolo arrivò a mettere in dubbio l'onestà commerciale di Fenoglio chiedendosi se "questo mestiere lo esercitava onestamente o vendeva vino annacquato...". Solo la sacra fiamma dell' ideologia (fiamma che ha bruciato proprio in quegli anni così tante persone) può annullare l'intelligenza di un direttore di giornale colto e stimato come Lajolo. Rimando alla bella pagina di Ferrero per ulteriori approfondimenti.


lunedì 6 agosto 2012

Torino 1882: nasce Via Mazzini

La prima notizia riguardante via Mazzini compare su La Stampa del 5 gennaio 1882 in forma di  breve nota dell'attività del Consiglio Comunale presieduto dal sindaco Ferraris.

Sindaco informa i colleghi come ieri gli fu recata una petizione per cura dei promotori della 
commemorazione di Giuseppe Garibaldi per invitare il Municipio a dare il nome di via Cacciatori delle Alpi alla via San Lazzaro, a porre una lapide alla casa abitata da Garibaldi nel 1859 e a denominare via Mazzini una delle principali vie di Torino. La petizione dovrà fare il suo corso secondo la materia di cui si tratta.
La Stampa 4.7.1882

L’iter della petizione volto a ridenominare via Borgo Nuovo è rapidissimo. Già nella seduta del 5 luglio viene approvato il cambiamento

Giovedì 5 Luglio 1882 Seduta Straordinaria del Consiglio Comunale
Il Sindaco riferisce sulle proposte fatte dalla Commissione eletta per le onoranze a Giuseppe Garibaldi. La Commissione propone:
1° Che il Municipio concorra per L. 100 mila all'erezione di un monumento in bronzo a Garibaldi, lasciando in seguito il deliberare sulle modalità del concorso e sulla ubicazione
2° Collocazione di una lapide commemorativa di Garibaldi nella casa ove risulterà essersi tenuta la prima riunione per la spedizione dei Mille
Che alla via Borgonuovo venga dato il nome di via Mazzini
4° Che alla via S. Lazzaro venga imposto il nome di via dei Mille.
Succhiotti vorrebbe si mettessero subito in votazione queste proposte [………]
Il Sindaco mette ai voti la proposta del concorso di 100,000 lire pel monumento a Garibaldi. È approvata. Proposta per la lapide. È approvata. Denominazione di via Mazzini. È approvata.
Denominazione di via Dei Mille.
È approvata.
La Stampa 6.7.1882

Gli annunci pubblicitari si adeguano.

INCANTO per TRASFERIMENTO
Via MAZZINI, 27 (già Borgonuovo).
Martedì 25 luglio corrente, ore solite, a richiesta dei proprietari, il sottoscritto, per incarico avuto, procederà alla vendita ai pubblici iucanti di eleganti mobili, consistenti : in sala completa palissandro scolturato stoffa damasco lana cremisi; camere da letto complete, armadi e cassettoni a specchio, letti ferro diversi, tavole a coulisse, due pianoforti verticali, guardarobe noce, specchi, molti quadri antichi e moderni, vasi del Giappone, ricche guarniture, pendoli, ecc., ecc.
N. FORCHERIO, estimatore.
La Stampa 22.7.1882

Sulle Guide turistiche della Città compare Via Mazzini con ancora il ricordo della vecchia denominazione


Via Mazzini, già via Borgo Nuovo, tra la via Lagrange e corso Lungo Po.


Sulla guida Borbonese si legge una curiosa ed impietosa descrizione delle caratteristiche della via. Allora un tram la percorreva verso est.

E . BORBONESE
GUIDA D I TORINO
TORINO. TIPOGRAFIA ROUX FRASSATI. 1898

Via Mazzini (via, già Borgonuovo). - Dalla via Lagrange dopo il 4° isolato a sinistra, al corso Cairoli.
Tram: Da piazza Emanuele Filiberto al Valentino per via Lagrange.
Venne aperta nell'anno 1832 e seguenti, su terreni posti fuori della linea dei bastioni, che cingevano da quel lato la città. E’ alquanto triste e monotona, sia per essere chiusa verso ponente, sia perchè la sua larghezza non è in rapporto alla sua lunghezza, che è di oltre un chilometro. Questa via, che si distacca da quella Lagrange e si prolunga, verso levante sino al P o, attraversa dopo il primo isolato, la piazza Bodoni, sulla quale trovasi uno dei pubblici mercati municipali e nel cui mezzo sorge il monumento in bronzo al generale Lamarmora. A circa metà del suo percorso, colla facciata volta a mezzogiorno, s' innalza maestosa la Chiesa parrocchiale di S. Massimo



venerdì 3 agosto 2012

Torino 1938: Nascita dell'Ospedale Ostetrico Ginecologico Sant'Anna di Torino

Pagina 6 (29.10.1938) La Stampa - numero 257

Più lunga e più commovente è stata poco dopo, in corso Spezia, la visita alla R. Opera di Maternità. Davanti all'edificio e sotto l’atrio erano schierate folte rappresentanze di Camicie Nere e di donne Fasciste del Gruppo Rionale «Filippo Corridoni», insieme con i sanitari, gli infermieri, le infermiere e le suore dell'Istituto. A ricevere S. E. il Prefetto e le altre Autorità all'ingresso si trovava l'on. Orsi, alla cui infaticabile attività si deve se, quale presidente del Comitato iniziatore e organizzatore, la grandiosa e magnifica sede ha potuto essere realizzata. Con lui erano il presidente dell'Opera, prof. Carrara, il direttore prof. Cova con gli aiuti Professori Zocchi e Porcaro e il progettista architetto ing. Chevaley. Era pure intervenuta la Fiduciaria dei Fasci femminili. In una sala si trovavano riuniti una ventina di neonati, e poco dopo il reverendo Appendino, cappellano della Maternità, procedeva al Battesimo del primo nato nella nuova sede, padrino S. E. il Prefetto, madrina la gentile signora Giannina Venesio-Pettinati. In un'altra sala, al primo piano erano riposte numerose graziose culle sormontate da un velo e dal fiocco rosa o azzurro. In altre sale al terzo piano S. E. il Prefetto ha visto riunite accanto ai loro letti le gestanti e le ha salutate con affabilità, rivolgendo loro parole benevole. Il Capo della Provincia ha espresso anche qui il suo profondo compiacimento, dicendo quanto fosse soddisfatto di questa nuova imponente realizzazione compiuta dal Regime a Torino. La visita si è conclusa con la sfilata delle automobili sui corsi V Novembre ed Enrico Tazzoli

Il Principe all'Istituto di Guerra all'Ospedale Militare e alla nuova Maternità
Pagina 6  (06.12.1938) LaStampa - numero 289
….il Principe si è poi recato a visitare la nuova sede dell'Opera di Maternità in corso Spezia. Umberto di Savoia è stato ricevuto da S. E. il Prefetto, dal Podestà, dal rappresentante del Federale, dal Rettore Magnifico, dal presi dente dell'Opera avv. Carrara, dal Direttore prof. Cova, da tutto il Corpo sanitario, dall'on. Orsi, dalla madrina Tina Ghislieri vice-presidente del Comitato Opera Maternità ed Infanzia e dal progettista del nuovo edificio. Il Principe ha visitato minutamente tutti i reparti modernamente attrezzati, intrattenendosi con alcune delle ricoverate che hanno espresso all'illustre visitatore la loro gioia. Alla fine della visita Umberto di Savoia ha espresso il suo compiacimento per la moderna attrezzatura dell'Opera. Quando il Principe ha lasciato la Maternità è stato salutato da entusiastiche manifestazioni a Casa Savoia.

martedì 31 luglio 2012

Torino scomparsa: il Monastero delle Monache Turchine dell'Annunziata


Il seguente brano è tratto da un articolo di  Carlo Balma Mion Un altare ritrovato di Mario Ludovico Quarini:Dalla chiesa del monastero dell’Annunziata di Torino alla parrocchiale di San Maurizio Canavese pubblicato nel 2009 sul Bolletino della Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti, Nuova Serie – LIX – LX, 2008 - 2009
 
La soppressione delle corporazioni religiose, «pericolose per la società per i principi che seguono, e inutili in un Governo in cui le pratiche religiose sono ridotte alla primitiva semplicità», durante il periodo napoleonico 
portò alla dispersione di molti degli arredi fissi e mobili che ornavano gli edifici appartenenti a ordini monasticicongregazioni e confraternite religiose.Il monastero torinese delle monache dell’Annunziata, chiamate anche Celestine o Turchine fu uno degli edificiche vennero spogliati per trasferire gli arredi nelle chiese della 
provincia: tra queste figura anche la parrocchiale di San Maurizio Canavese che ricevette gratuitamente un 
altare di marmo con ciborio e cornice per l’ancona con due angeli lignei al di sopra, due balaustre in legno, 
due piccole vasche in pietra di Gassino per l’acqua benedetta e due angeli lignei di grandezza quasi naturale. La descrizione precisa della donazione forzata a favore della chiesa di San Maurizio, contenuta nel verbale 
del  Visiteur des Batiments Nationaux  unitamente al procés verbal e all’inventario redatti al momento 
della confisca dei beni, forniscono un’accurata descrizione degli arredi mobili e immobili e delle proprietà del convento soppresso. Questo si trovava all’incrocio delle attuali vie Giolitti e Carlo Alberto e dava il nome 
all’intero isolato, edificato nell’ambito del primo ampliamento di Torino, iniziato negli anni Venti del XVII 
secolo. La chiesa, il cui alto tamburo della cupola è ben riconoscibile nella veduta a volo d’uccello della città 
contenuta nel  Theatrum Sabaudiae rappresenta il primo progetto torinese conosciuto di Francesco 
Lanfranchi; eretta nel 1632 grazie alla munificenza di Vittorio Amedeo I come ringraziamento per la feconditàdella moglie Cristina di Francia, venne affidata alle suore da lei chiamate dalla Borgogna, ma consacrata 
soltanto oltre un secolo più tardi, il 9 luglio 1742, essendo arcivescovo di Torino Giovanbattista Roero e 
abbadessa del monastero Maria Diodata de’ Beggiami; è possibile tentarne una ricostruzione planimetrica 
confrontando alcune delle mappe più dettagliate della Torino sei e settecentesca e quella proposta in Forma urbana e architettura nella Torino barocca. L’edificio lanfranchiano paragonabile per impianto planimetrico 
alla Chiesa della Visitazione  ancora oggi visibile all’angolo tra via XX Settembre e via Arcivescovado) 
aveva pianta a croce greca, sul retro della quale era posto un coro di forma quadrangolare; i bracci della 
croce greca erano costituiti dall’ingresso, dall’altar maggiore e dagli altri due altari  dedicati rispettivamente alCrocifisso (a sinistra) e a San Giuseppe (a destra); dal verbale di consegna degli arredi veniamo poi a 
conoscenza del fatto che la chiesa era dotata di due sacrestie, una alta e una bassa. L’altare maggiore 
seicentesco, precedente agli interventi di rivestimento marmoreo, era invece con ogni probabilità simile agli 
altari laterali, cioè formato da colonne scolpite di legno con decorazioni a finti marmi. La parete di fondo era arricchita da una grande ancona dedicata all’Annunziata posta entro una doppia cornice, dorata quella più 
interna e di marmo quella più esterna; essa era sormontata da una coppia di angeli che reggevano una corona con il cartiglio “ECCE ANCILLA DOMINI”, e che come tutte le sculture che ornano oggi l’altare di San Maurizio, erano in legno laccato di bianco ad imitazione del marmo; al di sotto della piccola cupola 
dell’altare maggiore era posizionato un crocifisso di legno nero con il Cristo di avorio. Otto candelieri di media grandezza e altre suppellettili completavano l’arredo dell’altare che, secondo il disegno di Quarini e per rispetto della clausura delle monache, era caratterizzato da due aperture laterali grigliate che permettevano la 
partecipazione delle religiose al sacramento dell’Eucaristia, e da una terza apertura più grande (anch’essa 
grigliata) sopra la mensa che permetteva loro di osservare il celebrante e il Santissimo durante la celebrazione. Una balaustra aperta formata di vari marmi separava la chiesa dal coro. La chiesa infine era adornata tutto 
intorno da venti statue di legno laccato di bianco rappresentanti quattro angeli, i dodici Apostoli, 
sant’Agostino, sant’Ignazio, sant’Anna, san Gioacchino e da otto putti posati sugli altari delle cappelle laterali.

lunedì 9 luglio 2012

Liceo Galileo Ferraris Torino. 1965: il Professor Manghi


La notizia della morte del Prof. Manghi l'ho appresa da un breve annuncio su La Stampa del 19 novembre. Mi è spiaciuto molto perche' era una di quelle persone che negli anni avrei voluto rivedere e ritrovare nei gesti e nelle parole. L'avevo cercato sul web anni fa ma non ero approdato a nulla...
1964 circa, Liceo G Ferraris di Torino, era entrato in classe un uomo giovane con i capelli corti e lo sguardo penetrante. Abituati alle soporifere lezioni di italiano del professore titolare, assente per malattia, eravamo stati proiettati in un mondo nuovo, brillante e inaspettato, sulla scia del fiume di parole di questo nuovo insegnate. Ironia, sovvertimento dei ruoli, il tutto pero' controllato e finalizzato ad un progetto didattico originale. "A me gli occhi" diceva alzando le braccia in aria e aprendo e chiudendo le dita, lo sguardo fisso alla stranulata prima della classe che faticava a capire la portata dell'interrogazione. Un giorno arrivò in classe con un volumetto colorato, La strada di Swann, Mondadori, volume primo. Era l'inizio della mia conoscenza di Marcel Proust, che devo a lui. Finito l'anno scolastico, il professor Manghi e le sue fantasmagoriche lezioni si dissolsero nel nulla lasciando pero' un ricordo costante nel tempo. Son passati 45 anni e più anni e il circolo della memoria si chiude su questo breve annuncio del 19 novembre. Un po' di malinconia e tanta riconoscenza.
Torino, novembre 2009
Le scale

1965  II F


Il corridoio

Testimonianze da Facebook

Andrea Aghemo UN grande... col suo parlare sempre imitando i russi o al lunedì a leggere insieme le notizie del tuttosport sul toro!! E poi le partite a calcetto in classe con la pallina da tennis!
Io ho lavorato con Martino Manghi, il figlio per anni!! Incredibile, prima il padre prof e poi il figlio collega...

Andrea Aghemo Le notizie sono, purtroppo, che è stato colpito da demenza senile già da 3-4 anni, ed ora è ricoverato in un centro di ricovero... non riconosce quasi più nessun se non suo figlio ogni tanto. Ha perso quasi del tutto l'uso delle gambe.

Sandro Torasso Un inferno come il lunedì seguente lo storico derby del 3 a 2 del Toro sulla Juve !!
LUi entra come al solito con passo felpato e muto !
POi all'improvviso apre la valigetta e tira fuori una sciarpa granata e di lì in poi delirio puro !!!

Grande Manghi !!! Vecchio cuore granata!!!

Pellegrino Davide Il nonno. Oltte che il mio professore era un amico. Mi sono visto anche dopo gli anni della scuola con lui. Era una persona meravigliosa. Valorizzata da molti e derisa da quei pochi che non lo capivano, o forse invidiavano il suo modo di essere e di vivere. Un genio su molte. Nell orecchio ho ancora alcune sue espressioni indimenticabili. Un grande. Un uomo come lui doveva vivere altri duemila anni... Mi manca molto.
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L'Ospedale di San Salvario

Tutto ebbe inizio nel 1646 con la costruzione da parte del Castellamonte della chiesa di San Salvatore posta al termine del grande viale che partiva dal castello del Valentino dirigendosi ad ovest. Nel 1653 fu aggiunto il convento ed un ospedale. I Servi di Maria che vi si insediarono videro il loro ordine soppresso nel 1802 e riconfermato dopo la Restaurazione. Nel 1840 il convento su interessamento del Re Carlo Alberto venne ceduto alle Suore della Carità che vi aggiunsero una "infermeria di S. Vincenzo". Il sovrano stesso con ripetute elargizioni sostenne costantemente la struttura che negli anni si sviluppo fino a vedere la nascita di un vero e proprio ospedale. L'aumento della popolazione e lo sviluppo urbanistico che coinvolse al pari dell'intero tessuto urbano anche San Salvario, comportò sempre più la necessità di assistere persone bisognose che non potevano fruire della rete assistenziale della città. Nel 1839 vide la luce nell'ala nord del convento l'ospedale. Le suore svolgevano, oltre al vero e proprio ruolo di assistenza, anche un delicato e importante servizio di supporto ad altre realtà  del nascente tessuto sanitarie della città. Alcune furono destinate per esempio all'Istituto di Maternità di Torino, che in un primo tempo accoglieva soprattutto bambini abbandonati da madri in difficoltà. Convento ed ospedale negli anni videro confluire tra le proprie mura altre opere di assistenza ad infermi come l’Opera dei Convalescenti della Veneranda Confraternita della Santissima Trinità, istituita nel 1548 da San Filippo Neri. Il ruolo attivo delle Suore continuò in ogni settore: nel 1890 furono chiamate a prestare la loro assistenza all’ospedale Maria Vittoria, nel quale restarono fino al 1913. Nel 1916, iniziarono a prestare il loro servizio nell’Ospedale di San Vito, nel quale fu aperta, nel 1923, una scuola per Suore infermiere. Nel maggio del 1923 le Figlie della Carità vennero chiamate all’Ospedale Oftalmico

 

TORINO DESCRITTA DA PIETRO BARICCO 
TORINO
TIPOGRAFIA DI G. B. PARAVIA E COMP .
1869.
Ospedale di S. Salvario (via Nizza, n° 14). – Vicino alla chiesa detta di Salvario sorge un ampio edifizio dove ha sede la Casa centrale delle Figlie di Carità di S. Vincenzo. Da queste caritatevoli Suore è mantenuto fino dal 1840 uno spedale, nel quale vengono accolti infermi, i quali non essendo così poveri di mezzi di fortuna da dover ricorrere alla pubblica carità negli ospedali comuni, nè tanto agiati da potersi far curare in seno alle proprie famiglie, mediante una tenue pensione, ivi sono caritatevolmente assistiti e provveduti di cure.
Pagando L. 45 al mese il malato ha il letto nel camerine comune.
Pagando L. 55 è curato in una camera dove sono solo quattro letti.
Pagando L. 70 è tenuto in una camera separata.
I letti sono in numero di 85.
I malati sono curati da esperti cultori dell' arte medico chirurgica e sono assistiti dalle Figlie della Carità.
Si possono visitare i malati ogni giorno da mezzodì alle tre.

I bombardamenti dell'autunno  del '42 interessarono sia la "Congregazione delle Figlie di Carità di San Vincenzo de Paoli" in via Nizza 20, 22, 24, edificio costruito nel 1912, che l'"Ospedale San Salvario", in via Nizza 18, realizzato a metà del XIX secolo. I danni furono ingenti con crollo parziale dei tetti e danni ai muri. 

Sitografia

http://www.atlanteditorino.it/zone/sansalvatore.html

http://www.fdcsanvincenzo.it/le-figlie-della-carita-a-san-salvario/


(in costruzione)