lunedì 11 luglio 2016

Arignano, un paese abbandonato

Domenica di luglio, mezzogiorno. Lasciata la provinciale 119 dopo Andezeno, in pochi istanti si giunge in centro paese. Piazza Vittorio, allungata a fondo cieco come un campo di tamburello, con brutte case degli anni 50 intorno. Nessuno in vista, nessun esercizio commerciale aperto. Una breve salita porta davanti alla parrocchiale il cui portone sotto lo striscione ESTATE RAGAZZI è anch'esso sprangato. Di scorcio in alto si intravedono le mura della rocca (il castello superiore). Impossibile però capirne la struttura soffocata da una foresta incolta che negli anni deve essere cresciuta a dismisura. Il curioso deve accontentarsi di leggere i pannelli posti lungo la via: se si approfondisce sul web si legge la storia del castello. La rocca è comunque inaccessibile. Brutte case coloniche la circondano da tutti i lati, è in corso la ristrutturazione di una scuola elementare, edificio in linea con le brutture prodotte nel ventennio '50/'60. Il castello inferiore restaurato dalla Famiglia Zucca, attuale proprietario, risulta anch'esso inavvicinabile e scrsamente visibile. Un pannello, situato un po' troppo a distanza dall cancello di accesso, ne rissume la storia. Aggirandomi per le strade del paese, ho la fortuna di avvicinare un'unica abitante che mi fornisce istruzioni per raggiungere il lago artificiale dabbasso al centro abitato. Sui tre pannelli turistici del paese sono descritti itinerari della zona. Peccato che non sia da nessuna parte indicato dove codesti itinerari, iniziano. L'incuria e la scarsa attenzione al possibile turista è evidente: lo si deduce dalla pagina del sito comunale che riporta alla voce Turismo striminzite note storiche e brutte fotografie che non invoglierebbero neanche il più volenteroso dei turisti appassionati di storia locale. L'accesso alla villa della famiglia Costa, antico casato del posto estintosi il secolo scorso, inizia con un passo carraio in rovina. La villa, di cui è appena percebile lo splendore passato, è in rovina. Nel cortile giacciono ammassati, infissi e altro materiale di ristrutturazione. Nessun cartello però documenta ciò. Ovunque masserizie varie e ciliegina finale, un bidone azzurro campeggia rovesiato a protezione (?) di una delle statue della recinzione per lo più distutte e vandalizzate negli anni. Un grande muraglione in mattoni che delimita il parco della rocca superiore è pieno di rigogliosi cespugli di capperi che producono tuttora dei bei frutti. Nel torrido pomeriggio di luglio, mentre mi allontano un po' d'amaro in bocca (sarà il cappero non maturo che ho colto poco prima?) rimane a vedere questo piccolo borgo abbandonato al degrado.
Quanto rilevato ad Arignano vale anche per centinaia di piccoli comuni della regione. Alle brutture che migliaia di geometri hanno disseminato accanto alle dignitose residenze di campagna di inizio 900 nelle nostre realtà di provincia, ha fatto seguito una miope politica che la penuria di risorse economiche non basta a giustificare.
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sabato 18 giugno 2016

Un processo in Val di Susa durante il ventennio

Il ventennio ha prodotto una serie infinita di autocelebrazioni. I giornalisti allineati col regime non perdevano occasione di sottolineare il costante valore educativo della cultura fascista sull'animo popolare. L'esempio che segue lo dimostra. In particolare troviamo qui  un' involontaria comicità, frutto di sublime patriottismo, capelli bruciati e pettinatrici diffamate.    

LA STAMPA DELLA SERA - Martedì 8 Gennaio 1936 - Anno XIII
Recede dalla querela perchè l'imputata è orfana di guerra

Un significativo episodio, chiaramente indicativo come il Fascismo abbia elevato nel popolo il sentimento di riconoscenza per i Caduti in guerra e abbia veramente valorizzato il sacrificio del nostri soldati caduti sui campi di battaglia, è avvenuto nell'aula della V° Sezione del nostro Tribunale. Doveva discutersi una interessante causa di diffamazione provocata dalla querela di certa V.S. di 30 anni, pettinatrice a Bruzolo di Susa, contro la ragazza E.A. di 23 anni, pure residente a Bruzolo di Susa. La S. si era querelata perchè la A., nell'estate scorsa le avrebbe attribuito il fatto specifico di non essere esperta nella sua arte, ma di essere solita a bruciare le chiome delle clienti, senza usare differenza di trattamento nè per le capigliature bionde nè per quelle brune, nè per quelle naturali, nè per quelle ossigenate e senza usare riguardo neppure alla condizione delle clienti e cioè sia che fossero residenti nel paese sia che fossero villeggianti. La voce messa in giro dall'A., la quale si sarebbe con varie persone lagnata, secondo quanto espose la S. nella sua querela, che costei le aveva bruciato i capelli, dissuadendo le sue interlocutrici ad affidare le loro teste alla sua concorrente, si sarebbe così diffusa che avrebbe prodotto gravi danni economici alla S. e conseguente... maggior incremento di lavoro ad altre pettinatrici della zona, si che l'interessata, per porre... argine alla voce diffamatoria, dovette disturbare la Giustizia e cioè far promuovere dal Procuratore del Re di Torino, procedura penale contro l'A. per diffamazione. L'istruttoria, complessa, era stata, nei suoi accertamenti, favorevole alla querelante tanto che si era chiusa, come si è detto, col rinvio a giudizio dell'A. davanti al nostro Tribunale. E l'A. comparve dinanzi ai giudici della V Sezione in veste di imputata per rispondere dell'accusa, di cui si era sempre protestata innocente, difesa dall'avv. Baravalle e confortata dalla presenza di varie testi a difesa: la parte lesa era pure animata dalle migliori intenzioni di contendere, poiché era venuta a Torino dal suo paesino con varie testimoni (evidentemente tutte clienti che non avevano avuto le chiome bruciate: ed era pure essa assistita, per costituzione di parte civile, da un patrono, dall'avv. De Marchi. La causa, quindi, si profilava vivace nella discussione: senonchè all'inizio del dibattimento l'intervento autorevole del Presidente e del P.M. e la collaborazione conciliativa dei due patroni, valsero ad indurre le due donne (che da tempo non si rivolgevano la parola) a venire ad un colloquio chiarificatore. Ma se già poteva ritenersi di aver raggiunto molto, ottenendo di porre le due rivali l'una di fronte all'altra e discorrere, senza che si accapigliassero, i presenti si proponevano di ottenere qualcosa di più e cioè un vero disarmo tra le due parti in lizza. Ed alla auspicata pacificazione completa si addivenne perchè quando la querelante apprese, dai documenti che aveva esibito la difesa, che la giovane imputata era un'orfana di guerra, dichiarò con simpatica sincerità, che non intendeva richiedere la condanna di una ragazza il cui padre era morto per la Patria. E poiché l'imputata dichiarò, a sua volta, alla pettinatrice che era spiacente di averle recato dispiaceri e danni, la pacificazione tra le due donne avvenne completa: la S. recedette dalla querela ed il Tribunale pronunziò l'estinzione del reato per remissione di querela. Il simpatico episodio, provocato da un sentimento di deferente simpatia per un'orfana di guerra, fu piacevolmente commentato dal numeroso pubblico che gremiva l'aula e che se ne andò senza manifestare disappunto per la... insoddisfatta curiosità per il processo mancato, edificato invece dal commovente episodio di così evidente significazione morale. 

domenica 12 giugno 2016

In ricordo di Giuseppe Virgili, calciatore.


Presenze silenziose che ci accompagnano a vario titolo per tutta la vita. Da bambino (erano gli anni '50) uno dei miei svaghi principali, oltre al gioco con i soldatini e le automobiline (Dinky e Corgy Toys) era seguire il campionato di calcio. Raccoglievo figurine (le SIDAM che avevi acquistando nei distributori le palline rotonde e colorate di Chewing um) della serie A. La primissima raccolta però fu quella dei dischetti Ferrero, su cui ho pubblicato un post tempo fa.


Le riproduzioni dei calciatori erano alquanto approssimative, a volte leggermente fuori centro. Occuparono però interi pomeriggi dei miei giorni di vacanze estive, Ne possiedo ancora molte, un po' segnate dall'uso e dai molteplici strusciamenti su ogni superficie. Una di queste era appunto di Giuseppe Virgili, con la maglia, allora azzurrina, della Nazionale italiana.
I dischetti sono stati riposti con cura in un album e negli anni, dimenticati. Ora l'annuncio della morte di Virgili mi ha richiamato alla memoria quel tempo lontano della mia infanzia. Mi pare sempre strano, in momenti come questo, pensare che dietro quell'immagine sbiadita stampata su un pezzetto di metallo colorato, ci sia stata una persona che ha vissuto in tutti questi anni una vita reale. Eppure è così...



Virgili già nella prima metà degli anni '50 godeva fama di giocatore ben quotato e ben pagato, come risulta da un trafiletto de La Stampa.

STAMPA SERA Sabato 18 - Domenica 19 Settembre 1954

Virgili: il calciatore pagato più caro. La campagna trasferimenti di quest'estate non ha fatto registrare le favolose cifre pagate invece negli scorsi anni per gii «assi». Il più caro calciatore dell'anno deve essere il giovane Virgili, per il quale la Fiorentina ha versato all'Udinese 57 milioni in contanti più la mezz'ala Beltrandi, che aveva quotazione di circa 25.000.000. Seguono poi Bernardin della Spal all'Inter e Giuliano dal Torino alla Roma quotati entrambi poco più di settanta milioni. 

Due anni prima di morire, nel 2014, Virgili rilasciò un'intervista in cui parlava della sua vita e della sua carriera: vale la pena di ripercorrerla....



sabato 5 marzo 2016

Torino 1859-1862. La Società del Whist, i balli e altro nella Torino dell' Unità

Come ai tempi in cui Jean Jaques Rousseau si aggirava per le strade solitarie della Torino del settecento, poco o nulla è cambiato nella fisionomia urbanistica tormentata della città. Anch'io girovagando per le stradine attorno alla via Doragrossa, ho potuto scorgere ad una finestra la figura rispettabile di una anziana vedova dei tempi di Carlo Felice che di sicuro aveva danzato nei palazzi divenuti poi sede di un prefetto di Napoleone..... Ho per Torino una tenerezza particolare. I miei più cari ricordi datano del tempo in cui abitai in questa città. Là, nella calma dello spirito, passarono stagioni felici, anche se quegli anni dal 1859 al 1862 furono anni assai turbolenti per la città in quanto tutti gli esiliati del paese compresi i rifugiati da Napoli, si stabilirono qui. Lungo i portici di via Po, al caffè Florio e nel gabinetto di Cavour si posero le basi dell'unità d'Italia. La guerra del '59 affrettò senz'altro questo processo. Ma finchè la capitale del nuovo regno fu a Torino, la fisionomia della vecchia città non mutò di molto. La bonomia, la semplicità e la rudezza dei piemontesi resistettero all'invasione di spiriti nuovi. E la sera i ministri del Regno, persone accessibili al primo venuto, passeggiavano lungo le arcate della via che conduce al Po, fumando i sigari sotto cappelli di feltro o di paglia. Poi la sera ognuno riguadagnava la strada di casa, palazzo o modesta abitazione che fosse. Nessun ministro era a spese dello stato per il suo alloggiamento, lo stesso Cavour pagava di tasca propria le cene ufficiali. Il parlamento era il centro della vita politica e li si dibattevano le questioni che avrebbero cambiato la vita del paese. Il corpo diplomatico seguiva queste vicende e fu li che iniziai a studiare i personaggi politici del tempo. Quando giunsi a Torino la Camera era composta per intero da piemontesi e savoiardi. Poi a poco a poco vi affluirono, lombardi, fiorentini, romagnoli e napoletani che con il loro idioma e la loro vivacità resero l'atmosfera molto più interessante. A fine seduta gli elemnti più radicali andavano cordialmente a cena con i loro avversari politici nel ristorante Carignano, di fronte al Parlamento. Ogni asperità veniva dimenticata di fronte ad una bottiglia di Barolo e questo era uno dei caratteri più singolari della mentalità dell'italiano.
La Società del Whist o Club dei Nobili era uno dei circoli torinesi più organizzati. Composta da membri della vecchia aristocrazia piemontese ammetteva raramente nuovi soci. Il corpo diplomatico vi aveva libero accesso. Il palazzo, situato nel centro della città, si trovava in faccia agli splendidi giardini del palazzo del Principe di Cisterna. Un salone di lettura, una ottima tavola e degli amabili ospiti facevano del circolo un punto obbligato di incontro della diplomazia che arrivava a Torino. I deputati delle nuove province ed  i generali erano accolti a titolo provvisorio, mentre i membri delle antiche famiglie piemontesi, che in passato avevano militato nell'esercito sardo, erano considerati a pieno diritto soci fondatori. Gli stranieri erano trattati con cortesia e riguardo. I Francesi poi erano considerati dei veri e propri compatrioti. La compagnia Meynadier dava rappresentazioni in città nella stagione invernale e al teatro Scribe a Torino si mettevano in scena delle novità teatrali appena uscite a Parigi. Il Teatro Regio è vicino al palazzo reale, ha una sala grande, molto bella decorata però in uno stile Impero molto rigido. Ho sentito dire ad un vecchio piemontese che prima del resaturo la sala era un vero modello di decorazione settecentesca: ogni loggia era inquadrata da legno dorato di piacevole effetto, le gallerie tagliate a giorno, richiamanti il Luigi XV più puro. Il teatro Regio era un tempo proprietà del Re che lo lasciava al pubblico riservandosi le logge del primo rango (il Palco nobile) aperte anche ai dignitari di corte e ai ministri stranieri. In seguito i palchi divennero proprietà delle famiglie dell'aristocrazia a Torino come in molte altre città. Nelle rappresentazioni di gala il teatro è illuminato a giorno e tra ogni loggia prende posto un lampadario con 8/10 candele. Il sovrano assiste allo spettacolo dal palco centrale mentre i diplomatici e i ministri da quelli laterali. L'illuminazione intensa esalta gli abbigliamenti e le pettinature delle dame. Alla fine del primo atto si aprono le porte dei palchi e dei domestici in livrea offrono rinfreschi e dolci. Anche se inferiore a quella di Milano la Compagnia dell'opera e di ballo di Torino, è pur sempre una delle migliori del paese. Il Carignano, ugualmente teatro reale, inizia la sua programmazione alla fine di quella del Regio. Nessuna città ha così tanti teatri come Torino: se ne contano più di 12 e vi si rappresenta il balletto, l'opera, il vaudeville, la pantomima la commedia indistintamente. Il teatro Gerbino è dedicato alle rappresentazioni in piemontese. Ogni sera il pubblico affolla le sale, dato che i prezzi sono alla portata di tutti. La vecchia nobiltà pur nell'animazione culturale della città resta ancorata alle vecchie abitudini. Fino al matrimonio le giovani fanciulle non varcano le soglie dei saloni: la loro educazione è severa e risente molto della cultura sabauda. A fine anno è consuetudine però dare un gran ballo per alleggerire questa "reclusione". Il ballo delle "tote" è una riunione esclusivamente di giovani donne. Gli inviti sono molto ristretti e molto ricercati. Una sottoscizione fatta tra le grandi famiglie permette l'organizzazione del ballo che si svolge in uno dei più begli appartamenti della città. Inizia alle otto di sera e termina alle 8 del mattino successivo. Solo le madri possono accedere al ballo, per sorvegliare le loro pupille. L'atmosfera, come ho potuto verificare, è molto franca e gioiosa. Un'eccellente cena, in cui lo champagne fa la sua discreta comparsa, interrompe il ballo a notte fonda. Il ballo può quindi riprendere mentre le madri spesso sonnecchiano.  Alla fine delle 12 ore ci si lascia con strette di mano, con qualche rimpianto, dandosi appuntamento per l'anno successivo, a meno che durante la festa non si sia intrecciato qualche fidanzamento preludio al matrimonio . 

(traduzione libera dal Diario diplomatico di Henry d'Ideville, 1875)


Fils de François Le Lorgne d'Ideville, après des études de droit à Paris, il devient secrétaire d'ambassade à Turin (1859), Rome (1862-1867) puis Dresde et Athènes. Proche ami d' Alexandre Dumas, on lui doit un des tout premiers livres sur Gustave Courbet (1878). Il a été préfet d' Alger de 1871 à 1873. Il repose dans la sépulture familiale au cimetière de Loddes (Allier).
(Fonte Wikipedia)