giovedì 9 febbraio 2012

La Torino del nuovo millennio immaginata nel 1964

Nel 1962 il Comune bandisce un concorso per la progettazione del nuovo centro direzionale della città, a cui partecipano numerosi gruppi di architetti torinesi e nazionali. Previsto nell’area occidentale, non verrà realizzato, ma sollecita il dibattito intorno allo sviluppo verticale dell’edilizia torinese.
Il Centro direzionale di Torino nella collocazione tra i corsi Francesco Ferrucci e Inghilterra, mai realizzato ma oggetto di un concorso nazionale nel 1962 cui partecipano alcuni dei maggiori progettisti non soltanto torinesi, è per la prima volta ipotizzato dal Piano regolatore generale del 1956, approvato tre anni più tardi. Il concorso è il simbolo evidente, nel dibattito dei primi anni Sessanta, della terziarizzazione di Torino nel pieno del boom economico, e nello specifico dell’area occidentale della città che – al centro di imponenti piani di trasformazione e sviluppo a partire dal piano Astengo (1947), grazie al previsto asse di attraverso nord-sud – sarà poi la sede del grattacielo Sip di Ottorino Aloisio (1964). Il concorso è anche luogo significativo di elaborazione progettuale nel campo dell’edilizia pluripiano con funzioni terziarie direzionali.
Il concorso bandito dall’Amministrazione comunale nel 1962 vede protagonisti architetti e urbanisti tra i più significativi del panorama nazionale. Ludovico Quaroni è il capogruppo del progetto vincitore (motto «Akropolis 9», con Mario Bianco, Sergio Nicola, Nello Renacco, Aldo Rizzotti e Augusto Romano), che propone la novità, pressoché assoluta per la città, del grappolo di torri riunite in un contesto organico e coerente di blocchi pluripiano. Sono 14 gli edifici da 120 metri che emergono da una grande piastra, poste al centro dell’intervento e destinate a funzioni direzionali essenzialmente private. Gli altri gruppi partecipanti, per quanto in molti casi propongano soluzioni dalle dimensioni molto cospicue anche in altezza, tali da costituire un segno spesso evidentissimo nello skyline cittadino – sono in particolare i casi dei progetti di Giovanni Astengo con Gianfranco Fasana e Giuseppe Abbate («Operazione 70», terzo premio), di Carlo Aymonino e Franco Berlanda («Badeba», quarto premio), di Gianugo Polesello, Aldo Rossi e Luca Meda («Locomotiva 2», un blocco a corte di 140 metri d’altezza) e del gruppo guidato da Guido Canella («Incentivo 1970») – soltanto eccezionalmente prevedono edifici emergenti nel nuovo tessuto e dallo spiccato carattere di “segno urbano”. Lo fa Nicola Mosso («Torino 11») che progetta, all’interno di un sistema di edifici alti, due blocchi speculari di 100 metri e una lama a ponte su corso Ferrucci: Claudio Dall’Olio («Nuova Augusta 999», progetto segnalato), con l’infilata di 5 torri distanziate lungo corso Inghilterra e un blocco isolato a doppio corpo; e Glauco Gresleri con Giorgio Trebbi («Toro seduto 12», segnalato), con la loro selva di torri attorno a un anello viario soprelevato. I gruppi di Cesare e Augusto Perelli e Giorgio Ponti («Pitré 78»), così come quello di Aymonino, destinano una torre isolata a nuova sede della Regione Piemonte: il possibile confronto con i progetti recenti di Massimiliano Fuksas è suggestivo,
 (tratto da Museo Torino)

All'inizio del 1964 comparve sulla Stampa la notizia dei risultati del concorso. Ecco il testo integrale dell'articolo


Mercoledì 8 Gennaio 1964
UNA CRONACA ANTICIPATA (CHE CI AUGURIAMO VERITIERA) 
Così allo scadere dell'anno 2000 apparirà la fantastica City di Torino
Progetti presentali alla popolazione nella Galleria Civica d'Arie moderna da giovedì prossimo al 19 gennaio.
Una vasta area non lontana dal vecchio centro storico trasformata in centro direzionale
L'Acropoli
Una grande collina artificiale irta di grattacieli che digrada dolcemente verso un parco in cui sorge la zona residenziale Uffici pubblici e privati, banche, locali di divertimento: la vita continua notte e giorno. La stazione per gli aerorazzi a decollo verticale e la base subalpina interplanetaria  A due anni dalla fine del secondo millennio dell'era volgare, potranno leggere tra qualche decennio i nostri posteri sulle eliogazzette del 1998, l'Acropoli torinese appare certo meno avveniristica di quanto fosse sembrato nel 1963, il suo progetto proclamato vincitore nel concorso bandito dall'Amministrazione comunale per la sistemazione della grande area a ponente della ferrovia Torino-Milano sino a corso Ferrucci, via S. Paolo e via Osasco, tra le vie Braccini (a sud) e Cavalli (a nord).
Prime polemiche
Ventiquattro erano stati i progetti concorrenti. Più d'uno, forse, ricorderà ancora la mostra che dal 9 al 19 gennaio del 1961 ne presentò ventuno alla cittadinanza con i nove ritenuti migliori. L'esposizione, allestita nelle sale della civica galleria d'arte moderna, era stata inaugurata dal sindaco Anselmetti, simpatica figura d'ingegnere che esordendo come sindaco quasi con civetteria aveva dichiarato di essere soltanto un rude meccanico, mentre si rivelò poi come uno degli amministratori più sensibili alle presenze culturali della città. La mostra, com'era naturale, suscitò discussioni e le solite polemiche tra fautori e oppositori; ma interessò molto anche per la varietà delle soluzioni offerte dagli altri progetti premiati: quelli redatti dal gruppo di architetti veneti capeggiati da G. Samnnà (Biancaneve e i 7 nani 8), dai torinesi Astengo, Fasana e Abbate (Operazione 70) e da un'équipe di professionisti romani comprendente anche l'arch. Berlanda di Torino (Badeba 33). Agli altri cinque progetti era stato assegnato un rimborso spese. In quei giorni, Bruno Zevi, eminente studioso d'architettura, notava in una delle sue note settimanali: «Con il concorso per il nuovo centro direzionale Torino ha scritto una pagina nuova nell'urbanistica italiana. Sono stati premiati quattro progetti che rappresentano altrettante tesi sulla "terziarizzazione" della città moderna; quattro interpretazioni sul modo di affrontare il crescente sviluppo degli edifici e degli spazi necessari all'amministrazione pubblica e privata, al commercio, allo svago e ai servizi, cioè a quell'insieme di funzioni che si definiscono appunto "direzionali" e che caratterizzano insieme all'aumento delle popolazioni ed all'automazione degli impianti produttivi, l'assetto territoriale della nostra epoca».
Eccellente alternativa
Diciamolo pure: è alla creazione di questo centro che si deve se Torino non è morta di asfissia. Merito dunque delle amministrazioni civiche che l'hanno voluto, me. anche  e forse più di quelle che hanno reso possibile la sua creazione praticamente conservando per secoli, come un bene intangibile sottoposto al Demanio quella zona ideale, ad appena 1500 metri da Porta Nuova, a 1800 metri in linea di aria da piazza Castello, e ad un solo chilometro da piazza Statuto: centralissima, e pure in grado di costituire una eccellente alternativa rispetto all'antico centro storico che delegando in certo qual modo al centro direzionale le sue funzioni essenzialmente economiche, si è salvato, conservando per sé il tradizionale ruolo di rappresentanza, cui ben si confà il suo aulico carattere e la ricchezza di monumenti architettonici specialmente barocchi che qui sono stati valorizzati in una lunga e dispendiosa, ma preziosa politica di risanamento ambientale. L'Acropoli, come continuò a chiamarsi col nome del progetto elaborato da una equipe formata dagli architetti e ingegneri torinesi Renacco, Nicola, Rizzotti, Romano e Bianco e dai loro colleghi romani, L. Quaroni, Esposito, Maestri e Quistelli, con la consulenza del Centro ricerche industriali e sociali di Torino divenne, com'è noto, subito un quartiere alla moda, riunendo veramente secondo le previsioni dei suoi autori, la caratteristica eleganza di certe zone residenziali romane, come i Parioli e la via Appia Antica ai loro bei tempi, la solennità dell'Acropoli ateniese, ricordata anche nel nome, e l'importanza economica della City di Londra. Sullo sfondo immutato della cerchia alpina, Torino è cambiata al punto da non essere riconosciuta da chi dopo una quarantina d'anni tornasse ad affacciarsi sul piazzale dell'antico Monte dei Cappuccini. Può dirsi infatti sparita la bassa scacchiera sulla quale sin verso gli anni Sessanta si notavano in ordine sparso le strutture più alte della Mole, della guariniana cupola della Santa Sindone, i campanili e i primi grattacieli sorti in piazza Castello e in piazza Solferino, in via Santa Teresa e in via XX Settembre. L'occhio oggi corre istintivamente al grappolo di grattacieli, nuovi di zecca, alti 120 metri; che dominano non soltanto il nucleo centrale del centro destinato alle funzioni direzionali essenzialmente private e agli esercizi pubblici e ai locali per divertimento, ma sull'intero sistema edilizio che si articola nel suoi tre nuclei a quote variabili; sino a 35 metri in quello a Nord di corso Vittorio dove si sono trasferiti gli uffici dell'Ente regione, della Provincia e del Comune, oltre agli uffici periferici dell'amministrazione centrale: tra i20 e i 25 metri nella parte più alta della zona dei grattacieli, mentre più dolcemente la collina così creata doveva venir declinando sino a perdersi nel parco, con i più larghi ripiani delle terrazze, tra ricche cascate di Mori e d'arbusti, sino al piano del grande tappeto erboso, che circonda quasi le  costruzioni di questo terzo nucleo prevalentemente destinato all'ospitalità e alla residenza.
Annosi problemi
Qualcuno ricorderà ancora ! come all'epoca in cui venne adottato il progetto «Akropolis», su queste aree esistevano l'antico mattatoio, alcune caserme e gli impianti di un gruppo di stabilimenti industriali come le Officine ferroviarie, la Westinghouse e la Nebiolo. Ancor oggi i sembra un miracolo che a Torino, dove ancor pochi lustri prima una piccola operazione di permuta col demanio militare aveva fatto ritardare di anni la ricostruzione del Regio, si fosse riusciti in poco tempo a superare ogni difficoltà del genere. Non bisogna dimenticare che, fortunatamente, s'era entrati già allora nella seconda fase del «decentramento amministrativo» quando i poteri locali, forti della conquistata autonomia, avevano pensato all'utilità di creare appunto dei loro uffici decentrati presso quelli ministeriali. L'indirizzo era venuto da Milano che istituì i propri nel 1962. Torino si decise a farlo ci volle naturalmente la risolutezza e lo spirito pratico d'un sindaco come l'ing. Anselmetti al principio del 1964: proprio in vista delle accresciute esigenze della città, che potè finalmente instaurare con Roma un più proficuo dialogo. Gli antichi «bògia nen» incominciarono così a muoversi. Per la realizzazione del centro direzionale venne creato un Ufficio permanente con l'incarico di analizzare, organizzare, programmare, coordinare, controllare; in una parola per garantire un'organica edificazione dei tre nuclei previsti fin dal progetto, favorendo la formazione di consorzi tra gli enti Interessati destinati a curare la costruzione ed oggi la gestione dei condomini d'uso privato, lasciando al Comune le parti di uso pubblico. In pochi lustri annosi problemi sono stati affrontati e risolti, dall'edilizia alla circolazione, ma l'orditura cartesiana continua ad unire tutto, la città e il suo centro « acropoli della vita, moderna».
Chi vi giunge da corso Vittorio vede le cime dei grattacieli spuntare tra le chiome degli alberi, finché affacciandosi sul corso Inghilterra coglie in tutta la sua ampiezza il profilo frastagliato della vasta collina artificiale, quasi un paesaggio nel paesaggio animato dai riflessi delle grandi superfici verticali dei grattacieli e dalle ombre loro che a seconda dell'ora e del punto in cui ci si trova sembrano venirci incontro o inseguirci. Chi non ha gustato quel senso dell'inattesa scoperta offerto da una passeggiata in questa zona? Si attraversano ampi porticati, interrotti da piccole piazze e da giardini, ci si sofferma davanti alle numerose vetrine si entra nel vari uffici destinati ai contatto col pubblico, si trovano gli accessi al numerosi ascensori uscendo sulle terrazze fiorite, si ha lo sgomentante spettacolo dei grattacieli visti dal basso, trovandosi d'altra parte in posizione dominante rispetto al parco che si stende a terrazze verso le zone più basse, interrotto dalla vegetazione e dalle vasche di acqua. Sole e luce artificiale si alternano lungo i percorsi pedonali che corrono tra zone aperte ed altre coperte, serviti a tratti da tapis roulants e scale mobili con diverse velocità, dotati alcuni anche di posti a sedersi mezzi moderni e confortevoli per spostarsi con minor fatica, da un luogo all'altro; dai negozi alla chiesa, dalle sale di riunione ai bar. Alla notte tutto è illuminato come dal di dentro. Quasi nascosti nelle membrature delle costruzioni i tubi al neon illuminano le facciate e le finestre buie dei grattacieli, altri fasci di luce escono dal locali di ritrovo teatri, cinema, ristoranti, caffè e clubs che assicurano anche di notte la vita del centro direzionale, a differenza di quel che accadeva nella «City» di Londra dove alla chiusura degli uffici è il deserto. Certo in pochi anni nel centro s'è affermata una città nuova. Quattro grandi istituti bancari hanno trasferito qui la loro sede: i due maggiori, con gli uffici centrali, si fronteggiano sul corso Vittorio, nei pressi di piazza Adriano su una superficie di oltre duemila metri quadrati ciascuno. Una nuova centrale telefonica è subito sorta. A decine si contano le grandi aziende che hanno ottenuto aree su cui costruire. Una aveva chiesto per esempio 4 mila metri quadrati: nell'edificio ha ricavato un'autorimessa pubblica nell'interrato, saloni da esposizione per l'azienda stessa e negozi per terzi al piano terreno, uffici direzionali e di rappresentanza dell'azienda e per altre ditte al primo piano, alloggi per il proprio personale e per terzi ai piani superiori. Si sono così impiantati uffici commerciali e dì rappresentanza, sedi di banca e agenzie, servizi direzionali e di gestione di istituti di assicurazione, alberghi, scuole, opere parrocchiali, sedici industrie e società elettriche, il palazzo dell'Automobile club, un grande ufficio postale e telegrafico che da solo occupa un'area di 4 mila metri quadrati e 30 mila metri cubi. Basti dire che fin dall'epoca in cui venne elaborato il progetto le richieste di enti e privati raggiungevano già 1450 mila metri cubi. Se si pensa che nelle previsioni si è calcolato la necessità d'un parcheggio di 30 mila posti-vettura, suddivisi in vari piani (25 mila nei sotterranei e 1500 al piano di campagna e 3500 nel quattro «silos», ai piani superiori) ci si spiega anche la complessità della rete stradale che è stata studiata per risolvere ardui problemi dì collegamento esterno ed interno, nella forma più razionale.
Parcheggi sotterranei
La via di attraversamento veloce Nord-Sud, già prevista dal piano regolatore (naturale complemento delle autostrade Torino-Milano e Torino-Savona o Torlno-Piacenza-Genova) discende in trincea, a livello con la ferrovia nel tratto immediatamente a nord del Centro direzionale; ma risale subito dopo per soprapassare con un viadotto la grande arteria di corso Peschiera, asse di attraversamento veloce Est-Ovest, a quindi naturale via di accesso per chi giunge dalla Valle di Susa. Il collegamento Nord-Sud con i corsi Vittorio Emanuele e Stati Uniti è formato con un anello a tre corsie, che si svolge a profondità variabile tra i 12 e i 6 metri sotto il primitivo piano stradale del 1963. Analoghi nodi hanno risolto gli incroci di corso Vittorio con i corsi Castelfidardo, Inghilterra e Bolzano e di piazza Adriano. A 18 metri sotto il piano stradale corre la metropolitana. I parcheggi sotterranei sono stati costruiti sino ad una profondità di 22 metri raggiungibile sia con apposite rampe di accesso sia a mezzo di elevatori meccanici. Tutto questo è stato naturalmente realizzato per gradi, e non senza modifiche rispetto all'idea primitiva; talora non senza aver dovuto superare delle incertezze come per la posizione e l'attrezzatura della stazione di Porta Susa quando già in un secondo tempo s'è vista la necessità di trasformare superiormente in stazione per aerorazzi a decollo verticale, destinata ad alleggerire il traffico dell'antico campo dell'Aeronautica dove — come potranno leggere i torinesi del 1998, secondo il progetto contrassegnato dal motto «Interplan 1» vincitore del concorso di recente bandito dal Comune, di cui è risultato autore l'arch. Renacco jr., verrà quanto prima costruita la base Interplanetaria subalpina n. 1 destinata ad entrare in esercizio subito dopo l'istituzione di regolari collegamenti transiderali con i vicini pianeti abitati ».



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