domenica 8 aprile 2012

Esiste un paese...

Esiste un paese di fantasia in cui per diventare medico specialista si impiegano circa 11 anni. Per arrivare a questa agognata meta bisogna seguire anni di lezioni e superare molti esami. Viene poi il momento in cui alla teoria dovrebbe seguire la pratica il che, se la specialità è chirurgica, significa conoscere a menadito l'anatomia e sapere come usare i taglienti (bisturi e forbici) e gli aghi di sutura, oltre a molte altre cose natualmente. Tutto questo patrimonio di conoscenze, per legge, deve essere dispensato da una figura professionale ben precisa: l'Universitario, un medico che ha scelto la carriera universitaria e che ha come compito preminente l'insegnamento e la formazione. Se vogliamo quindi vedere questa figura nel suo habitat particolare potremmo pensare ad un grande ospedale monospecialistico di una grande città (sempre rigorosamente di fantasia). In genere il nostro è arrivato ad occupare una posizione apicale all'interno del suddetto ospedale. Ma nel grande nosocomio ci sono anche altri medici, gli ospedalieri, per esempio. E allora come riconoscere l'Universitario? Lo riconosci facilmente, perchè è seguito costantemente da uno o più giovani specializzandi. Giovani si fa per dire dato che quando si parla di studi in campo medico, la stortura di un programma di studi dissennato, porta a essere ad inizio carriera alla bell'età di circa 30 anni! Gli specializzandi seguono dunque pazientemente il loro Tutor per racimolare qualche briciola di insegnamento. Qualcuno in virtù di pazienza, sopportazione e fortuna ce la fa ad imparare seppur faticosamente il mestiere. Se queste virtù siano da considerare merito allora tutti imparano per merito. Ma forse il merito è un'altra cosa.... Il giovane viene quasi sempre adoperato per quelle mansioni che sono ritenute noiose o indegne di una mente impegnata in ben più eccelse occupazioni. E quindi giù a compilare le dimissioni dei pazienti (che in anni recenti equivale ad assegnare un "valore" tramite numeri, i cosiddetti DRG, alle prestazioni sanitarie. Questi DRG, inseriti in programmi software appositi, sono ciò che fa guadagnare l'Azienda ospedaliera e l'errore o la sottostima costano assai. Ma di ciò l'universitario medio poco si cura, sapendo a mala pena accendere e spegnere un computer). Lo specializzando dunque, se è scrupoloso, fa del suo meglio per svolgere questo delicato lavoro ma di sicuro non ha le motivazioni (economiche abbiam visto) di chi per l'azienda invece lavora a tutto titolo. Così spesso i giovani che dovrebbero imparare a curare, ad operare in sala operatoria, a gestire dall'inizio alla fine un paziente si trovano a compiere un lavoro routinario per molte ore durante i turni di servizio. Quali sono dunque le mansioni dell'universitario? La loro "mission" (termine adorato da molti di loro) sarebbe quella di insegnare, in secondo luogo di produrre cultura attraverso ricerche nei rispettivi campi di applicazione. La prima parte della mission è quella che bene o male, anche se svogliatamente viene portata a termine. Insegnamento molto spesso di pura teoria attraverso le lezioni di specialità. Se scendiamo poi nel campo della pratica (nella fattispecie pratica operatoria visto che si parla di branca specialistica ad indirizzo chirurgico) le cose si fanno più complicate. Insegnare a maneggiare un bisturi ma soprattutto a capire quando muoverlo (tutto ciò che segue alla diagnosi e riguarda l'intervento) prende tempo. Bisogna avere anche pazienza. Tempo e pazienza. Doti rare e preziose che l'universitario spesso non possiede. Poi in secondo luogo c'è la questione della produzione scientifica che ogni Universitario dovrebbe possedere per dimostrare la sua capacità e la sua preparazione nel campo. Tutti sanno che questo si ottiene tramite dei lavori scientifici pubblicati su riviste del settore. Esiste una classifica di queste riviste che valutano tramite l'Impact factor il valore della rivista stessa. In cima alle classifiche ci sono quasi esclusivamente riviste anglosassoni, le migliori e le più difficili da raggiungere. Le riviste italiane sono giù, molto giù. Questo perchè in genere qualsiasi cosa venga inviata ad una rivista nostrana viene accettato senza filtri nè valutazioni. Da cui montagne di articoli spazzatura. Orbene, se uno si prende la pena di andare a verificare quanto nella sua carriera abbia prodotto un Univeristario medio (sempre di media si parla) del nostro grande ospedale di fantasia, ci accorgiamo che spesso non possiede neanche un lavoro, dico uno, su di una rivista fra le prime 10 al mondo. In compenso avrà una pletora di partecipazione a Congressi, relazioni o pubblicazioni su riviste nazionali. Questo fatto è dovuto ad un semplice motivo. Dall'assunzione in poi nessuno chiederà mai ad un Universitario di  dimostrare quanto vale e quanto produce. Nessuno lo caccerà mai via se non crea cultura o non ottempera alla mission formativa. Questo impoverisce le nostre strutture di insegnamento. I mediocri vanno avanti spesso perchè sono quelli geneticamente programmati per non soccombere alle lotte fratricide che avvengono all'interno degli Istituti.... e la mediocrità è un gene autosomico dominante, purtroppo.
Esistono comunque anche in ambiente universitario persone dabbene, che producono e insegnano formando le nuove generazioni. Ma nel nostro grande ed immaginario ospedale monospecialistico queste persone  sono davvero sconsolatamente pochine, pochine.
Se frughiamo, infine, negli angoli dimenticati della storia troveremo una lettera di un illustre primario (e quindi ospedaliero...) napoletano a Benedetto Croce con cui commenta il Decreto 549 del 10 febbraio 1924 del Ministero della Pubblica istruzione, fatto varare da Giovanni Gentile, con cui di fatto si consegnava l'insegnamento ai medici universitari: "vorrebbe asservire (il decreto) gli ospedali alle cliniche universitarie" favorendo così "l'invasione dei professori ufficiali di clinica con tutto il loro servitorame".
Appunto.....

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