lunedì 2 aprile 2012

Pamuk uomo, Pamuk scrittore

Il meccanismo è sempre lo stesso. Scopro un nuovo scrittore attraverso un testo. La lettura mi piace, mi appassiona. Approfondisco la conoscenza con altri suoi libri e discretamente comincio a chiedermi quale tipo di uomo si celi dietro la scrittura, quali siano i suoi gusti, le sue abitudini e i difetti. Ne ricerco il carattere, l’umanità, oltre quello che traspare nei suoi romanzi. Anche quando nella pagina vengono snocciolati con apparente sincerità gusti, umori ed abitudini o la descrizione della fatica di scrivere, sono sempre diffidente. La parola scritta che compone un romanzo è sempre il risultato di un artificio di fantasia, di un meccanismo creativo con cui chi scrive manipola, maschera, traduce il reale senza spesso avvicinarsi alla verità.
Mi è capitato di provare queste sensazioni, ultimamente, con Pamuk. La sua scrittura da un lato mi attrae quando affronta i temi legati all’infanzia e alla sua storia familiare, quando descrive Istanbul e soprattutto quando affiora la sua natura ibrida di scrittore che guarda all’Occidente con la consapevolezza profonda delle sue origini, dall’altro mi scoraggia la complessità del suo stile che mi ha portato ad interrompere a metà più di un suo libro (La casa del silenzio, Neve). L’interesse per la sua scrittura ha avuto pertanto fasi alterne. In questo periodo per esempio, benevolmente rigenerato dalla lettura dei saggi di Altri colori, mi sono riaccostato fiducioso. E’ quindi reiniziata la voglia di conoscere l’uomo che sta dietro lo scrittore. E se si vuole trovare una traccia reale di un personaggio pubblico qual miglior strumento di Google! Il grande dispensatore di conoscenza che  annovera sia Wikipedia che la notizia spicciola ricavata dal giornale scandalistico di turno. E’ così che ho scoperto che dietro i giorni e  mesi di travaglio creativo in cui l’autore si isola dal mondo e in un alloggio del quartiere di Istanbul che l’ha visto crescere, porta a termine i romanzi che tutti leggiamo, ci sono anche i giorni dell’artista girovago e globale che attraversa i continenti per passeggiare sulle spiagge dell’oceano indiano con la penultima bella di turno o fugge (pare) in America latina per dimenticare i contrasti con l’ultima-ultima sua fiamma, un’artista turca. Né più né meno di un comune uomo delle italiche cronache. Alcuni hanno ventilato il sospetto che l’attenzione mediatica che negli ultimi mesi si è concentrata sullo scrittore turco sia opera delle forze conservatrici anatoliche più retrive che male hanno sopportato l’ascesa nel firmamento delle celebrità di chi ha in passato ha denunciato i genocidi turchi verso curdi e armeni. E così i maligni (Corriere della Sera del 12 gennaio) mormorano che se nel 2005 Pamuk fuggiva in America sotto le minacce di morte dei gruppi nazionalisti, ora fugge dal suo  paese per assai meno nobili motivi. Contrattempi ed amarezze della notorietà… Di sicuro Pamuk ha lasciato da molto tempo i panni dell’uomo scrittore autodescritto nei suoi romanzi, intento a cogliere le piu’ riposte e segrete vibrazioni della sua meravigliosa città o a ripercorrere umilmente le tracce della sua grande storia familiare. Le cronache lo vedono più prosaicamente sfrecciare attorno al pianeta, tra una conferenza e una lezione, attento a dosare le interviste e a ricreare continuamente il suo personaggio e la sua evolvente turcità (orribile parola letta nel web). Disillusione dunque oppure sana risposta ad una infatuazione nata e cresciuta all’ombra delle sue pagine. Da ultimo ho cercato anche un video di una sua conferenza/incontro e ho trovato la lunga registrazione nella sala del Gran Consiglio in occasione della sua visita a Genova nel maggio 2011. Ho scoperto un Pamuk rilassato nonostante un  ricorrente  tic facciale e la veloce e costante manipolazione di una penna tra le dita della mano destra. In un’ora e mezza riesce ad essere interessante e divertente ad onta delle continue interruzioni dovute alle necessità di traduzione. Ma allo stesso tempo tutta la piacevolezza di assistere alla lunga conferenza non mi impedisce di pensare che uno scrittore, svelandosi al pubblico, oltre la pagina scritta, perde qualcosa di fondamentale e cioè la magia in cui ogni lettore avvolge amorevolmente e intimamente l’uomo scrittore. La rivelazione uccide il sogno, la familiare consuetudine nata e sviluppata da ore e giorni di lettura viene sacrificata dalla umana realtà di una persona in carne ed ossa che parla, ride e scherza con silenziosi ed ammirati interlocutori. E in conclusione rimane anche il leggero imbarazzo che proviamo per risposte di Pamuk a domande rivoltegli centinaia di volte, per la noia che si cela dietro i sorrisi di convenienza, per la volontà comunque realizzata di diventare un uomo di spettacolo fuori dagli angusti confini di una stanza al settimo piano di un condominio di Beyoglu…. Invito infine ad ascoltare il Pamuk che si esprime in turco da quello corretto ma asettico che parla in inglese



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