martedì 3 aprile 2012

Le "bialere" di Bussoleno

Il dizionario Gabrielli alla voce Bealera riporta: "canale che trasporta acqua utilizzata per irrigazione o per produrre forza motrice". Nel 1959 avevo otto anni e non mi ponevo il problema di dove arrivasse qull'acqua in continuo scorrimento che lambiva il giardino della casa di campagna per poi sparire all'altezza del passaggio a livello e ricomparire molto più avanti lungo i prati che costeggiavano la strada in ghiaia per Chianocco. La bialera (il termine corretto di bealera mi era ignoto) era un luogo di divertimento, di sorprese e di avventura. Un giorno mi ritrovai tra le mani un pesce rosso quelli che allora nei Luna Park potevi pescare con una canna da panciuti acquari disposti su piani al centro di un gazebo multicolore. Al primo pesce ne seguì un secondo e poi sempre più, tutti morti ma ancora belli colorati. Ne portai uno a casa per provare quello che consideravo un vero fatto eccezionale, sapendo per esperienza che le bialere non erano abitate da pesci di sorta. La spiegazione di mia madre, sbrigativa, fugò ogni aura di mistero: qualcuno se n'era liberato gettandoli in acqua, essendogli morti. Le acque della bialera sapevano di fiume e di fango ma eran pur sempre belle limpide e scorrevano veloci, giorno e notte. Nei caldi pomeriggi d'estate era un piacere immergere le gambe nude in quell'acqua così familiare e inoffensiva e lasciar partire veloci nella corrente barchette di carta, bastoncini o semplici foglie strappate lungo le rive. Ci si divertiva con poco davvero e le giornate erano eterne. Fu prima che interrompessi il rito delle vacanze estive in campagna che le bialere cominciarono a sparire, interrate o coperte. Non c'era più motivo di rifornirsi d'acqua per irrigare orti e prati. L'acqua arrivava in tubi di gomma, sotto pressione e a comando. Ma allora ero già grandicello e il piacere di quell'acqua e delle sue sorprese non mi interessava più.

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