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domenica 18 febbraio 2018

Vite di sconosciuti: Rosa ed Evaristo

Quando Rosa sposa Evaristo lui ha già 54 anni ed è pensionato. Lei ha quasi 30 anni in meno, 25.  Appena una manciata di giorni prima di Natale, siamo nel 1927, viene celebrato il loro matrimonio, prima civile poi religioso.  Da inizio anno è stata istituita la tassa sul celibato: chissà se questo ha spinto i nostri due protagonisti a regolarizzare la loro posizione... Ma il '27 è anche un anno che registra tragici eventi: Sacco e Vanzetti vengono giustiziati negli Stati Uniti, il piroscafo Principessa Mafalda affonda al largo delle coste brasiliane causando oltre 600 vittime mentra a fine anno una scossa di terremoto nei Colli Albani rade al suolo la città di Nemi. Nulla ci dice se Rosa ed Evaristo furono consapevoli di questi fatti nè tantomeno ci è noto quel che provarono. Lui, data l'età, di sicuro leggeva le notizie sui quotidiani, lei viveva nell'ombra di lui completamente appagata dal suo amore e dalle sue attenzioni. Quel poco che sappiamo della coppia è racchiuso nelle pagine di un volume che nel 1937 veniva consegnato agli sposi in occasione della cerimonia matrimoniale.
Il volume era corposo di più di 100 pagine, suddiviso in sezioni


L'ossessione del fascismo per incrementare la natalità che nel trentennio del '900 aveva subito un preoccupante calo, viene qui esaltata al massimo grado. Anche le numerose inserzioni pubblicitarie contenute nel volume sono un chiaro invito demografico...
Il libro cartonato rosso che reca la scritta OMAGGIO AGLI SPOSI è usato come un semplice diario senza date, con vari pensieri e ricordi della vita trascorsa assieme. Non segue i capitoli stampati se non nella compilazione delle ricorrenze più importanti fidanzamento e matrimonio. Nelle numerosissime pagine dedicate a "I NOSTRI FIGLI" Rosa scrive i suoi piccoli ricordi, quasi sempre rievocazione di tempi felici della vita in comune. Il tutto sembra essere stato composto negli ultimi anni di vita, una specie di riassunto a posteriori. Rosa non ha avuto una vita felice prima dell'incontro con Evaristo. Scrive: "tutte le tristezze che la vita mi ha dato tu caro Evaristo con la tua dolcezza e bontà hai saputo rendermi felice". Certo periodare di alcuni passi sembra indicare una istruzione di Rosa medio bassa. Altre frasi suggeriscono che Rosa aveva un lavoro che la impegnava fino a sera. Evaristo le raccomandava spesso di riposarsi  perchè  "domani sarà un altro giorno di lavoro". Forse la differenza di età ha contribuito a far sì che il matrimonio fu sterile. Questo nonostante la pressione ideologica non certo leggera che il fascismo esercitò nel campo della demografia: Rosa ed Evaristo vissero gran parte della loro vita coniugale sotto la dittatura fascista. Non c'è traccia nelle pagine di grandi avvenimenti dolorosi. Molte estati li videro in villeggiatura alle porte di Torino, C'è al proposito una sintesi delle vacanze. Dal 1930 per 5 anni passano le ferie nel Canavese in una frazione di Corio: lunghe passeggiate in montagna alla ricerca di ciclamini o funghi, entrambi felici e spensierati. Lui è un buon camminatore e anche quando Rosa sale a fatica su per una mulattiera lui riesce sempre a trovare una parola di incoraggiamento. Dal 1940 al '45 le vacanze le trascorrono a Coassolo. Nel settembre 1954 i coniugi fanno il loro ultimo viaggio, in autunno, a Roma e Napoli. Un anno più tardi Evaristo muore.
Nel autunno del 1958 Rosa confessa alle pagine di questo che è divenuto un diario per pensieri sparsi, la sua solitudine. Evaristo era il centro della sua vita con i suoi consigli e con la sua sola presenza. E' triste, Rosa, confessa che solo nella preghiera trova la forza di continuare a vivere.


E' questa l'ultima traccia scritta lasciata da Rosa. Evaristo è ormai morto da 5 anni, il ricordo di lui sempre vivo nei giorni. 
Ho cercato a lungo nel web tracce del loro passato terreno, senza successo. Rosa nè tantomeno Evaristo risultano sepolti a Torino. La moglie di uno dei due testimoni di nozze muore nel 1965 ma neanche di lei esiste traccia se non nel necrologio. Ho omesso i cognomi, nonostante siano passati molti anni dalle vicende dei nostri due per rispetto della privacy. 


sabato 18 giugno 2016

Un processo in Val di Susa durante il ventennio

Il ventennio ha prodotto una serie infinita di autocelebrazioni. I giornalisti allineati col regime non perdevano occasione di sottolineare il costante valore educativo della cultura fascista sull'animo popolare. L'esempio che segue lo dimostra. In particolare troviamo qui  un' involontaria comicità, frutto di sublime patriottismo, capelli bruciati e pettinatrici diffamate.    

LA STAMPA DELLA SERA - Martedì 8 Gennaio 1936 - Anno XIII
Recede dalla querela perchè l'imputata è orfana di guerra

Un significativo episodio, chiaramente indicativo come il Fascismo abbia elevato nel popolo il sentimento di riconoscenza per i Caduti in guerra e abbia veramente valorizzato il sacrificio del nostri soldati caduti sui campi di battaglia, è avvenuto nell'aula della V° Sezione del nostro Tribunale. Doveva discutersi una interessante causa di diffamazione provocata dalla querela di certa V.S. di 30 anni, pettinatrice a Bruzolo di Susa, contro la ragazza E.A. di 23 anni, pure residente a Bruzolo di Susa. La S. si era querelata perchè la A., nell'estate scorsa le avrebbe attribuito il fatto specifico di non essere esperta nella sua arte, ma di essere solita a bruciare le chiome delle clienti, senza usare differenza di trattamento nè per le capigliature bionde nè per quelle brune, nè per quelle naturali, nè per quelle ossigenate e senza usare riguardo neppure alla condizione delle clienti e cioè sia che fossero residenti nel paese sia che fossero villeggianti. La voce messa in giro dall'A., la quale si sarebbe con varie persone lagnata, secondo quanto espose la S. nella sua querela, che costei le aveva bruciato i capelli, dissuadendo le sue interlocutrici ad affidare le loro teste alla sua concorrente, si sarebbe così diffusa che avrebbe prodotto gravi danni economici alla S. e conseguente... maggior incremento di lavoro ad altre pettinatrici della zona, si che l'interessata, per porre... argine alla voce diffamatoria, dovette disturbare la Giustizia e cioè far promuovere dal Procuratore del Re di Torino, procedura penale contro l'A. per diffamazione. L'istruttoria, complessa, era stata, nei suoi accertamenti, favorevole alla querelante tanto che si era chiusa, come si è detto, col rinvio a giudizio dell'A. davanti al nostro Tribunale. E l'A. comparve dinanzi ai giudici della V Sezione in veste di imputata per rispondere dell'accusa, di cui si era sempre protestata innocente, difesa dall'avv. Baravalle e confortata dalla presenza di varie testi a difesa: la parte lesa era pure animata dalle migliori intenzioni di contendere, poiché era venuta a Torino dal suo paesino con varie testimoni (evidentemente tutte clienti che non avevano avuto le chiome bruciate: ed era pure essa assistita, per costituzione di parte civile, da un patrono, dall'avv. De Marchi. La causa, quindi, si profilava vivace nella discussione: senonchè all'inizio del dibattimento l'intervento autorevole del Presidente e del P.M. e la collaborazione conciliativa dei due patroni, valsero ad indurre le due donne (che da tempo non si rivolgevano la parola) a venire ad un colloquio chiarificatore. Ma se già poteva ritenersi di aver raggiunto molto, ottenendo di porre le due rivali l'una di fronte all'altra e discorrere, senza che si accapigliassero, i presenti si proponevano di ottenere qualcosa di più e cioè un vero disarmo tra le due parti in lizza. Ed alla auspicata pacificazione completa si addivenne perchè quando la querelante apprese, dai documenti che aveva esibito la difesa, che la giovane imputata era un'orfana di guerra, dichiarò con simpatica sincerità, che non intendeva richiedere la condanna di una ragazza il cui padre era morto per la Patria. E poiché l'imputata dichiarò, a sua volta, alla pettinatrice che era spiacente di averle recato dispiaceri e danni, la pacificazione tra le due donne avvenne completa: la S. recedette dalla querela ed il Tribunale pronunziò l'estinzione del reato per remissione di querela. Il simpatico episodio, provocato da un sentimento di deferente simpatia per un'orfana di guerra, fu piacevolmente commentato dal numeroso pubblico che gremiva l'aula e che se ne andò senza manifestare disappunto per la... insoddisfatta curiosità per il processo mancato, edificato invece dal commovente episodio di così evidente significazione morale. 

mercoledì 20 marzo 2013

Parchi di Torino: storia di Villa Genero



Villa Genero nasce dall'unione di due «vigne»: vigna Colla e vigna Baldissero, la prima acquistata da Felice Genero nel 1858 e la seconda dalla moglie del medesimo nel 1888. La vigna Baldissero sita nel luogo dell'attuale piazzale all'atto dell'acquisto comprendeva: una villa, un rustico, una cappella, prati, orti, giardini, viali alberati. La vigna Colla, dove ora è sistemata la scuola materna, comprendeva un civile, due case rurali (una si è conservata) serre, giardini prati e il padiglione. Nel 1898 il complesso fu eretto ad ente Morale con il nome «Ginnasio Genero». Nel 1923 fu ampliato il civile e nel 1933 il parco divenne pubblico.

La STAMPA  21 Gennaio 1932
 Il parco di Villa Genero  come già abbiamo avuto occasione di rilevare più di una volta, per cura della nostra  Civica Amministrazione sono in corso di esecuzione alcuni importantissimi parchi pubblici che occupano complessivamente una zona imponente. Quello vastissimo della Pellerina, quello pure grandioso di Borgo San Paolo, e quello più degli altri caratteristico per essere in area collinare di Villa Genero, sono i maggiori. Queste nuove oasi di verde di svago e di respiro, non a torto chiamate i polmoni delle grandi città, rispondono ad un preciso e lodevolissimo programma del Podestà, conte Thaon di Revel, programma che l'Ufficio tecnico municipale diretto dall'ing. Orlandini va man mano realizzando con criteri di modernità é di larghezza. Dei tre parchi menzionati vogliamo foggi illustrare, per quanto brevemente, quello di villa Genero, il quale sarà n primo ad essere ultimato e inaugurato.
 La campagna dei poveri
Anni addietro la vedova Genero tacciava in eredità al nostro Comune la propria magnifica villa, situata al n. 139 della strada di Santa Margherita, perchè fosse fatta sede dl un Ginnasio Ricreativo. Cosi nella villa trovava posto una scuola, tuttora in funzione, riservata agli scolari di malferma salute, ivi fatti segno a cure speciali, con particolari metodi di insegnamento. Ma la scuola non occupa che uno solo dei quattro edifici della Villa, e non sfrutta che una parte dell'amplissimo parco circondante la villa stessa, il quale in tal modo andava cadendo in abbandono. Allora è intervenuta la Podesteria, la quale ha deciso di fare, della parte non utilizzata, un parco pubblico. E' stata veramente una magnifica idea. Il parco della villa misura complessivamente sui 60 mila metri quadrati di superfìcie, e siccome circa 20 mila di essi rimangono assegnati al Ginnasio Ricreativo, ne risulta che il parco pubblico consterà dl circa 40 mila metri quadrati. Si tratta dunque, all'ingrosso dell'ottava parte del Valentino; il che non è piccola cosa, se si considera che siamo in zona collinare. L'area della villa confina con quella della Villa della Regina, che ospita, il panorama magnifico più sopra descritto. In alcuni punti la vista dell'osservatore è limitata ai lati da gruppi di piante, che sapientemente si innalzano sullo sfondo del cielo come quinte a teatro, con un effetto decorativo irresistibile. Questo parco ha dunque, sugli altri in effettuazione, una grande prerogativa, un alto merito: quello dl essere già fatto, e di non necessitare che di ritocchi. Vi lavora, infatti, una squadra di operai giardinieri, sotto la direzione del geom. Bortolotti, ma essa è chiamata, in fondo, ad un lavoro di pulizia e di riordino, per rimettere all'onor del mondo quello che era stato sin qui trascurato. Maggior lavoro e fatica richiederà, accanto alla costruzione delle strade, la parte edilizia, che riguarda i quattro edifici di cui la villa consta. L'edificio posto più in basso e più vicino all'ingresso è quello ove ha sede la scuola. Perché meglio risponda allo scopo, esso verrà radicalmente riattato e risanato. Una casetta rustica che gli sorge accanto sarà pure restaurata e servirà di abitazione ai custodi. Il secondo edificio, che occupa una posizione centrale e che presenta cattive condizioni di stabilità, verrà totalmente abbattuto, e in suo luogo si aprirà il piazzale-belvedere cui accederà direttamente il braccio della strada principale, al quale abbiamo già accennato. Il terzo edificio, posto superiormente, è una casa colonica che guarda direttamente sulla strada di Santa Margherita, e verrà pure radicalmente trasformato. Esso sarà adattato a pubblico esercizio di tipo rustico, ad esempio a «buffet» e latteria insieme, e sarà certamente di grande conforto per i visitatori assetati ed anche per quelli affamati che non mancheranno certamente. Il quarto edificio, detto «fortino», è quello che sorge più in alto, ed è una caratteristica ed elegante costruzione ad un solo piano, con civettuole salette a veranda. Anch'esso verrà restaurato e servirà probabilmente a ricevimenti ad altre cerimonie del genere che eventualmente dovessero aver luogo. In vicinanza del fortino il terreno, mentre da un lato guarda, per mezzo di uno spalto, verso Superga, dall’altro scende in dolce declivio verso la strada ed è stato finora coltivato a vite. E’ qui, dove è ora la vigna che sarà creato del nuovo, al quale concorreranno insieme e sterratori e giardinieri. Si tratta infatti di ricavare quello che possiamo chiamare l’angolo dei bimbi, con un viale che vi salga dal basso e precisamente dal buffet-latteria con sentieri, spiazzi e prati che si prestino particolarmente ai giochi dei ragazzi. E così il parco, piccolo ma delizioso, sarà anche completo.
La strada di accesso
Intanto i lavori procedono alacremente  sotto la direzione dell'Ingegnere Pachner degli uffici municipali, e più andranno speditamente con la buona stagione. L'ingresso principale della villa Genero, che sarà anche l'ingresso del parco pubblico, è, come abbiamo detto, al n. 139, cioè a circa 15-20 minuti di strada, fatta comodamente a piedi, dalla fermata del tram n. 20. Il parco, adunque, sarà facilmente accessibile; già fuori città, cosi da dare l'impressione dì essere aperta e completa campagna, eppure ancora in città, per cosi dire a portata di mano. Una breve passeggiata dopo una corsa in tram, e il torinese, d'estate, si toglierà all'afa ed alla canicola, per sprofondare nell'ombra e nella frescura. Intenzione della civica amministrazione è appunto questa: di creare, per l'estate, la « campagna » di coloro che rimangono in città; dei poveri, in particolar modo, i quali potranno senza spesa alcuna, godere almeno per parte della giornata, degli stessi vantaggi che molta gente va cercando nelle nostre vallate, quelli della cosiddetta mezza montagna.. Il luogo infatti oltre ad essere incantevolmente ameno, è felicemente situato, ed offre ventilazione e fresco anche in piena estate. Le risorse che vi si aggiungono con la sistemazione a parco lo faranno addirittura privilegiato.
Grandioso panorama
Questo parco costituirà poi una magnifica riposante sosta per chi voglia recarsi all'Eremo o al Parco della Rimembranza o, come più frequentemente usano i torinesi, a Santa Margherita. E ciò vale tanto per chi va a piedi quanto per chi si vale di automobile o carrozza giacché anche i veicoli potranno entrare nel parco. E qui all’occorrenza si potranno specie di domenica, consumare all’ombra di piante secolari, liete e confortevoli merende… L’ingresso del parco, come si è detto, si aprirà ove ora è l’ingresso alla villa in strada di Santa Margherita. Quivi il passante può assistere già ora alla costruzione della strada da parte di una squadra di sterratori che sono all’opera da qualche tempo. Rettificato il confine fra le due proprietà di villa Genero e Villa della regina, la strada seguirà la nuova linea di demarcazione per circa 300 metri. Essa sarà larga metri 10,30 e sulla sinistra, cioè verso valle, lungo i terreni della villa delta Regina, sarà fiancheggiata da una cancellata in ferro, che darà alla strada stessa visuale e respiro. In capo ai suoi 300 metri la strada piegherà a destra ad angolo acuto, per inoltrarsi nel parco, e salendo dolcemente si porterà al centro di questo, su un piazzale dl discreta ampiezza e di magnifica positura, situato sopra una specie di sperone donde lo sguardo potrà spaziare liberamente all'ingiro. Sarà un terrazzo belvedere da cui si potrà godere lo splendido spettacolo della città, della collina — Superga da una parte e il Parco della Maddalena dall'altra — e delle Alpi lontane. A questo piazzale centrale fa capo un completo sistema di viali e di sentieri, il quale non occorre sia creato, perchè già esiste, ed è quanto di meglio si possa desiderare. Il parco di villa Genero, infatti, creato sul principio del secolo scorso — in un'epoca, cioè, in cui l'arte del giardinaggio era floridissima — rivela In ogni suo particolare una mano maestra. Ogni caratteristica del terreno è stata abilmente sfruttata, e non è esagerato dire che viali, belvederi, spiazzali, terrazzi, sono stati ricavati con genialità e fantasia, col risultato dl una varietà tutta movimento e leggiadria. Vi sono visuali indovinatissime scorci caratteristici, angoli e recessi pieni di quiete e poesia. Fontane, statue e obelischi sono stati distribuiti con abbondanza e buon gusto. La strada che conduce al piazzale terrazzo sarà ultimata in luglio od in agosto. Mentre si porrà mano ai lavori di edilizia saranno intensificati quelli di riordino e di pulitura del parco, di guisa che per il 28 ottobre prossimo si potrà farne l'inaugurazione ufficiale. Quest'opera avrà però, in un secondo tempo, un complemento, che si riferisce al tronco di strada dl larghezza m. 10,30, che abbiamo più sopra Illustrato. Questa strada è destinata ad essere continuata, fino a raggiungere la strada dl Santa Margherita all'altezza delta villa segnata col n. 162. Sarà cosi un buon tratto della vecchia strada che viene ad essere sostituito con mobile o carrozza, giacché anche l’altro più breve e ben più ampio, veicoli potranno entrare nel parco. E nel punto ove la strada nuova raggiungerà la vecchia è già stato allestito un grazioso piazzaletto che avrà presto un'aiuola fiorita ed una fontanella. Il Municipio ha acquistata una casa che sorgeva sul posto, l'ha abbattuta e ne ha ricavato il sopraddetto slargo, dal quale si gode un panorama dei più affascinanti. Degno di nota è il fatto che a questo punto, sulla destra, il vecchio muretto di cinta della villa adiacente è stato sostituito, per accordi intervenuti col Municipio, da una cancellata in ferro. La cosa è importante, non solo perchè senza la cancellata il piazzaletto sarebbe soffocato e perderebbe gran parte del suo valore, ma anche perchè la cancellata costituisce una primizia, una specie di «avant-gout» di quanto, con l'andar del tempo, la civica Amministrazione ha in animo di realizzare. Si tratterebbe, cioè, di sostituire tutti i muretti che fiancheggiano la strada dl Santa Margherita, sul lato verso valle, con altrettante cancellate in ferro. In tal modo la strada, che, oltre ad essere stretta, è come soffocata da questi muretti, acquisterebbe aria, luce e bellezza, dl guisa che il percorrerla sarebbe veramente gradevole e interessante.
LA STAMPA -- 14 Ottobre 1932
Nella sua marcia per il rinnovamento cittadino cui il Podestà, conte Thaon di Revel, ha impresso un indirizzo  cosi organico e moderno, il piano regolatore doveva trovare lungo la zona collinosa una istituzione che, in tema di assistenza ai bimbi poveri e bisognosi di cure rappresenta una anticipazione di alcuni decenni sul grandioso e analogo movimento portato al massimo sviluppo dal Regime Fascista. Vogliamo accennare al Ginnasio ricreativo Genero. La sua fondazione risale al 1890. Una munifica signora torinese, Giuseppina  Gola, vedova di un personaggio alquanto discusso, appunto il Genero, che aveva occupato importanti cariche all'epoca del Parlamento Subalpino, ereditiera delle sostanze di costui, donava al Comune le due ville sulla cui area, di 57.054 metri quadrati complessivi, la istituzione ha sede, e la faceva con una lettera che si può considerare un nobilissimo testamento morale. In una città — essa scriveva — nella quale la maggior parte della popolazione operaia è ancora costretta a vivere in abitazioni disagiate e poco sane, dove i bambini non hanno aria, luce e calore quanto basti per soccorrere alla gracilità della loro costituzione e combattere la lunga serie dei mali che l'imprevidenza o la colpa hanno inoculato nel loro povero sangue, mi parve opera buona di provvedere a che i più bisognosi, e fra essi  i meno robusti e meritevoli, per la loro buona condotta, di maggiori riguardi, potessero in ogni anno e per turno respirare per un po' di tempo l'aria salubre della campagna, e ricevere vitto conveniente e cure sanitarie ed igieniche in modo da rialzare il loro spirito e rafforzare ad un tempo le forze del corpo». La signora morì nel 1908, ma la sua opera le è sopravvissuta. Forse più di un torinese, al leggere o all'udire il nome dell'istituzione, sarà stato tratto in inganno da quell'insegna di «ginnasio» che nel linguaggio comune sta ad indicare una diversa attività scolastica: ciò deve anzi aver contribuito a mantenere un fitto velo d'ombra sull'istituzione. Certo si è che questa, mercé la dotazione patrimoniale largita dalla fondatrice poteva iniziare nel 1891 la sua opera, accogliendo durante le vacanze estive cinquanta tra alunni ed alunne delle scuole elementari, numero che ben presto salì a duecento. Fino al 1915 si formarono ogni anno quattro squadre, due maschili e due femminili che si alternarono nella villa per un soggiorno di venti giorni caduna. Durante la guerra, il Ginnasio con l'aiuto del Comune rivolse in modo speciale le sue cure a vantaggio degli allievi bisognosi, figli di soldati e portando ad un mese la durata della permanenza delle squadre nella villa prolungando così di quaranta giorni il suo normale funzionamento. Nel 1918 il Ginnasio nell’intento di concorrere al sollievo delle numerose famiglie profughe venute  a Torino dalle regioni invase mise i suoi locali per ospitare in luogo degli alunni torinesi, una colonia di 75 fanciulli profughi che vi rimasero dal dicembre 1917 a tutto il marzo del 1919. Ai piccoli coloni oltre all’alloggio e il vitto, veniva impartita l’istruzione con l’apertura di quattro classi elementari affidate ad altrettante insegnanti profughe. Terminata la guerra l’istituto tornò alla primitiva funzione. Successivamente una scuola all’aperto per bambini gracili, dovuto all’iniziativa del corpo insegnante torinese, raccoglieva una settantina di alunni. Ma come si è detto la proprietà su cui sorse il Ginnasio, è venuta a cadere sotto il piano regolatore, che destinandola a parco pubblico, prevede pure la demolizione dei fabbricati ivi esistenti. La precarietà di questi pertanto ha sempre trattenuto l’Ente dal procedere sia alla loro manutenzione, sia il loro adattamento alle moderne esigenze dell’igiene scolastica, tanto che una parte dei fabbricati era divenuta pressocchè inabitabile e un’altra parte necessitava di radicali trasformazioni.  In conseguenza di ciò anche per l’esiguità del reddito derivato dalla donazione della Sig.ra Gola, 14mila lire l’anno, ridusse sempre più la sua attività, fino a sospenderla completamente. Già altra volta abbiamo informato i nostri lettori, che allo scopo di dotare la città di un parco pubblico collinare, a breve distanza dall’abitato, ed in considerazione della necessità di dare la maggiore estensione possibile alle scuole all’aperto e alle colonie estive, fra l’Amministrazione podestarile e Villa Genero, venne stipulato un accordo in base al quale il Ginnasio mise a disposizione della Città affinché fosse sistemato a parco pubblico tutta la parte superiore ed inferiore della sua proprietà per la superficie di metri quadrati 40mila circa, conservando la libera disponibilità della parte mediana di circa mq 20 mila: e a sua volta il Comune si impegnò di provvedere alla sistemazione dei fabbricati esistenti sulla parte mediana in modo da renderli conformi alle moderne esigenze e da aumentare la capacità a 105 letti. Possiamo ora aggiungere che le opere per la sistemazione dei fabbricati  eseguite dal Civico esercizio tecnico dei Lavori Pubblici comprendono: la sistemazione della cucina, delle docce con relativo spogliatoio e del locale per la caldaia dell’impianto di riscaldamento nel piano seminterrato che venne risanato con la costruzione di una opportuna intercapedine: la sistemazione della cappella, del parlatoio, degli uffici della Direzione e del refettorio nel piano terreno, pure risanato mediante la costruzione di un cortiletto a monte dell’edificio; la sistemazione dei dormitori nei due piani soprastanti, dei quali il secondo costruito interamente a nuovo; ogni piano venne inoltre dotato di un adeguato numero di latrine e lavabi. Al piano terreno poi venne annessa una palestra con sovrastante terrazzo. L’importo di tutti questi lavori ammonta a lire 780.000 circa. Per la sistemazione della zona destinata a parco pubblico, si provvide innanzi tutto alla costruzione di un’ampia strada di accesso della larghezza di metri 10,50 formante il primo tronco della nuova strada per Santa Margherita prevista dal piano regolatore Da questa strada al cui inizio un’artistica cancellata segna l’ingresso del nuovo parco, ne parte, dopo oltre 400 metri, un’altra pure carrozzabile, larga metri 5 e lunga circa 270 metri che conduce al belvedere dal quale la città appare in una visione superba. Il piazzale, di oltre 1000 metri quadri di superficie, serve da punto di partenza a un magnifico viale rettilineo, lungo circa 300 metri, ombreggiato da ippocastani. Un’altra strada conduce poi al piazzale superiore ove trovasi un grazioso chalet chiamato il Fortino. Numerosi viali pedonali, collegati fra loro da vari stradini e scalette bordate con scogliere di roccia tufacea, per uno sviluppo totale di circa 1500 metri, completano la rete stradale del parco, contornando vaste zone ombrose formate da belle conifere. Tutti i movimenti di terra relativi ai lavori dei viali, piazzali e strade interne del parco, nonché il pianta mento di siepi e allei, venne eseguito in economia a mezzo di manodopera non qualificata assunta per alleviare la disoccupazione. L’importo dei lavori ascende a circa mezzo milione di lire ed in essi hanno trovato lavoro continuativo un centinaio di operai. Non v’ha dubbio che così sistemata Villa Genero costituirà una delle più incantevoli attrattive della collina

La STAMPA 29 Ottobre 1932 CRONACA CITTADINA: La celebrazione de decennale
[…] Mentre la banda suona gioiosamente «Giovinezza» e la Marcia Reale, gli illustri ospiti, salutati dagli applausi della popolazione, prendono commiato, dirigendosi velocemente con le automobili, verso la città, per recarsi alla Villa Genero. Dalla regione Barca il corteo delle automobili rientra in città e si reca nell'Oltre Po per l'inaugurazione del Parco di Villa Genero e della restaurata sede del Ginnasio Ricreativo. All'ingresso del parco che, come è noto, sorge in una magnifica posizione al di sopra della Villa della Regina, sono disposti gruppi di guardie municipali, il cui compito principale, oltre il servizio d'onore, consiste nel disciplinare l'afflusso della folla accorsa numerosa a godersi lo spettacolo che la località offre.

LA STAMPA - 24 Agosto 1934 - CRONACA CITTADINA: Lieta vita nelle Colonie elioterapiche. La visita del Segretario Federale alle Piccole Italiane nelle sette sedi torinesi
Anche la Colonia elioterapica municipale di Villa Genero è stata visitata dai Gerarchi. Nel vasto ed ombroso parco dell antica villa che, come e noto, or è circa un anno che il Comune di Torino ha voluto acquistare per farne un magnifico parco pubblico e per istituire una colonia, oltre trecento bambini ogni  giorno  convergono da tutte le zone della città per godere i benefici delle cure solari.
La Stampa del novembre 1933 annuncia la prossima installazione di illuminazione a villa Genero per la primavera successiva

LA STAMPA - 19 Luglio 1933 - CRONACA CITTADINA: Le grandi opere del Regime:  Si è sistemato a giardino pubblico la villa Genero e il Ginnasio Ricreativo annesso. 

La Stampa 25 luglio 1936

La  STAMPA - Martedì 30 Marzo 1937 - CRONACA CITTADINA: Settantamila torinesi alla  "Pasquetta dei Lavoratori"
Di una simpatica iniziativa si è fatta promotrice, quest'anno, come già l'anno scorso, la Federazione dei Fasci, organizzando la Pasquetta dei Lavoratori. Il Partito vuole e sa essere vicino al popolo, viverne la stessa vita e affiancarne le tradizioni, suscitandone la vitalità e creando attorno ad esse iniziative atte a potenziarle. E il popolo, che ha squisita sensibilità e cuore aperto partecipa in numero stragrande. Dai più lontani rioni la folla è accorsa a Villa Genero, ove il Partito invitava il popolo alla prima grande festa all'aperto dell'anno. Nel magnifico parco pubblico già prima delle 15 la folla era stragrande. Un fitto andirivieni peri viali e per i sentieri e presso la palazzina una marea di gente. Nel prato retrostante già si stendevano le prime candide tovaglie sul verde e a poco a poco le brigate si facevano così numerose da non lasciar più un posto libero. Organizzazione perfetta, servizio d'ordine inappuntabile. Sullo rotonda, presso la palazzina, molte coppie ballavano e giù, vicino alla ex-cascina, era stato predisposto il tradizionale ballo a palchetto, di carattere paesano, ove giovanotti e ragazze facevano i quattro salti. Valserini e mazurchette, musica rurale e allegra. I numerosi banchi per la vendita di vino e vettovaglie {salame, cibo classico della merenda; anche piatti caldi, però, e ben serviti, saporitissimi) hanno fatto ottimi affari. Alle 16 la festa era nel suo pieno e la folla, già numerosissima, andava sempre aumentando. La doppia fila di gente, si snodava senza soluzione di continuità, dalla Gran Madre di Dio, per la strada in salita, fino a Villa Genero. Poco dopo le 16 sono giunti sul posto il Federale e il Podestà. Piero Gazzotti, animatore della riuscita iniziativa, fu accolto, nel suo giro per i viali, da vive e cordiali manifestazioni di simpatia.  Federale e Podestà visitarono ogni angolo del parco e non mancarono di fare quattro salti anche loro sul ballo pubblico. Poi presso la cascina, fra la gente che merendava, sdegnando un tavolo imbandito sulle spiazzo della palazzina, sedettero e consumarono uno spuntino. La folla andava sempre aumentando. Più di settantamila persone sono forse passate ieri nei viali di Villa Genero. Numero enorme che prova la riuscita di questa simpatica manifestazione. Anche la lotteria... Dagli altoparlanti installati nei diversi angoli del parco un annunciatore dava i risultati dell'estrazione di una lotteria fra i presenti….

Nel novembre del  ’42 i mille letti del tubercolosario suburbano di San Luigi in Regione Tre Tetti vengono evacuati per via dei bombardamenti e trasferiti a villa Genero dove però sono disponibili solo poco più che 80 letti. Nel novembre del ’44 il Prof Giulio Malan Primario del San Luigi lamenta questa situazione di carenza che rischia di vanificare i successi ottenuti anni prima nella cura della malattia.
Villa Genero nel ’42 si trasforma in terreno utilizzato per la coltivazione autarchica del grano

LA STAMPA - Venerdì 26 Giugno 1942 - A GIORNI, IN PIAZZA CASTELLO La trebbiatura del grano raccolto nei "Campi di guerra". I covoni davanti a Palazzo Madama
 Col Podestà fra'i mietitori - 800 quintali di frumento, 1200 di paglia e 4000 di prodotti vari Verso i primi di luglio, cioè fra alcuni giorni, piazza Castello che ha assistito nei secoli a tanti spettacoli diversi, dai tornei di Corte alle parate militari alle sfilate religiose all'accalcarsi del popolo nei lieti è tristi eventi della Patria, alle grandi adunate del Regime, ne vedrà uno di carattere assolutamente nuovo e insolito: la trebbiatura del grano. Si tratta del raccolto proveniente gai parchi, dai giardini e dalle aiuole municipali, trasformati, dov'era possibile, in campi coltivi in obbedienza all'incitamento del Duce di utilizzare anche le particelle minime di terreno per assicurare, il pane alla Nazione e rafforzare in tutti il proposito della vittoria. Spettacolo pertanto non solo pittoresco, ma di profondo significato morale, attestatore di una ferrea volontà che nulla varrà a scuotere e che anzi i continui successi dell'Asse temprano sempre più. La mietitura è già cominciata e ieri sono affluiti alla parte della piazza fronteggiante l'entrata a Palazzo Madama, di rimpetto a via Garibaldi, i primi carri cari chi di covoni, che saranno di ma no in mano disposti in alte cataste in attesa delle operazioni al cui inizio assisteranno'' tutte le Autorità, insieme a un largo concorso — è facile prevederlo — della cittadinanza. Con la consueta cortesia il Podestà, comm. Matteo Bonino, ha voluto farci assistere ieri stesso, nella vasta distesa del Parco della Pellerina, al taglio del grano compiuto dalla macchina trainata autarchicamente da due poderosi cavalli, e siamo rimasti colpiti dalla bellezza delle spighe dorate e gonfie, ottenute nonostante il terreno di riporto su un fondo di discarica. Il camerata Bonino , che con tanta passione ha presieduto a tutte le fasi della utilizzazione dei campi e degli orti di guerra della nostra città, può veramente essere soddisfatto della proficua opera sua. Il raccolto granario assomma ad oltre 800 quintali con 1200 quintali di paglia, ricavati per una superficie globale di circa 3O ettari, equivalenti a trecentomila metri quadri, oltreché della Pellerina, dai parchi del Valentino, di San Paolo, San Severino e di Villa Genero, nonché da altri appezzamenti minori, compreso lo Stadio Mussolini. Ma oltre il grano, il Podestà ha curato il più intenso sfruttamento delle aree municipali pubbliche con la semina di altri prodotti, quali le patate, i semi di girasole, il granturco, le zucche, la segala l'avena, il fieno; e mentre il raccolto delle patate si presenta pur esso promettente, si attende il raccolto di 1500 quintali dì cavoli che troveranno posto nei campi di grano a mietitura compiuta. Il complesso delle coltivazioni varie della presente annata agricola raggiungerà i 4000 quintali. Per i lavori non si è dovuto ricorrere a mano d'opera speciale, giacché sono stati e sono tuttora utilizzati i giardinieri del Comune. Torino ha cosi risposto ancora una volta nel modo più degno all'incitamento del Duce, mettendosi, pure in questo settore, in prima linea.  

4 febbraio 1949: L’Ospedaletto di Villa Genero per fanciulli tubercolotici  viene fondato nel 1948
Martedì 10 - Mercoledì 11 Maggio 1949 NUOVA STAMPA SERA
I bimbi di Villa Genero alla prima Comunione Nella chiesetta del Sanatorio di Villa Genero, alla presenza del sindaco di Torino, dottor Coggiola, delle dame Patronesse e dei parenti è stata impartita la Prima Comunione a nove piccoli ricoverati: sei bambine e tre maschietti. Sedici furono i bimbi che si presentarono alla Cresima: nove bimbe e sette bimbi. Uno di questi, non essendo stato rintracciato il suo atto di battesimo (si tratta di un orfanello), venne ribattezzato coi nomi che desiderava. Meglio due volte che nessuna. Nel Sanatorio dì Villa Genero, piccolo angolo di fraternità sociale in cima alla collina, sono teneramente curati 87 tra bimbi e bimbe, che l'istituzione benefica si sforza di restituire integri alla società. E il 99 per cento delle volte ci riesce. In silenzio, ma col cuore. E' ciò che conta. Come è noto l'ente è retto dalla benemerita Crociata Antitubercolare di cui è presidente il sindaco, dottor Coggiola. Dalla Crociata dipende pure il Preventorio di Lucento, dove sono ospitati e amorevolmente assistiti i bambini figli di tubercolotici. I piccoli ospiti sono avviati a cura del Consorzio Provinciale di corso Savona e dell'Istituto di Previdenza Sociale.

23.11.51 I profughi dell’alluvione nel Polesine vengono alloggiati a Villa Genero in un centinaio di posti (notizia del 21 novembre 1951)


Villa Genero marzo 2013

Il Fortino sotto la neve

Interno (murato) del Fortino


Uno dei viali di accesso al belvedere




sabato 3 marzo 2012

Monssù Cerutti («Ch'a lu fica 'n cül a tüti») o il Duce

La visita di Mussolini, il Duce, a Torino nel maggio del 1938 può essere letta in due ottiche diverse. 
Quella della relazione puntigliosa, prolissa,  del giornalista de La Stampa oppure quella di Alessandro 
Barbero che ha il vantaggio di godere della prospettiva storica ormai ben definita e lontana e quindi 
più vicina alla realtà
Tratto da: https://www.museoarteurbana.it/litalia-fascista-e-torino-monarchica/
La Stampa 16.5.1939

A Borgo San Paolo, la Cittadella del lavoro 
Dal «Maramotti» al Dopolavoro della «Lancia» e della «Snia Viscosa» fra moltitudini osannanti 

Era chiamata «la rossa», la borgata rossa, quella di San Paolo negli anni tristi, ormai, dopo tanta onda di storia, già lontani nel tempo e nel ricordo [….]… i nostri occhi, attraverso un settennio, hanno conservato indistruttibile la visione del Duce a un certo momento asserragliato in mezzo alla folla dei lavoratori, stretto, accarezzato dai più vicini, quasi soffocato da un abbraccio che partiva da migliaia e migliaia di cuori in tumulto. Ieri l'abbraccio ideale del popolo di San Paolo al Condottiero che del popolo è la più genuina vivente espressione, ha superato l'episodio del 1932. Incontenibile ardore come allora, non c'è stato bisogno di alcuna preparazione per indurre la gente ad abbandonare le case e correre incontro a Lui: le case del Borgo che attualmente, tra uno svettare di alte, fumose ciminiere, conta più di centomila abitanti, nel chiaro meriggio di ieri si sono vuotate come per incanto. Per la seconda volta ci è toccata la lieta ventura di assistere a San Paolo al gigantesco esplodere dell'entusiasmo che dilagava di via in via e cresceva come un mare in tempesta, non avendo che un nome e una voce: Duce. Dopo l'adunata di domenica e la dimostrazione della Fiat, nessuna manifestazione ha assunto il calore e il colore di questa. E' perchè ancora una volta ha parlato, con squilli di incudine e colpi di maglio, l'anima delle officine: hanno vibrato i nervi nei lavoratori, che hanno amato prima e dopo Mussolini, e sentono fremere tutta la loro ardente passione ogni qualvolta Egli appare davanti ad essi. Un operaio, mentre la calca si faceva sempre più serrata, guardando al nostro taccuino che si riempiva di rapide note, è uscito in questa pittoresca definizione: — Che volete? Il Duce è come una centrale elettrica: l'energia che si irraggia da Lui prende tutti. Nessuno se ne può sottrarre. E con i compagni di lavoro, tornava a cadenzare il gran uomo.
Al Maramotti 
[…] La vivida fiamma ha cominciato ad avvolgere i cuori davanti al Sacrario del Gruppo rionale «Maramotti», che è al centro
del borgo. Qui le Camicie Nere che hanno fatto ala. in dense e profonde formazioni, al Condottiero, erano per i nove decimi costituite da operai: dietro di esse si assiepava la folla delle donne non inquadrate nelle file,, dei vecchi, dei bimbi: il popolo. E da tutti, nell'istante in cui il Duce, preannunciato dalle lontane acclamazioni di altra folla, è apparso, si è innalzato l'urlo senza eguale ad attestargli un affetto che è pure privo di qualsiasi possibilità di paragone. Dopo aver assistito in pio raccoglimento al rito della benedizione impartita dall'arciprete della parrocchia in cui il Gruppo è compreso, il Duce, sorridente, con il Suo consueto passo bersaglieresco ha percorso tutti i locali, elogiandone con il Federale l'ordine e la disposizione; poi, come le Camicie nere e la folla, fuori, non si stancavano di invocarlo, si è affacciato sul terrazzo. Subito dopo, lungo corso Peschiera sfavillante di tutta la gamma pittorica che possa essere offerta da una immensa moltitudine in festa, la Figura leggendaria, ritta sulla macchina, con il volto abbronzato e illuminato da una trasumanata bontà, è riafferrata dal tributo trionfale. Scorta d'onore di ciclisti. Ma ecco lo sguardo magnetico del Condottiero che, calmo sereno, tutto vede e tutto osserva, affissarsi giulivo a destra e a sinistra della macchina, su una miriade di giovani ciclisti, i quali, eludendo ogni disposizione d'ordine, pedalano ai lati del corteggio delle automobili ne delineano con agili virate i movimenti, e si distendono dietro di esse in una coorte che sembra non più finire. E' la scorta d'onore degli operai al loro Duce. Vedremo di volta in volta la folla travolgere i ripari collocati ai lati delle vie e irrompere di corsa dietro le macchine con l'illusione di poterlo seguire, il Duce, di vederlo ancora, di acclamarlo ancora; ma questi lavoratori in bicicletta, hanno trovato il modo di superare l'illusione, di trasformarla in realtà. Ecco gli agenti che montano la guardia alla vettura in corsa del Condottiero: eccoli, o signori che ansimate al di là delle Alpi per il povero popolo italiano soggetto alla schiavitù fascista; eccoli: sono gli operai della Lancia, sono gli operai della Fiat. Avanti con i pedali, o camerali! Il Duce vi guarda e i Suoi occhi ridenti vi dicono che mai Egli è cosi felice come quando si trova in mezzo a voi. Sui gradini d'ingresso del Dopolavoro Lancia, il Duce è stato ricevuto dalla consorte del defunto fondatore dello stabilimento, la signora Adele Lancia, che Gli ha porto con devote parole il saluto suo, dei suoi collaboratori che la attorniavano e dell'intera maestranza. Mussolini, che già la conosceva, si è avviato con lei nell'interno, in affabile conversare. Improvvisamente un coro femminile disposto sul palcoscenico del teatro, ha fatto vibrare l'aria con le note di un nostalgico canto. Il Duce lo ha ascoltato, applaudendo. Presso il palcoscenico la signora Lancia aveva fatto disporre il nuovo modello di automobile, una elegante berlina a quattro posti, cui sarà dato il nome di Ardea e che migliora di assai, anche nella forma della carrozzeria, il tipo precedente. Con 903cc di cilindrata, e con un consumo di sette litri e mezzo per cento chilometri, svilupperà una velocità di 108 chilometri. Il Duce, al quale la macchina è stata presentata, l'ha sottoposta a un minuto esame da conoscitore, quindi ha espresso il Suo compiacimento per la nuova realizzazione uscita dalle officine torinesi. Dai giardini del Dopolavoro, frattanto giungeva il fragore dell'invocazione affannosa dei lavoratori, ed il Duce, poco dopo, salito sulla tribuna eretta al centro, rispondeva ancora col saluto pieno di profonda e intensa solidarietà. Il tempo stringendo, Egli è immediatamente ridisceso per la visita ai locali, che ha pure elogiato. Ricevuto quindi ancora l'omaggio della signora Lancia, dei dirigenti del Dopolavoro e delle officine, dopo aver apposto la Sua firma sul registro presentatogli, è riapparso nel cortile esterno. La Sua vettura si è avviata tra un tumulto di grida osannanti, di applausi frenetici, impossibile a rendersi con semplici tratti di penna. Come fuscelli, i ripari di legno sono caduti, e il torrente in piena si è precipitato dietro la macchina, sempre circondata dai ciclisti fedelissimi. In quali vie è passata per arrivare al Dopolavoro della Snia Viscosa non è possibile dirlo. Dalla nostra 1100 non abbiamo potuto veder che la fiumana in marcia maestosa e il Condottiero, in piedi sulla vettura, nel mezzo di essa. Alla Snia, il Duce è stato ricevuto dal cavalier di gran croce Marinoni, presidente della Società, col quale si è trattenuto affabilmente. Visita rapida, come altrove. Compiacimento con i dirigenti per la magnifica sede dopolavoristica. Poi, partenza. Tutto il Borgo era ora lì. E se la macchina, in presenza del fantastico, prodigioso spettacolo, non avesse forzato la marcia, il Duce sarebbe rimasto prigioniero della immensa massa accalcata. Prigioniero dei lavoratori che avrebbero voluto non se ne andasse più.


2 marzo 2011

E Mirafiori lasciò il Duce da solo sotto la pioggia

di Alessandro Barbero


Il 15 maggio 1939, davanti a un'immensa folla operaia, Mussolini inaugurava a Torino il nuovo stabilimento della Fiat Mirafiori. Era la seconda grande fabbrica che Giovanni Agnelli creava nel capoluogo piemontese, dopo l'avveniristico stabilimento del Lingotto, aperto nel 1922. In quell'occasione, a celebrare i fasti della Fiat e sancire la sua alleanza con lo Stato era venuto il re, ma stavolta fu deciso che a inaugurare Mirafiori sarebbe venuto il Duce in persona: quello che a Torino, quando non c'erano troppe orecchie in ascolto, chiamavano in dialetto Monssù Cerutti («Ch'a lu fica 'n cül a tüti», e forse non c'è bisogno di traduzione). Non era ovvio che Mussolini quel giorno venisse a Torino, anzi non era ovvio per niente che nell'Italia fascista fosse sorta una fabbrica come Mirafiori, capace di impiegare su due turni 22mila operai. Una retorica oggi dominante pretende che nell'Italia degli anni Trenta il consenso al regime fosse pressoché universale; basta leggere le informative di polizia che ogni giorno arrivavano sul tavolo di Mussolini per sapere che non era così, e che fra le concentrazioni operaie delle grandi città del Nord l'ostilità al fascismo e l'adesione a ideali socialisti e comunisti erano largamente diffuse. Perciò il Duce non amava le grandi fabbriche, così vulnerabili, oltretutto, ai bombardamenti aerei, di cui già allora si prevedeva la spaventosa efficacia. Mussolini avrebbe preferito che l'industria italiana decentrasse la produzione; ma Agnelli voleva Mirafiori e dopo una serrata trattativa strappò il consenso alla costruzione del nuovo, colossale stabilimento, in cambio dell'impegno a costruire diverse altre fabbriche fra Marche e Toscana. Così quel 15 maggio 1939 Mussolini era a Torino, o meglio fuori Torino, perché l'area dove Mirafiori era venuta su dal nulla non era ancora urbanizzata, e si stendeva fra prati e gerbidi, non lontano dalla palazzina sabauda di Stupinigi. In omaggio alla politica sociale del regime, c'era accanto alle officine un grandioso dopolavoro, con piscina, campi da pallavolo e cento campi da bocce; c'era la mensa aziendale da 11mila posti, anch'essa una novità imposta dal Duce, perché «l'operaio che mangia in fretta e furia vicino alla macchina non è di questo tempo fascista»; c'era la rimessa per le 10mila biciclette con cui si prevedeva che gli operai sarebbero venuti al lavoro, e c'era, inevitabile, il rifugio antiaereo per l'intera manodopera, giacché Mussolini sapeva bene che la guerra sarebbe venuta, ed era deciso a non restarne fuori. Era insomma, come dichiarò lo stesso Duce, «la fabbrica perfetta del tempo fascista»; eppure Mussolini non era sicuro dell'accoglienza che avrebbe ricevuto. Era stato in visita ufficiale in Piemonte per la prima volta sedici anni prima, nel 1923, e prevedibilmente aveva esaltato tanto la tradizione militare piemontese (i «magnifici battaglioni») quanto «le mille ciminiere dei vostri stabilimenti», «questa vostra splendida città del lavoro» da cui si diceva frastornato e abbagliato. Il silenzio con cui lo avevano accolto gli operai non l'aveva smontato più di tanto: «Se in dodici mesi sono riuscito a farmi ascoltare, l'anno prossimo mi applaudiranno», dichiarò andando via. Però in occasione della sua seconda visita, nel 1925, aveva sentito il bisogno di dichiarare: «Si dice che il Piemonte è freddo. Non è vero. Il Piemonte è serio. La differenza è sostanziale!», e, in tono ancor più rivelatore di una malcelata insicurezza, «Si è detto che il Piemonte non è fascista. Altro errore!». Dopodiché non si era più fatto vedere per ben sette anni: tornò soltanto in quelli che altrove in Italia erano davvero gli anni del consenso, nel '32, nel '34, e per la quinta volta appunto nel '39. Tornava; ma i rapporti di polizia non erano incoraggianti. «Nella massa lavoratrice si riscontra sempre un ambiente decisamente avverso alle istituzioni del regime», scrivevano gli informatori nel dicembre 1937. La crisi economica e i provvedimenti per l'autarchia «hanno creato una ostilità latente per il regime, ostilità che pubblicamente non si manifesta per paura ma che può essere provata e sentita da tutti», si rincarava nel dicembre 1938. Le leggi razziali erano state accolte gelidamente, in particolare dagli ambienti cattolici, che a Torino e in Piemonte non erano - e non sono - così protagonisti della vita collettiva come avviene ad esempio a Milano e in Lombardia, ma avevano una loro discreta influenza: «Perdura l'incertezza o il malcontento di tutti», confessava la polizia, e precisava: «Negli ambienti cattolici si biasima apertamente la politica antiebraica».  Quanto all'ipotesi della guerra, e di una guerra contro la Francia e al fianco dei tedeschi, che in quella primavera del 1939 aleggiava già oscuramente nell'aria, il giudizio era ancora più netto: «Lo stato d'animo della popolazione torinese nel presente momento è chiaramente avvertito da chiunque: esso è nettamente contro ogni guerra e contro la Germania». «Udendo discorsi che qui si fanno ovunque, si ha la sensazione di trovarsi in una città che non è fascista», concludeva sgomenta la Questura torinese.
Perciò la visita del Duce fu preparata con misure eccezionali. Come si faceva sempre in questi casi, si provvide a mettere in guardina un certo numero di oppositori e sovversivi. Ma fu soprattutto la Fiat, che non voleva incidenti, a pianificare con cura la partecipazione delle masse. Tutti i dipendenti ricevettero l'ordine di presentarsi a Mirafiori la mattina del 15 maggio, con un cartellino che bisognava timbrare prima delle otto. Perciò, fin dalle prime ore del mattino decine di migliaia di persone si accalcavano davanti al palco costruito accanto all'officina principale, mentre gli operatori dell'Istituto Luce armeggiavano per riprendere le sequenze del documentario che avrebbe testimoniato l'abbraccio tra il Duce dell'Italia fascista e le masse dei lavoratori. Mussolini non ebbe fortuna: quel mattino diluviava. Chi ebbe fortuna furono le autorità locali, cui non parve vero di poter attribuire alle ore di attesa sotto la pioggia l'esito catastrofico della giornata. Quando Mussolini arrivò a Mirafiori, fra le cinquantamila persone (tante, almeno, secondo la Questura) assiepate ad attenderlo gli applausi furono radi e svogliati. La direzione Fiat aveva dato istruzioni precise, di battere le mani al suo arrivo e ad ogni pausa del discorso, «invece nessuno ha fatto niente di tutto questo», ricorda, forse con un po' di ottimismo, un'operaia. Gli applausi e le grida di Duce! Duce! vennero soprattutto dalle prime file, dov'erano gli impiegati e i membri del partito in uniforme. E in camicia nera era anche il settantatreenne Giovanni Agnelli, ex ufficiale di cavalleria e senatore del Regno, che quarant'anni prima aveva fondato la Fiat e che ora saliva sul palco accanto al Duce. «Camerati operai!» cominciò Mussolini, rivolgendosi ai cinquantamila zuppi di pioggia. Procedette poi, con qualche fatica, a spiegare quant'era importante che lui fosse lì, e che loro fossero venuti ad ascoltarlo, per disperdere le voci malevole secondo cui in Piemonte, e soprattutto fra gli operai, allignava la mala pianta dell'antifascismo. «Il Piemonte è fascista al cento per cento. E questo sia detto una volta per sempre, onde fare tramontare certe ridicole illusioni» dichiarò, da quel grande attore che era, benché non ci credesse nemmeno un po'. Esaltò, e non aveva neanche tutti i torti, le provvidenze che il Regime aveva introdotto per i lavoratori, e di cui le meraviglie del nuovo stabilimento erano la prova tangibile. Poi, sconcertato perché gli applausi erano sempre pochi, sbagliò, come gli capitava di rado di sbagliare dal palco: si vede che trovarsi lì non lo ispirava. In un discorso di cinque anni prima, a Milano, dove era abituato a trovare folle ben più entusiaste, aveva promesso agli operai salari equi, case e lavoro, e addirittura una partecipazione alla gestione delle fabbriche, non si sa con quanta soddisfazione di Agnelli e degli altri industriali. Ma invece di ripetere queste promesse, si limitò a dichiarare agli operai che erano sempre valide, proprio come le aveva formulate nel discorso di Milano. Nessuno sapeva di cosa stesse parlando, e gli applausi, tanto per cambiare, furono tiepidi. Irritato, Mussolini sbagliò ancora: chiese alla folla se non ricordava il discorso di Milano. I più zelanti, per non sbagliare, gridarono di sì; ma erano pochi. Allora al Duce saltarono i nervi. Strillò: «Se non lo ricordate, leggetelo!», e si voltò per andarsene. Agnelli, costernato, gli corse dietro, lo prese per le spalle e lo costrinse letteralmente a tornare indietro per salutare la folla; Mussolini tornò ad affacciarsi, fece il saluto romano, poi se ne andò davvero senza aggiungere altro. A Torino non sarebbe più venuto; ma si ricordava certamente di questa spiacevole esperienza, e nel ricordo accomunava, forse non a torto, il monarchico Agnelli e i suoi operai comunisti, quando tuonava da Salò, nel giugno 1944, alla notizia degli scioperi che paralizzavano Mirafiori: «Il centro della Vandea monarchica, reazionaria, bolscevica è il Piemonte».