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martedì 10 aprile 2012

Il mistero della Revalenta, pozione miracolosa di fine '800......

Tratto da: https://www.perugiatoday.it/rubriche/correva-l-anno-di-marco-saioni-farmacia.html


LA STAMPA
(15.11.1870)


LA REVALENTA ARABICA DU BARRY DI LONDRA
Guarisce radicalmente le cattive digestioni (dispepsie, gastriti), neuralgie, 
stitichezza abituale, emorroidi, glandole, ventosità, palpitazione, diarrea, 
gonfiezza, capogiro, ronzio d'orecchi, acidità, pituita, emicrania, nausee e 
vomiti dopo pasto ed in tempo di gravidanza; dolori, crudezze, granchi, spasimi 
ed infiammazioni di stomaco, dei visceri; ogni disordine del fegato, nervi, 
membrane mucose e bile; insonnia, tosse, oppressione, asma, catarro, bronchite, 
tisi (consunzione), pneumonia, eruzioni, malinconia, deperimento, diabete, 
reumatismo, gotta, febbre, isteria, vizio e povertà del sangue, idropisia, 
sterilità, flusso bianco, i pallidi colori, mancanza di freschezza ed energia. 
Essa è pure il corroborante per i fanciulli deboli e per le persone di ogni età, 
fermando buoni muscoli e sodezza di carni. 
 
Economizza 50 volte il suo prezzo in altri rimedi.
72000 GUARIGIONI RIBELLI A TUTTE LE MEDICINE
 
La scatola del peso di un l/4 DI CHILO  L. 2,50, ½ chilo L. 4,50; 1 chilo L.8, 
2 chili e ½ 17 lire, 6 chili L.36, 12 chili L.65
 
La REVALENTA AL CIOCCOLATTE
(Brevettata da S. Maestà la Regina d'Inghilterra), dà l'appetito, la digestione 
con buon sonno, forza dei nervi, dei polmoni, del sistema muscoloso; alimento 
squisito, nutritivo tre volte più che la carne, fortifica lo stomaco, il petto, 
i nervi e le carni. In polvere per 12 tazze  fr. 2,50; id. per 2-4 tazze fr. 4,50;
id. per 48 tazza fr. 8; id. per 120 tazze fr. 17 50; in tavolette per 12 tazze
fr 2,50; id. per 24 tazze fr. 4,50; id. per 48 tazze fr. 8. 
 
BARRY DU BARRY & COMP, N°2, via Oporto, e N°34, via Provvidenza, Torino, 
ed in tutte le principali farmacie e drogherie del Regno
 
La revalenta era in realtà la storpiatura del nome botanico dell'Ervum Lens ossia 
della comune lenticchia.... Il suo magnificato valore curativo era nè più nè meno 
efficace quanto quello di un piatto di piselli. La sostanza viene citata nell'ultimo 
capitolo di Madame Bovary quando parlando di Monsieur Homais, il farmacista, si dice 
"Fu il primo a far venire nela Senna inferiore la coca e la revalentia"
 


giovedì 9 febbraio 2012

La Torino del nuovo millennio immaginata nel 1964

Nel 1962 il Comune bandisce un concorso per la progettazione del nuovo centro direzionale della città, a cui partecipano numerosi gruppi di architetti torinesi e nazionali. Previsto nell’area occidentale, non verrà realizzato, ma sollecita il dibattito intorno allo sviluppo verticale dell’edilizia torinese.
Il Centro direzionale di Torino nella collocazione tra i corsi Francesco Ferrucci e Inghilterra, mai realizzato ma oggetto di un concorso nazionale nel 1962 cui partecipano alcuni dei maggiori progettisti non soltanto torinesi, è per la prima volta ipotizzato dal Piano regolatore generale del 1956, approvato tre anni più tardi. Il concorso è il simbolo evidente, nel dibattito dei primi anni Sessanta, della terziarizzazione di Torino nel pieno del boom economico, e nello specifico dell’area occidentale della città che – al centro di imponenti piani di trasformazione e sviluppo a partire dal piano Astengo (1947), grazie al previsto asse di attraverso nord-sud – sarà poi la sede del grattacielo Sip di Ottorino Aloisio (1964). Il concorso è anche luogo significativo di elaborazione progettuale nel campo dell’edilizia pluripiano con funzioni terziarie direzionali.
Il concorso bandito dall’Amministrazione comunale nel 1962 vede protagonisti architetti e urbanisti tra i più significativi del panorama nazionale. Ludovico Quaroni è il capogruppo del progetto vincitore (motto «Akropolis 9», con Mario Bianco, Sergio Nicola, Nello Renacco, Aldo Rizzotti e Augusto Romano), che propone la novità, pressoché assoluta per la città, del grappolo di torri riunite in un contesto organico e coerente di blocchi pluripiano. Sono 14 gli edifici da 120 metri che emergono da una grande piastra, poste al centro dell’intervento e destinate a funzioni direzionali essenzialmente private. Gli altri gruppi partecipanti, per quanto in molti casi propongano soluzioni dalle dimensioni molto cospicue anche in altezza, tali da costituire un segno spesso evidentissimo nello skyline cittadino – sono in particolare i casi dei progetti di Giovanni Astengo con Gianfranco Fasana e Giuseppe Abbate («Operazione 70», terzo premio), di Carlo Aymonino e Franco Berlanda («Badeba», quarto premio), di Gianugo Polesello, Aldo Rossi e Luca Meda («Locomotiva 2», un blocco a corte di 140 metri d’altezza) e del gruppo guidato da Guido Canella («Incentivo 1970») – soltanto eccezionalmente prevedono edifici emergenti nel nuovo tessuto e dallo spiccato carattere di “segno urbano”. Lo fa Nicola Mosso («Torino 11») che progetta, all’interno di un sistema di edifici alti, due blocchi speculari di 100 metri e una lama a ponte su corso Ferrucci: Claudio Dall’Olio («Nuova Augusta 999», progetto segnalato), con l’infilata di 5 torri distanziate lungo corso Inghilterra e un blocco isolato a doppio corpo; e Glauco Gresleri con Giorgio Trebbi («Toro seduto 12», segnalato), con la loro selva di torri attorno a un anello viario soprelevato. I gruppi di Cesare e Augusto Perelli e Giorgio Ponti («Pitré 78»), così come quello di Aymonino, destinano una torre isolata a nuova sede della Regione Piemonte: il possibile confronto con i progetti recenti di Massimiliano Fuksas è suggestivo,
 (tratto da Museo Torino)

All'inizio del 1964 comparve sulla Stampa la notizia dei risultati del concorso. Ecco il testo integrale dell'articolo


Mercoledì 8 Gennaio 1964
UNA CRONACA ANTICIPATA (CHE CI AUGURIAMO VERITIERA) 
Così allo scadere dell'anno 2000 apparirà la fantastica City di Torino
Progetti presentali alla popolazione nella Galleria Civica d'Arie moderna da giovedì prossimo al 19 gennaio.
Una vasta area non lontana dal vecchio centro storico trasformata in centro direzionale
L'Acropoli
Una grande collina artificiale irta di grattacieli che digrada dolcemente verso un parco in cui sorge la zona residenziale Uffici pubblici e privati, banche, locali di divertimento: la vita continua notte e giorno. La stazione per gli aerorazzi a decollo verticale e la base subalpina interplanetaria  A due anni dalla fine del secondo millennio dell'era volgare, potranno leggere tra qualche decennio i nostri posteri sulle eliogazzette del 1998, l'Acropoli torinese appare certo meno avveniristica di quanto fosse sembrato nel 1963, il suo progetto proclamato vincitore nel concorso bandito dall'Amministrazione comunale per la sistemazione della grande area a ponente della ferrovia Torino-Milano sino a corso Ferrucci, via S. Paolo e via Osasco, tra le vie Braccini (a sud) e Cavalli (a nord).
Prime polemiche
Ventiquattro erano stati i progetti concorrenti. Più d'uno, forse, ricorderà ancora la mostra che dal 9 al 19 gennaio del 1961 ne presentò ventuno alla cittadinanza con i nove ritenuti migliori. L'esposizione, allestita nelle sale della civica galleria d'arte moderna, era stata inaugurata dal sindaco Anselmetti, simpatica figura d'ingegnere che esordendo come sindaco quasi con civetteria aveva dichiarato di essere soltanto un rude meccanico, mentre si rivelò poi come uno degli amministratori più sensibili alle presenze culturali della città. La mostra, com'era naturale, suscitò discussioni e le solite polemiche tra fautori e oppositori; ma interessò molto anche per la varietà delle soluzioni offerte dagli altri progetti premiati: quelli redatti dal gruppo di architetti veneti capeggiati da G. Samnnà (Biancaneve e i 7 nani 8), dai torinesi Astengo, Fasana e Abbate (Operazione 70) e da un'équipe di professionisti romani comprendente anche l'arch. Berlanda di Torino (Badeba 33). Agli altri cinque progetti era stato assegnato un rimborso spese. In quei giorni, Bruno Zevi, eminente studioso d'architettura, notava in una delle sue note settimanali: «Con il concorso per il nuovo centro direzionale Torino ha scritto una pagina nuova nell'urbanistica italiana. Sono stati premiati quattro progetti che rappresentano altrettante tesi sulla "terziarizzazione" della città moderna; quattro interpretazioni sul modo di affrontare il crescente sviluppo degli edifici e degli spazi necessari all'amministrazione pubblica e privata, al commercio, allo svago e ai servizi, cioè a quell'insieme di funzioni che si definiscono appunto "direzionali" e che caratterizzano insieme all'aumento delle popolazioni ed all'automazione degli impianti produttivi, l'assetto territoriale della nostra epoca».
Eccellente alternativa
Diciamolo pure: è alla creazione di questo centro che si deve se Torino non è morta di asfissia. Merito dunque delle amministrazioni civiche che l'hanno voluto, me. anche  e forse più di quelle che hanno reso possibile la sua creazione praticamente conservando per secoli, come un bene intangibile sottoposto al Demanio quella zona ideale, ad appena 1500 metri da Porta Nuova, a 1800 metri in linea di aria da piazza Castello, e ad un solo chilometro da piazza Statuto: centralissima, e pure in grado di costituire una eccellente alternativa rispetto all'antico centro storico che delegando in certo qual modo al centro direzionale le sue funzioni essenzialmente economiche, si è salvato, conservando per sé il tradizionale ruolo di rappresentanza, cui ben si confà il suo aulico carattere e la ricchezza di monumenti architettonici specialmente barocchi che qui sono stati valorizzati in una lunga e dispendiosa, ma preziosa politica di risanamento ambientale. L'Acropoli, come continuò a chiamarsi col nome del progetto elaborato da una equipe formata dagli architetti e ingegneri torinesi Renacco, Nicola, Rizzotti, Romano e Bianco e dai loro colleghi romani, L. Quaroni, Esposito, Maestri e Quistelli, con la consulenza del Centro ricerche industriali e sociali di Torino divenne, com'è noto, subito un quartiere alla moda, riunendo veramente secondo le previsioni dei suoi autori, la caratteristica eleganza di certe zone residenziali romane, come i Parioli e la via Appia Antica ai loro bei tempi, la solennità dell'Acropoli ateniese, ricordata anche nel nome, e l'importanza economica della City di Londra. Sullo sfondo immutato della cerchia alpina, Torino è cambiata al punto da non essere riconosciuta da chi dopo una quarantina d'anni tornasse ad affacciarsi sul piazzale dell'antico Monte dei Cappuccini. Può dirsi infatti sparita la bassa scacchiera sulla quale sin verso gli anni Sessanta si notavano in ordine sparso le strutture più alte della Mole, della guariniana cupola della Santa Sindone, i campanili e i primi grattacieli sorti in piazza Castello e in piazza Solferino, in via Santa Teresa e in via XX Settembre. L'occhio oggi corre istintivamente al grappolo di grattacieli, nuovi di zecca, alti 120 metri; che dominano non soltanto il nucleo centrale del centro destinato alle funzioni direzionali essenzialmente private e agli esercizi pubblici e ai locali per divertimento, ma sull'intero sistema edilizio che si articola nel suoi tre nuclei a quote variabili; sino a 35 metri in quello a Nord di corso Vittorio dove si sono trasferiti gli uffici dell'Ente regione, della Provincia e del Comune, oltre agli uffici periferici dell'amministrazione centrale: tra i20 e i 25 metri nella parte più alta della zona dei grattacieli, mentre più dolcemente la collina così creata doveva venir declinando sino a perdersi nel parco, con i più larghi ripiani delle terrazze, tra ricche cascate di Mori e d'arbusti, sino al piano del grande tappeto erboso, che circonda quasi le  costruzioni di questo terzo nucleo prevalentemente destinato all'ospitalità e alla residenza.
Annosi problemi
Qualcuno ricorderà ancora ! come all'epoca in cui venne adottato il progetto «Akropolis», su queste aree esistevano l'antico mattatoio, alcune caserme e gli impianti di un gruppo di stabilimenti industriali come le Officine ferroviarie, la Westinghouse e la Nebiolo. Ancor oggi i sembra un miracolo che a Torino, dove ancor pochi lustri prima una piccola operazione di permuta col demanio militare aveva fatto ritardare di anni la ricostruzione del Regio, si fosse riusciti in poco tempo a superare ogni difficoltà del genere. Non bisogna dimenticare che, fortunatamente, s'era entrati già allora nella seconda fase del «decentramento amministrativo» quando i poteri locali, forti della conquistata autonomia, avevano pensato all'utilità di creare appunto dei loro uffici decentrati presso quelli ministeriali. L'indirizzo era venuto da Milano che istituì i propri nel 1962. Torino si decise a farlo ci volle naturalmente la risolutezza e lo spirito pratico d'un sindaco come l'ing. Anselmetti al principio del 1964: proprio in vista delle accresciute esigenze della città, che potè finalmente instaurare con Roma un più proficuo dialogo. Gli antichi «bògia nen» incominciarono così a muoversi. Per la realizzazione del centro direzionale venne creato un Ufficio permanente con l'incarico di analizzare, organizzare, programmare, coordinare, controllare; in una parola per garantire un'organica edificazione dei tre nuclei previsti fin dal progetto, favorendo la formazione di consorzi tra gli enti Interessati destinati a curare la costruzione ed oggi la gestione dei condomini d'uso privato, lasciando al Comune le parti di uso pubblico. In pochi lustri annosi problemi sono stati affrontati e risolti, dall'edilizia alla circolazione, ma l'orditura cartesiana continua ad unire tutto, la città e il suo centro « acropoli della vita, moderna».
Chi vi giunge da corso Vittorio vede le cime dei grattacieli spuntare tra le chiome degli alberi, finché affacciandosi sul corso Inghilterra coglie in tutta la sua ampiezza il profilo frastagliato della vasta collina artificiale, quasi un paesaggio nel paesaggio animato dai riflessi delle grandi superfici verticali dei grattacieli e dalle ombre loro che a seconda dell'ora e del punto in cui ci si trova sembrano venirci incontro o inseguirci. Chi non ha gustato quel senso dell'inattesa scoperta offerto da una passeggiata in questa zona? Si attraversano ampi porticati, interrotti da piccole piazze e da giardini, ci si sofferma davanti alle numerose vetrine si entra nel vari uffici destinati ai contatto col pubblico, si trovano gli accessi al numerosi ascensori uscendo sulle terrazze fiorite, si ha lo sgomentante spettacolo dei grattacieli visti dal basso, trovandosi d'altra parte in posizione dominante rispetto al parco che si stende a terrazze verso le zone più basse, interrotto dalla vegetazione e dalle vasche di acqua. Sole e luce artificiale si alternano lungo i percorsi pedonali che corrono tra zone aperte ed altre coperte, serviti a tratti da tapis roulants e scale mobili con diverse velocità, dotati alcuni anche di posti a sedersi mezzi moderni e confortevoli per spostarsi con minor fatica, da un luogo all'altro; dai negozi alla chiesa, dalle sale di riunione ai bar. Alla notte tutto è illuminato come dal di dentro. Quasi nascosti nelle membrature delle costruzioni i tubi al neon illuminano le facciate e le finestre buie dei grattacieli, altri fasci di luce escono dal locali di ritrovo teatri, cinema, ristoranti, caffè e clubs che assicurano anche di notte la vita del centro direzionale, a differenza di quel che accadeva nella «City» di Londra dove alla chiusura degli uffici è il deserto. Certo in pochi anni nel centro s'è affermata una città nuova. Quattro grandi istituti bancari hanno trasferito qui la loro sede: i due maggiori, con gli uffici centrali, si fronteggiano sul corso Vittorio, nei pressi di piazza Adriano su una superficie di oltre duemila metri quadrati ciascuno. Una nuova centrale telefonica è subito sorta. A decine si contano le grandi aziende che hanno ottenuto aree su cui costruire. Una aveva chiesto per esempio 4 mila metri quadrati: nell'edificio ha ricavato un'autorimessa pubblica nell'interrato, saloni da esposizione per l'azienda stessa e negozi per terzi al piano terreno, uffici direzionali e di rappresentanza dell'azienda e per altre ditte al primo piano, alloggi per il proprio personale e per terzi ai piani superiori. Si sono così impiantati uffici commerciali e dì rappresentanza, sedi di banca e agenzie, servizi direzionali e di gestione di istituti di assicurazione, alberghi, scuole, opere parrocchiali, sedici industrie e società elettriche, il palazzo dell'Automobile club, un grande ufficio postale e telegrafico che da solo occupa un'area di 4 mila metri quadrati e 30 mila metri cubi. Basti dire che fin dall'epoca in cui venne elaborato il progetto le richieste di enti e privati raggiungevano già 1450 mila metri cubi. Se si pensa che nelle previsioni si è calcolato la necessità d'un parcheggio di 30 mila posti-vettura, suddivisi in vari piani (25 mila nei sotterranei e 1500 al piano di campagna e 3500 nel quattro «silos», ai piani superiori) ci si spiega anche la complessità della rete stradale che è stata studiata per risolvere ardui problemi dì collegamento esterno ed interno, nella forma più razionale.
Parcheggi sotterranei
La via di attraversamento veloce Nord-Sud, già prevista dal piano regolatore (naturale complemento delle autostrade Torino-Milano e Torino-Savona o Torlno-Piacenza-Genova) discende in trincea, a livello con la ferrovia nel tratto immediatamente a nord del Centro direzionale; ma risale subito dopo per soprapassare con un viadotto la grande arteria di corso Peschiera, asse di attraversamento veloce Est-Ovest, a quindi naturale via di accesso per chi giunge dalla Valle di Susa. Il collegamento Nord-Sud con i corsi Vittorio Emanuele e Stati Uniti è formato con un anello a tre corsie, che si svolge a profondità variabile tra i 12 e i 6 metri sotto il primitivo piano stradale del 1963. Analoghi nodi hanno risolto gli incroci di corso Vittorio con i corsi Castelfidardo, Inghilterra e Bolzano e di piazza Adriano. A 18 metri sotto il piano stradale corre la metropolitana. I parcheggi sotterranei sono stati costruiti sino ad una profondità di 22 metri raggiungibile sia con apposite rampe di accesso sia a mezzo di elevatori meccanici. Tutto questo è stato naturalmente realizzato per gradi, e non senza modifiche rispetto all'idea primitiva; talora non senza aver dovuto superare delle incertezze come per la posizione e l'attrezzatura della stazione di Porta Susa quando già in un secondo tempo s'è vista la necessità di trasformare superiormente in stazione per aerorazzi a decollo verticale, destinata ad alleggerire il traffico dell'antico campo dell'Aeronautica dove — come potranno leggere i torinesi del 1998, secondo il progetto contrassegnato dal motto «Interplan 1» vincitore del concorso di recente bandito dal Comune, di cui è risultato autore l'arch. Renacco jr., verrà quanto prima costruita la base Interplanetaria subalpina n. 1 destinata ad entrare in esercizio subito dopo l'istituzione di regolari collegamenti transiderali con i vicini pianeti abitati ».



sabato 7 gennaio 2012

I misteri di Torino. Agosto 1951. La scomparsa di un giovane francese

La notizia compare in taglio basso, poche righe, nell'edizione pomeridiana di Stampa Sera di giovedì 
2 agosto 1951

Giovedì 2 - Venerdì 3 Agosto 1951 NUOVA STAMPA SERA Anno V – N°182

CRONACA CITTADINA: Un turista francese scomparso in città. 
Da ormai cinque giorni un giovane trista francese sta ricercando il fratello scomparso misteriosamente in città. I due, Jean Antoine e Daniele [........], rispettivamente di 20 e 16 anni, venivano da Besanson in bicicletta ed assieme avevano valicato il Piccolo San Bernardo. La sera del giorno 29 scorso erano alle porte di Torino, qui Jean Antoine, che si era recato in un negozio per un acquisto, perse di vista il fratello. Lo attese dapprima, sperando che ritornasse poi lo cercò tutta la sera negli ospedali e nei commissariati ma senza riuscire ad avere alcuna notizia. Anche al Consolato francese, dove era presumibile si fosse recato non avendo altro punto di riferimento, il giovane Daniel non era stato visto. Disperato, il fratello dello scomparso si è rivolto all’Ufficio stranieri, presso la questura. Da ormai cinque giorni un giovane francese, giunto in gita nella nostra città, sta ricercando il fratello

La notizia viene ripresa il giorno successivo con piccole variazioni nella descrizione dell'evento. Non si parla più dell'acquisto fatto dal fratello ma di di una sosta motivata dal bisogno di dissetarsi ad una fontanella da parte dello scomparso. Viene precisato il quartiere di Torino, Madonna di Campagna dove avviene la sparizione del giovane. Si danno notizie sulla provenienza dei due, Besançon e il motivo del loro viaggio.

Venerdì 3 Agosto 1951 LA NUOVA STAMPA Anno VII N°182

CRONACA CITTADINA: Un giovane francese misteriosamente scomparso
Un ragazzo francese di 16 anni che insieme al fratello maggiore, stava compiendo un giro turistico in bicicletta
nell'Alta Italia, è scomparso misteriosamente sei giorni or sono alla periferia della nostra città. Il giovane Daniel [........] era partito insieme al fratello Jean Antoine una quindicina di giorni or sono da Besancon dove abitano in rue [........]. I due giovani avevano dapprima fatto un lungo giro in Svizzera e poi, passando per il valico del Gran San Bernardo, erano giunti in Italia. Prima tappa a Torino, borgata Madonna di Campagna.. Qui avvenne la misteriosa sparizione. Daniel si fermò per bere ad una fontanella e disse al fratello di continuare ad andare avanti, lo avrebbe subito raggiunto. Jean Antoine continuò a pedalare per qualche centinaio di metri e poi si fermò ad attendere il fratello. Ma questi non compariva. Allora cominciò a cercarlo nella zona supponendo che trovatosi di fronte ad un bivio avesse imbroccato la strada sbagliata, Le ricerche furono inutili.

La casa dove vivevano i due fratelli a Besançon

La storia e il relativo mistero finiscono qui. Non c'è nulla d'altro sulla Stampa dei giorni e mesi seguenti. Una cosa però si chiarisce pochi mesi orsono, agli inizi del 2013, dopo alcune ricerche sul web: Daniel è vivo e vive in un piccolo paese della Francia orientale! Dopo alcuni scambi di mail il nostro protagonista però non ha avuto piacere di rilasciarci alcuna notizia riguardo l'esatto svolgimento dei fatti di quel lontano episodio.....     

Et pour nos lecteurs....
Paru en "La Stampa" deVendredi 3 août 1951
Un jeune Français a mystérieusement disparu. 

Un jeune homme français de 16 ans qui avec son frère aîné, faisait une tour en Italie en bicyclette a mystérieusement disparu il ya six jours à la périphérie de notre ville. Le jeune Daniel [........] était parti avec son frère Jean Antoine  il y a une quinzaine de jours de Besançon où il vivait rue [........]. Les deux jeunes hommes avaient d'abord fait une longue tournée en Suisse et ensuite par le col du Grand Saint-Bernard, étaient arrivés en Italie. Première étape à Turin, Ici arriva la mystérieuse disparition. Daniel s'etait arrêté pour boire à une fontaine et avait dit à son frère de continuer à avancer, Il l'aurait atteint par la suite. Jean-Antoine continua à pédaler pour quelques centaines de mètres, puis s'arrêta pour attendre son frère. Mais ceux-ci ne parut plus. Ensuite il commença à le checher en supposant qu' il se fut trompé de direction mais toute recherche a étée inutile.

lunedì 2 gennaio 2012

Punti vista. La misteriosa morte del tenente Caprilli

Inverno 1907. Mancano pochi giorni a Natale. In una Torino imbiancata per la prima volta dalla neve dell'anno, il destino è in agguato per il tenente Fedrico Caprilli, abilissimo cavaliere, che nel montare un pacifico morello cade e muore in circostanze poco chiare. Circostanza narrate da un solo testimone.
Tre anni prima era morto, suicida, Emanuele Caccherano di Bricherasio suo intimo amico. Anche in questo caso le ragioni del gesto non erano state chiarite completamente. Di certo queste due morti singolari e a breve distanza l'una dall'altra contribuirono a creare un alone tragico e mai abbastanza approfondito sulle vicende che di li a pochi anni avrebbero dato inizio allo sviluppo della FIAT di cui il senatore Agnelli al pari del Bricherasio era stato socio fondatore l'11 luglio 1899.
Giorgio Caponetti, nel suo romanzo "Quando l'automobile sconfisse la cavalleria" ricostruisce la storia di una grande amicizia e la nascita di una grande realtà industriale. In questo scenario storico si inserisce il drammatico sviluppo di due vite spezzate prematuramente in un modo che ha tutti gli ingredienti per essere definito un mistero giallo 

Al centro Emanuele di Bricherasio e nel cerchio Giovanni Agnelli senior nel celebre quadro di Delleani

Da La Stampa del 6 dicembre 1907
Lo scenario cittadino
La prima neve. Dopo un seguito di incertezze, diremmo quasi di. esitazioni, il tempo si è finalmente deciso ad inaugurare ufficialmente l'inverno con una prima nevicata. Svegliandosi questa mattina i torinesi si sono visti gravare sul capo un cielo plumbeo e minaccioso, seguito poi da una pioggerella fine e penetrante. Ma verso le 9, all'acqua successero alcuni fiocchi di neve, radi dapprima, più compatti di poi. Mezz'ora dopo la nevicata era completa, ed  ha continuato ininterrottamente. I tetti sono già coperti da un primo strato di bianchi flocchi e le strade sono già convertite in uno sgradevole pantano.

La notizia in breve
Il Capitano Caprilli ieri, alle 17,20. montando a cavallo sul corso Duca di Genova, cadde essendo al piccolo trotto, contrariamente a quello che alcuni giornali hanno pubblicalo stamaneL’ipotesi più probabile è che sia stato colto da improvviso malessere; questa ipotesi è avvalorata dal fatto che, senza che il cavallo facesse il minimo scarto od altra difesa, fu visto il capitano barcollare e cadere pesantemente a terra, battendo il capo. Egli riportò la frattura della base del cranio con contusione e spappolamento cerebrale. Le condizioni, gravi sino a stamane alle 5, andarono rapidamente peggiorando, ed alle oro 8,40 è morto.

Resoconto dell'accaduto
La morte del capitano Caprilli in seguito ad una caduta da cavallo.

La notizia produrrà certamente una vivissima, profonda impressione: il capitano Federico Caprilli è morto questa mattina nella casa ospitale ed amica dei fratelli Gallina, i proprietari della Scuderia che è in via Montevecchio. Dell'incidente che al povero ufficiale era toccato si era saputo qualcosa ieri sera vagamente. Si diceva che provando un cavallo al salto degli ostacoli, l'animale aveva fatto un brusco scarto, cadendo di quarto e trascinando il cavaliere. Chi ebbe la prima nuova del fatto, assicurava trattarsi di cosa non grave e fu facilmente creduto, poi che il capitano Caprilli era sopratutto noto per la sua robustezza e agilità. Cento volte aveva veduto il pericolo vicino e cento volte l'aveva sfidato e vinto. Purtroppo la giornata di ieri doveva essergli fatale! Montando un cavano, relativamente tranquillo, sopra una strada piana, il capitano Caprilli ha trovato la morte.



Un colloquio con un testimone della disgrazia

Siamo stati allo scuderie Gallina, in piazza d'Armi, dove, nell'alloggio superiore dei fratelli Gallina, era stato trasportato il povero capitano dopo il fatale incidente e dove ora riposa la sua salma. Alla porta di strada, semichiusa, erano ferme vetture padronali, automobili, cittadine; nel vestibolo e su per le scale si incontravano gruppi silenziosi di gentiluomini e di ufficiali che salivano, scendevano. Nell'anticamera dell'alloggio era un bisbigliare, un parlare sommesso o commosso. Quivi trovammo il signor Gallina che ieri sera, dalla soglia di casa sua, era stato testimonio della disgrazia, e cortesemente, a nostra richiesta, ci narrò ciò che vide. Ancora adesso e per me è un fatto assolutamente incomprensibile e non so darmene pace! Si figuri il più abile dei maestri di equitazione sul più pacifico, sul più tranquillo dei cavalli, e si immagini, se le è possibile, anche lontanamente, non dico prevedere, ma pur immaginare un accidente. E’ assolutamente da escludersi che il capitano sia stato vittima di una improvvisa bizzarria della bestia? - Assolutamente. Del resto, nessuno meglio di me lo può dire, che ho assistito, con questi occhi, alla disgrazia, a meno di cinquanta metri di distanza. — Allora è solo da ammettersi che il capitano sia stato colto da un improvviso malore?  Io ne sono convinto. Ma ecco come seguirono le cose. Poco prima delle 17 il capitano venne allo scuderie, e si mostrava di ottimo umore, in perfetta salute. Anche nella giornata, ho saputo, nulla aveva dato a vedere che provasse qualche malessere, e non aveva accusata alcuna indisposizione; aveva pranzato al Cambio con alcuni colleghi, con buon appetito, fra discorsi gioviali ed allegre risate. Venne qui, si discorse di varie cose, vide parecchi cavalli, e dimostrò il desiderio di provarne uno. E' questo un cavallo morello, un animale d'indole buonissima, un vero cavallo da passeggiata. Ed appunto una semplice passeggiata intendeva di fare il capitano. Balzò adunque in sella, diede di sprone, ed usci fuori dal cortiletto, pel cancello. Fermo sulla soglia, io lo guardavo andare. Aveva fatto un tratto appena di via Morosini, ed era sul punto di svoltare in via Montevecchio, per recarsi in piazza d'Armi. Il cavallo procedeva al piccolo trotto, un passo, si potrebbe dire, appena accelerato, la più pacifica, insomma, la più regolare delle andature. Ad un tratto gettai un grido. Improvvisamente vidi il capitano barcollare sulla sella, poi precipitare colla testa all'ingiù. Il cavallo si era fermato, tranquillo, poco discosto. Li per li non seppi che cosa immaginare. Data l'andatura del cavallo, però, nemmeno per un momento mi fermai a considerare che il capitano potesse essere stato balzato di sella! Ci sarebbe occorso ben altro per balzare di sella lui! Evidentemente, il capitano Caprilli era stato preso da qualche malore, qualche capogiro, chissà! Forse non si trattava di nulla. Chiamai gente e corremmo a vedere. Il capitano giaceva su un margine della via, e pareva esanime. Lo chiamammo per nome: non ci rispose. Lo sollevammo: si lasciava cadere inerte. Il suo volto era cereo, già fatto cadaverico. — Era ferito? — Si, dietro alla nuca, aveva una tremenda frattura. Però, appena un filo di sangue gli rigava i capelli ed il collo. Lo sollevammo a braccia e lo portammo qui. Nell'urto della caduta, anche, il povero capitano doveva aver riportato una violenta commozione viscerale, perchè ebbe a rigettare. Si mandarono a cercare i medici, ma poi non ha più ripreso conoscenza! Un collega del capitano, un giovane ufficiale di cavalleria, pure ci confermò che la disgrazia era seguita perchè il Caprilli era stato colto da malore. “Se fosse stato altrimenti, — ci disse l'ufficiale, — il capitano, cadendo, avrebbe inevitabilmente, istintivamente messe innanzi le mani per pararsi. Invece non fu così. Il capitano, quando cadde, colla testa in avanti, doveva aver già perduta ogni conoscenza. Le sue mani, quando egli venne risollevato, non erano menomamente imbrattate di terra.

I.'agonia

Dall'ospedale Mauriziano giunse quasi subito il dottor Gallina: il povero capitano non aveva ancora ripreso i sensi. Il medico procedette ad una minuta visita e constatò che, nella caduta, l'ufficiale aveva battuto con grande violenza il capo, riportando la frattura complicata della base cranica con conseguente spappolamento della materia cerebrale. Che raccapriccio! Non c'era nulla da fare : la scienza nulla poteva tentare Si procedette ad una fasciatura, ma si sapeva che sarebbe stata inutile. Per tutta la notte, Caprilli fu vegliato pietosamente affettuosamente: gli amici suoi, angosciati assistettero cosi alla sua lenta, dolorosa agonia. Non si riebbe più, neppure per un istante. Al mattino si aggravò maggiormente: la fine si avvicinava. Il prof. Carle, avvertito, si recò egli pure alla casa dei signori Gallina per visitare l'infelicissimo capitano, ma dopo uno sguardo, l'espertissimo chirurgo scosse il capo sconsolatamente. “Non c'è più speranza alcuna”. Era la sentenza. Nella stanza passò come un brivido di freddo. Il prof. Carle non si ingannava. Il ferito cominciò a rantolare ed alle 8,40 spirò, con un gemito. Non soffriva più.

La salma
Il corpo inanimato di Federico Caprili fu composto sul letto e ricoperto d'un lenzuolo. La bocca gli si era contorta nell'ultimo spasimo e la pietà degli intimi gli fasciò allora il viso con una benda bianca, un poco stretta. Presso il capezzale furono deposti rami di rose, che lo sfiorarono in una suprema, blanda carezza. Li accanto si accese una lampada. Poi gli amici, i conoscenti furono ammessi a visitare la salma. Il mesto, doloroso pellegrinaggio durò ininterrotto per ore od ore. Giunsero fra i primi, diversi ufficiali di cavalleria, il marchese Ferrero-Ventimiglia, il conte Rignon, il barone di Sant'Agabio e molti, molti altri gentiluomini dell'aristocrazia. Oggi, in una stanza a terreno nella casa dei signori Gallina, sarà preparata la camera ardente e la salma del capitano vi sarà deposta, vestita dell'alta uniforme.


sabato 31 dicembre 2011

Cent'anni fa... oggi. L'amore infelice di un diplomatico russo

 
Mentre il governo turco annuncia la crisi e la guerra in Libia attraversa fasi alterne in Tripolitania e Cirenaica,
dall’altra parte del pianeta succedono fatti di gustosa memoria bocaccesca….
 
Da La Stampa del 31 dicembre 1911

Il romanzo d'amore di un vecchio diplomatico russo
Pietroburgo, 30, mattino.
Nei circoli diplomatici di Pechino si parla molto da qualche tempo di un affare che provoca un grave scandalo. 
Ecco come il giornale Ruskoje Selo racconta i fatti: Il ministro russo in Cina signor Korostovtz, che è un uomo sulla sessantina, è oggetto di una denuncia pervenuta ora a Pietroburgo. Querelante è un suo amico, il signor Perrier, francese, direttore generale delle poste cinesi. Costui aveva ed ha ancora una figlia, una signorina veramente graziosa di 16 anni. Il signor Korostovtz non solo aveva notato subito la ragazza ma ne era diventato perdutamente innamorato. Si finse ammalato e chiese un congedo che gli fu accordato; ma non partì da Pochino solo; condusse con sè la signorina Perrier che aveva travestita da ragazza cinese. Cosi potè sfuggire alla curiosità di tutta la colonia estera che si era recata alla stazione a salutare il ministro di Russia. Fu soltanto poche ore dopo che i genitori della signorina Perrier appresero la triste verità. Il disgraziato padre prese un treno speciale e si slanciò dietro i fuggitivi. Aveva prima però telegrafato al console di Tientsin dando i connotati del fuggitivi ma la signorina, grazie al travestimento giunse in tempo a prendere la ferrovia fino a Taku, mentre il signor Korostovtz filava verso Mukden in un treno merci. Il signor Perrier era armato di rivoltella e percorse in tutti i sensi Tientsin; ma le sue ricerche furono sempre vane. Fu soltanto dopo molti passi che finì per trovare sua figlia a Taku proprio al momento in cui stava per prendere il battello per Cefo. Quanto al signor Korostovtz si era nascosto nella casa del Console russo di Mukden e finì per partire per Pietroburgo otto giorni dopo prendendo a pretesto la necessità di farsi operare di appendice. Si assicura a Pechino che la signorina Perrier si trova in uno stato anormale per la sua condizione di ragazza.



E sul dubbio germogliato in noi riguardo l'anormale stato della sfortunata ragazza francese chiudiamo il 2011............

Post Scriptum: Cercando qua e la ho in questi giorni trovato una traccia del buon Korostovetz:
CAZZOLA PIERO. Un diplomatico russo in Mongolia all'alba del XX secolo. Introduzione a Ivan Ja. Korostovetz. Nove mesi in Mongolia. Il diario di un plenipotenziario russo a Urga dall'agosto 1912 al maggio 1913. In: «Slavia» [Roma], 7 (1998), n. 3, p. 166-168. Cercherò prossimamente di capire se si tratta proprio del nostro farfallone..... e in caso postivo, riferirò.......

sabato 24 dicembre 2011

Cronaca cittadina de La Stampa. I Bagni pubblici di Borgo San Paolo

La Stampa - 22.10.1932 - numero 252 - pagina 7
L’inaugurazione dei bagni pubblici in Borgo S. Paolo. 
L'operoso sobborgo di S. Paolo si è arricchito con l'anno decimo di una nuova opera pubblica, della quale
era viva e sentita la necessità fra quella numerosa popolazione. Per cura del Comune in via Luserna sono stati disposti un reparto di bagni popolari ed un ampio lavatoio pubblico, sufficiente per le necessità della zona. Per l'inaugurazione, fissata a questa mattina, erano presenti il Podestà dott. Paolo Thaon di Revel, i vice-podestà prof. Silvestri e il dott. Gianolio, il segretario generale comm. avv. Gay, il Fiduciario del Gruppo Rionale Fascista ing. Solina, il consultore municipale cav. Massa, rappresentanti della Magistratura, dell'autorità militare ecc.; l'ing. Bonardi del servizio tecnico municipale e il prof. Montalenti progettista dell'edificio. Le Autorità hanno visitato la vasta costruzione ammirando la compiutezza e la perfezione tecnica degli impianti. L'edificio è a due piani fuori terra, sopraelevato a tre piani nella parte centrale per far luogo agli alloggi dei custodi. A pianterreno vi sono due sezioni di lavatoi di 20 posti ciascuna, ad acqua corrente, con vasca di lavaggio ed altra di riasciacquo. Pure a pianterreno sono i depositi per biancheria. Nei sotterraneo sono allogate le caldaie e relativi bollitori capaci di erogare 9000 litri orari di acqua a 90 gradi per i bagni e per il lavatoio. Al primo piano sono i bagni e le docce per uomini e donne e precisamente 12 cabine per bagni e 30 cabine per docce, costituite da celle in marmo, fornite di apparecchi di miscela, vasche da bagno in acciaio smaltato e pediluvi, lavabi ecc. Allo stesso piano si trovano le sale d'aspetto e la biglietteria.


Cronaca cittadina de La Stampa. Le Savojarde

LA STAMPA 7 APRILE 1925 (numero 63 pagina 6)
CRONACA CITTADINA
Le Savojarde
Savoiarda si dice, per scherzo, nel nostro dialetto di una donna grassa, polputa e tarchiata, meglio se zitellona,
ma serve altresì per indicare la lavandaia che netta col sapone le calzette di seta, le stoffe di colore, i tessuti delicati, che nel bucato soffrirebbero. Savoiarda? Perché vi è chi pensa che la denominazione sia in stretto rapporto col mestiere e col particolare modo di lavare i panni e le sostanze usato per la lavatura, e cioè una derivazione della parola sapone, ma tutto fa credere che questo tipo di lavandaia di casa (lavandaia urbana specializzata, più delicata e scrupolosa dell'altra, che per fare la biancheria pulita si serve di tutto, anche dell'acqua e del sapone), sia stata distinta col titolo di «savoiarda» perchè dalla Savoia è venuto a Torino il tipo esemplare. Su per giù come per gli spazzacamino che provenendo in gran pare dalle Valli di Aosta e della Savoia, per molto tempo si chiamarono tra noi i «piccoli savoiardi». Qualunque sia la derivazione dell'appellativo di fatto non ha importanza nel caso che rende il motivo di attualità. Se delle Savoiarde oggi si parla e la loro esistenza affiora sulla cronaca cittadina, è perchè un gruppo di esse, che aveva la sua sede in una delle piazze centrali della città, è stato sloggiato. Deliberata dal Comune la creazione di un nuovo locale per il Liceo Musicale, prescelta come sede l'area del Mercato coperto di piazza Bodoni, iniziate le demolizioni, le «savoiarde» che frequentavano 11 lavatoio ivi esistente si sono trovate d'improvviso senza sapere dove trovare quel tanto di acqua calda e fredda che occorre per il disbrigo del loro mestiere, li si sono fatte vive. Hanno compilato dei memoriali, presentate delle petizioni, avanzate delle richieste, come qualsiasi altra classe organizzata. Nelle loro argomentazioni però sono state così persuasive che il Comune sta già pensando a sistemarle. Cacciate da piazza Bodoni per necessità edilizia troveranno in Vanchiglia un locale migliore. Non sarà la soluzione ideale per le interessate, perchè le savoiarde per prendere e riconsegnare i panni della strada ne devono già fare parecchia, e farne dell'altra con la biancheria bagnata non è comodo, ma il Municipio non poteva rinunciare al progetto di costruire in piazza Bodoni il suo nuovo Liceo solo perchè sotto il mercato, ormai abbandonato, si trovava il lavatoio, ancora in attività. Avrebbe questo si, risparmiato la deviazione del canale, che invece si è resa necessaria per poter gettare le fondamenta del nuovo palazzo ma non avrebbe avuto il nuovo Liceo! Le Savoiarde? Quante saranno? Fisicamente si distinguono da ogni altra specie di lavandaia. Il carico che di abitudine portano sulle spalle dà ad esse delle linee facilmente riconoscibili. Poverette! Vivono nelle soffitte, lavorano nel chiuso e nell'umidità e non hanno le spalle forti, le braccia robuste, le facce prosperose delle lavandaie del contado. Guadagnare guadagnano, ma la loro vita è così tormentata che sembrano tutte vivere di stenti. Quante sono? Un calcolo approssimativo lo si può fare guardando al numero dei lavatoi pubblici e ai pesti che in essi sono disponibili (un tempo le « savoiarde » si vedevano anche sulle rive del Po, ma, presentemente, se non sono scomparse del tutto, se ne trovano pochissime: costrette a stare nel bagnato badano ad evitare il freddo) ma è un calcolo molto approssimativo perchè è mestiere che può tarsi benissimo anche in casa, nella zona periferica. I lavatoi sono una diecina, e poichè ogni lavatoio ha circa quaranta posti disponibili, e non 6ono sempre occupati dalle stesse persone, si può ritenere che le « savoiarde » devono essere nella nostra città poco meno di un migliaio. Il nostro Comune ha due tipi di lavatoi: uno a posti individuali, l'altro a vasche collettiva Rappresentano il vecchio e il nuovo sistema, ma poiché le « savoiarde » sono persone che amano restare nella tradizione, al nuovo preferiscono il vecchio tipo. E ciò a motivo che col vecchio sistema le lavandaie mettono, tutto in società, mentre col nuovo ognuna è costretta a pensare ai casi suoi. L'igiene consiglia il sistema nuovo. Anche se si tratta di panni sudici e che stanno per essere lavati, meglio evitare la confusione. L'acqua, anche se a getto continuo, com'è nelle vasche comuni, non giunge in tutti i punti nello stesso tempo e ugualmente pulita. Dove vi è lo scarico, si aduna l'untume, la sporcizia e la schiuma del sapone I panni lavati presso lo scarico non possono uscire puliti. Nei lavatoi a posti individuali questo inconveniente è evitato, e quando la biancheria è pulita, è pulita veramente. Tutti i lavatoi municipali, che si trovano presso i bagni pubblici, sono a posti individuali. Gli altri, (compresi i due liberi della Barriera di Nizza, che non sono altro che specie di tettoie), sono a vasca comune. A posti individuali sono quelli di Borgo San Secondo, Crocetta, piazza Donatello, via Bologna, Cavoretto San Donato; a vasca comune quelli di via Nizza, via Fiocchetto, Borgata Monto Rosa e quello ora demolito di piazza Bodoni. Per avere diritto ad occupare un posto nei lavatoi, tenerlo occupato per una mezza giornata, le «savoiarde» pagano, sia nel vecchio come nel nuovo tipo, quaranta centesimi. Ogni secchio di acqua calda, di cui possono avere bisogno, costa loro venti centesimi. La spesa non è molto con i tempi che corrono e le comodità non sono poche. Acqua calda ce n'è sempre, l'acqua fredda è continua ed è potabile, il personale è a disposizione da quando fa giorno sino a quando viene la sera, il Municipio spende ogni anno per i lavatoi pubblici più di 200 mila lire e poiché non ne incassa, tra posteggi e acqua calda, che centomila, ogni anno per questo servizio segna a bilancio una passività che è pari all'entrata. A soddisfare la curiosità degli amanti delle statistiche, aggiungiamo che delle centomila lire che vengono percepite, sessantamila rappresentano il provento dell'acqua calda distribuita, le altre quarantamila il posteggio. Dobbiamo queste indicazioni al solerte capo dell'Economato Municipale, cav. Mottura. E da lui abbiamo anche altre notizie curiose. I lavatoi municipali sono aperti alle «savoiarde» tutti i giorni esclusi i festivi. Tutti i posti sono invariabilmente occupati, la ressa però è più forte il mercoledì e ciò non a motivo che tale giorno sia prediletto dalle «savoiarde», ma perchè il mercoledì non si pagano tasse di posteggio: i lavatoi sono a disposizione «gratis» di chi prima occupa i posti. E’ una concessione che viene fatta alle famiglie povere, alle madri di famiglia che non hanno paura della fatica. E a onor del vero il numero delle donne che si presentano, è sempre superiore alla capacita dei lavatoi. E vi è la ressa e si fa la coda, come nei teatri nelle sere di grande richiamo. Il posto è gratis ma l’acqua calda si paga. Anche per evitare lo spreco. Un tempo prima della guerra, anziché un solo giorno gratuito, ce ne erano tre. Per far dell’economia fu fatta una riduzione. Inutile dire che il Municipio farebbe ben volentieri il sacrificio e sopporterebbe il maggior onere, la necessità se ne appalesasse. Ma la tassa di quaranta centesimi, che devono pagare per veder la casa pulita e indossare la biancheria pulita, tutti la pagano volentieri.

lunedì 21 novembre 2011

Piazza Bodoni a Torino: la Guardia nazionale

La Guardia Nazionale a Torino

Estratto da: La Stampa (1.6.1867) numero 112 pagina 1

 

Piazza Bodoni è stata da sempre teatro di grandi manifestazioni. Nell’articolo del giugno 1867 si dà notizia dell’adunata della Guardia Nazionale del 2 giugno. La Guardia Nazionale Italiana era una forza armata sorta subito dopo l’Unità d'Italia (1861), utilizzata per reprimere il brigantaggio e la resistenza degli ultimi nostalgici del regno borbonico. Vista la sua scarsa efficienza ed il comportamento non certo impeccabile dei suoi ufficiali e di molti degli altri membri tra i graduati e la truppa, venne sciolta definitivamente nel 1876. Le convocazioni della Guardia Nazionale erano decise in occasione di importanti avvenimenti come sepolture di illustri cittadini o eventi nella dinastia reale, degni di ricevere gli onori militari. Nel giugno 1867 per la cerimonia funebre del Generale De Sonnaz il 3° battaglione della 2° legione della Guardia venne schierata in piazza Bodoni in perfetta tenuta da parata. Nel maggio dello stesso anno, in occasione del matrimonio tra Amedeo Ferdinando Maria di Savoia (Torino, 30 maggio 1845 – Torino, 18 gennaio 1890) figlio del primo re d'Italia Vittorio Emanuele II con Maria Vittoria dal Pozzo della Cisterna, erede di un antico casato biellese, la Guardia nazionale era stata schierata sulla stessa piazza. La Guardia era dotata di banda che si esibiva al cambio della guardia in Piazza Palazzo di Città con partenza da Piazza Bodoni: il repertorio era discretamente vario.


 Da:   La Stampa  (9.6.1867) numero 120  pagina 2

II veterano dell'esercito, il soldato che assistette alle patrie battaglie, l'integro cittadino, devoto al suo Re ed al 
suo paese in guerra e nei consigli, cessò di vivere.
La sepoltura del venerando generale Di Sonnaz avrà luogo domattina con l'intervento di numerosissima truppa.
Parecchi reggimenti sono stati chiamati a Torino per rendere gli estremi onori all'illustre estinto. Vi interverrà pure 
la Guardia Nazionale alla quale fu indirizzato il seguente ordine del giorno: 
Le quattro legioni sono chiamate in armi ed in perfetta tenuta di parata lunedì 10 corrente per rendere gli estremi
onori e si riuniranno: La 1°legione in piazza Carlo Emanuele II(già Carlina),la 2° in piazza del Palazzo Civico, 
la 3° in piazza Savoia, il I ° e 2° battaglione, il 3° in piazza Bodoni. Il 4° in piazza Carignano. L'appello avrà luogo
alle ore 6 42 precise antimeridiane. Graduati e militi, un altro uomo intemerato, onore delle nostre Provincie, ci 
abbandonò per sempre. A voi il provare che sentite quale sia il culto dovuto a chi si chiamò Ettore Gerbaix de Sonnaz. 
Sia il vostro concorso nuovo pegno della vostra fratellanza coll'Esercito nuovo omaggio reso a chi fu illustrazione 
della nostra città
Il Luogot. Generale Danesi.