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domenica 15 ottobre 2017

La casa in campagna




La casa sorge lungo la ferrovia che porta in Francia. Un tempo, in verità lontano, c'era un passaggio a livello. I treni erano frequenti per cui il suono scampanellante delle barriere a righe bianche e rosse che si abbassavano ogni ora era una costante sia di giorno che, meno frequentemente, di notte. Prima della sua costruzione,  nel 1954, al posto della casa c’era un grande prato con un lavatoio ad uno degli angoli. Le due grandi vasche erano alimentate da un flusso continuo d'acqua. Acqua dal sapore metallico sempre fresca. Con quell’acqua mi bagnavo i capelli quando tornavo sudato dalle scorribande in montagna in genere non molto lontano perché l’area dei miei vagabondaggi era ristretta. Sotto il lavatoio scorreva la bialera, già in quegli anni lontani un inutile canaletto d’acqua corrente che non serviva neanche più ad irrigare gli orti. Molte furono le estati che trascorsi in quella casa, assistendo ai riti paesani che vedevano  a metà luglio l'arrivo della grande trebbiatrice arancione e poco dopo quello degli autoscontri e giostre per la festa dell'Assunta di metà agosto. Celentano cantava "Ora sei rimasta sola", Rita Pavone "Alla mia età". Era estati lunghe e solitarie. La noia accompagnava i lunghi pomeriggi di sole, ma era una noia accettata con serena rassegnazione. Pochi gli amici, molta fantasia nel pensare sempre nuovi giochi. I compiti per le vacanze un fastidioso impegno da portare a termine il più presto possibile. Il futuro non esisteva. L'abbandono dei soggiorni estivi nella casa di campagna avvenne gradualmente a iniziare dal 1966 quando, quindicenne, iniziai a diradare le "salite" (si diceva infatti "Vado "su" a Bussoleno). La casa era stata voluta da mio padre: doveva diventare un luogo di ritiro e di riposo, lì avrebbe dovuto stabilirsi una volta andato in pensione. Gli ultimi 20 anni della sua vita invece lo videro sempre pendolare tra la città e  la campagna, viaggi sempre in ferrovia (non aveva mai voluto prendere la patente), aperture e chiusure delle due case, trasporto pendolare di masserizie e cibi. Sia mio padre che mia madre sono morti in questa casa.
Negli anni essa ha subito un costante degrado, gli scalini in graniglia della veranda si sono sbriciolati e qua e là albergano piantine di erbe infestanti. In giardino l'erba è cresciuta fino a cancellare le aiuole e lo stretto passaggio, lungo la cancellata, che regolarmente si ricopriva di migliaia di aghi del maestoso pino cresciuto incontrollatamente nel giardino. Ho dovuto lentamente separarmi da tanti oggetti, oggetti che negli anni si erano sedimentati in fondo agli armadi, nei cassetti e in cantina. Per lo più cose inutili, scritti, libri di scuola quaderni, giocattoli, depliants... una lista infinita di piccole cose con ogni singolo pezzo a ricordare un anno particolare, un periodo distinto della mia vita (all'università, al liceo e poi sempre più indietro fino ai primi anni 50 quando casa voleva dire soprattutto corso Ferrucci, nella grande città). Ho dovuto gettar via molte cose. Cose che giacevano da anni, decenni ignorate e poi per una manciata di secondi riprendevano vita, tornavano a collocarsi per incanto in un tale anno, in una tale epoca della mia vita. Non sono mai riuscito a non colorare di emozioni oggetti semplici e inutili ritrovati per caso. Per cui ogni volta che ho dovuto separarmi da qualcosa, era con un certo momento, con un qualche ricordo che dovevo fare i conti e non con una macchinina senza ruote o con un soldatino senza più una gamba.
Bussoleno paese è un luogo privo di fascino che negli anni amministratori senza fantasia nè iniziative hanno reso ancora più desolato. Ma è anche luogo di memorie e tale resterà anche quando chiuderò per l'ultima volta la porta della mia casa e consegnerò le chiavi al nuovo proprietario. Lascerò quindi i miei tre alberi, il mostruoso pino che ormai incombe minaccioso sulla via e sulla casa, il melo che ha l'età di mio figlio e che non ha mai regalato un frutto che non fosse aspro e bacato. Poi dietro casa il nespolo che per anni ha lottato con un terreno sterile e ostile e che adesso è rigoglioso e generoso in piccoli frutti saporiti.

venerdì 15 marzo 2013

Storia di una matita

Storia di una matita


Nei cassetti di una casa  si stratificano oggetti preziosi o insignificanti: ad ognuno, in piccola o grande misura è attaccato un frammento della vita di una persona. Gli oggetti sono messi nei cassetti seguendo la logica del caso. Importanti o no possono rimanere lì dimenticati per anni, lustri e più. Sempre il caso, nuovamente, ne decreta la sopravvivenza o la fine.
Giorni fa ho recuperato in mezzo ad una miriade di fogli, lettere, spille, batterie scadute, elastici, nastri, la matita riprodotta qui in alto. E' sopravvissuta a quattro traslochi, viaggiando nascosta in un cassetto. Il ricordo che ho di essa più lontano, risale alla fine degli anni '50 quando abitavo a Torino in Borgo San Paolo. La cucina, o per la precisione il "tinello", in cui passavo la maggior parte delle mie ore bambinesche, aveva oltre ad un divano e al tavolo un bel mobile azzurro pallido, privo di spigoli, un po' come quello riprodotto qui sotto.



Lì, nel cassetto di mezzo, in un momento imprecisato di quel decennio, la matita ha iniziato la sua vita autonoma. Già allora era vecchia, lo smalto verso la punta si era sfaldato lasciando trasparire l'acciaio sottostante e i numeri che indicavano la durezza della graffite erano ormai esili tracce dorate. Unico superstite il simbolo HB, su in alto, testimone rassicurante di una "media" durezza.
In quegli anni le penne stilografiche, che mi avrebbero fatto compagnia e in parte deluso nel decennio delle scuole medie, erano ancora sconosciute in casa mia: la maestra dei primi anni dell'elementare voleva la penna col pennino e il relativo inchiostro ad inzuppo. I disegni, a volte le brutte copie, meno le sottolineature (il sussidiario si leggeva, guardava e studiava, neanche pensare a sottolinearci sopra qualcosa) le facevo dunque con questa matita. Mio padre verso la fine dell'anno doveva compilare una lunga lista di fornitori per l'officina presso cui lavorava: io l'aiutavo mettendo sulla carta la copia provvisoria degli infiniti nominativi con indirizzo che poi lui avrebbe approvato e dato da copiare in bella a mia sorella, che in quanto assai maggiore di me negli anni, aveva il privilegio della stesura finale. La matita comunque non godeva ancora in quei tempi di una sua fisionomia che potrei definire "affettiva e particolare" Era solo una delle tante in uso a casa mia. Con l'introduzione della penna biro (in verità abbastanza tardi nella mia vita scolastica, in quanto poco tollerata dai maestri prima e dai professori poi) la matita scomparve alla mia attenzione, per molti anni, penso, giacque nei vari cassetti della casa, un po' in cucina e a volte nella più raffinata collocazione del mobile in sala.


(Anni 40, in radica, stile Chippendale molto in voga nei rifacimenti di quel tempo). Il caro oggetto tornò in uso, raggiunta ormai una dimensione "mitica", nei lunghi faticosi anni dell'università. Lì i testi si sottolineavano eccome: righe, pagine intere, tutto un nereggiare graffitico con la scala della durezza che scivolava verso il 2B..... Finita l'università, per la matita cominciò il secondo letargo che è arrivato fino ai nostri giorni, quasi un sonno di oblio eterno. Invece eccola di nuovo lì, sul tavolo in legno di noce che mio nonno costruì quasi cent'anni orsono, sul comodino stile eclettico arrivato dal Sudamerica a metà del secolo scorso (ma questa è un'altra storia.........) usata per sottolineare le faticose declinazioni dei verbi tedeschi che impegnano il mio tempo libero.......


giovedì 24 novembre 2011

Brani di memoria

Sono frammenti di ricordi, resuscitati dall'oblio dopo tantissimi anni. Si sono conservati nella mia memoria in virtù di chissà quale motivo profondo. Hanno la potenza evocativa propria degli odori che abitano le regioni più antiche del nostro cervello e che possono, in una frazione di secondo, riportarci ad un vissuto che credevamo perduto. 
INVERNO ANNI ‘50
Luogo: cucina di corso F......, Torino
Persone: io
Ora: domeniche pomeriggio
La radio era l’unico contatto con il mondo in quegli anni. La televisione entrò in casa mia molto più tardi, negli anni ’60. Ricordo le trasmissioni di Classe Unica introdotta da una bella sinfonia di Mozart. Al sabato pomeriggio c'era Sorella Radio per gli infermi e gli anziani delle case di riposo, noioso ma rassicurante cicaleccio a base di saluti e auguri di guarigione. La voce era quella della Buoncompagni, simbolo per eccellenza di quegli anni. Poi altri titoli come “Voci dal mondo”, il “Convegno dei cinque”. Per anni,  prima che arrivasse la piccola Gretz in legno chiaro dal design moderno, in cucina aveva campeggiato una Telefunken dall’occhio verdastro che all'accensione taceva per un minuto buono prima di ronzare e trovare il canale scelto. La domenica pomeriggio introdotta da una trasmissione di musica leggera (spesso con le orchestre di Perez Prado, Mantovani e Angelini) c'era la radiocronaca del secondo tempo di una partita di calcio con la voce dell'indimenticabile Carosio 

TARDA PRIMAVERA ANNI 50
Luogo: cucina di corso F......, Torino
Persone: mamma
Ora: Primo  pomeriggio


La scuola è finita. E' uno dei primi anni delle elementari alla Santorre di Santarosa. La porta della cucina verso il cortile, a piano terreno è aperta. Abbiamo già appeso, come tutti gli anni, la tenda verde che ripara dai raggi infocati del sole. Le piastrelle del balcone sono marroni tendenti al bordeaux, lucide, lievemente scheggiate. Il balcone è un luogo protetto, circoscritto e rassicurante, non si vede nè si è visti dal cortile. Mi posso stendere per terra e giocare con le figurine o i soldatini. Dal giornalaio ho acquistato uno dei miei primi libri Avorio nero, romanzetto d’avventura con sulla copertina un tipo avvolto in un mantello arabo che lascia vedere solo gli occhi seduto su di un cammello.

ESTATE  ANNI ‘60
Luogo: sala di corso F......, Torino

Persone: io
Ora: mattina

Verso le 10 di mattina accendevo la televisione un modello in bianco e nero senza telecomando posta in sala di lato alla finestra sul corso. Per la prima volta venivano trasmessi dei film fuori dall’orario serale solito. I film terminavano verso mezzogiorno in tempo per il pranzo. In genere erano film di guerra o trattavano vicende drammatiche che mi lasciavano per una manciata di ore uno sgradvole senso di abbattimento.

ESTATE ANNI ‘60

Luogo: Ginevra, Rue du Pre-Naville
Persone: io, mia sorella, Nina e Louis
Ora: pomeriggio

E’ una scena che si è ripetuta fedelmente una mezza dozzina di volte attraverso gli anni. Nina e Louis, cugini del ramo paterno, lei sorella dell'altra mia cugina svizzera, Caterina, lui originario del Canton Ticino, abitavano in una parallela al lago, vicino ad un grande parco. Il caseggiato era di un massiccio fine ottocento con grandi bugnati a piano terra e robuste inferriate dipintedi vernice nera. L’alloggio era al primo piano, con palchetti di legno e stanze perennemente in penombra, affollate di tappeti e mobili colonizzati da oggetti di un gusto molto personale. Nel bagno il mio sguardo era attratto invariabilmente dalla vasca  in ferro con zampe di felino e rubinetteria in ottone giallo bruno. La cucina dava su di una corte interna, la sala, attraverso un balconcino, nella tranquilla via che portava al lungolago. Le visite erano sempre noiosette e sempre con un rituale fisso: arrivo, scambio fitto di impressioni punteggiate da esclamazioni di stupore, accomodamento in sala ed esaurito un tempo minimo di cortesia, richiesta da parte mia di andare a fare un giro fino al molo dello "Jet d'eau" il poderoso getto d'acqua che, assieme all'orologio fiorito, caratterizza la città. Nina era grassottella, piccoletta, con un discreto sottomento. Gli occhi globosi erano atteggiati a perenne stupore, sorrideva affabilmente e parlava italiano con scioltezza. Louis aveva una gamba di legno per cui si appoggiava ad un bastone e spesso tra i denti sfoggiava un sigarone spento. Non avevano avuto figli, forse per via di lei ma su questo punto non c'era certezza nelle chiacchiere di famiglia. Nina è morta prima del marito, che fin a tarda età ha continuato a vivere in rue du Pre-Naville per trasferirsi infine in un ricovero per anziani dove è morto di li a qualche anno.

ESTATE ANNI ’60

Luogo: B......, in campagna 

Persone: io, gli zii paterni, i miei genitori
Ora: sera

Nella casa di campagna in via ......... non avevamo la televisione. La sera dopo cena percorrevamo il breve tratto del viale alberato di gaggie che costeggia la ferrovia ed entravamo nel piccolo alloggio a piano terra di  Guerino, il fratello minore di mio padre. La televisione era nella seconda delle due stanzette in cui lo zio abitava, quella occupata dal letto e da un armadio. Le trasmissioni dell’unico canale erano di varietà, Studio Uno oppure le Avventure di Gian Burrasca con Rita Pavone. A tratti lo sferragliare dei treni di passaggio, diretti in Francia, coprivano il suono della televisione e allora cercavo di seguire le parole attraverso il movimento delle labbra, il più delle volte senza successo.


INVERNO DOPO il 1960
Luogo: in città  corso F......

Persone: io, mia madre, mia sorella
Ora: sera

Alla tele trasmettevano La Pisana. Nel castello di Fratta Carlino amoreggiava con la bella e maliziosa cugina (una strepitosa Lydia Alfonsi). Dovevo studiare a memoria una noiosa poesia di Manzoni che parlava di sconosciuti Re Longobardi e di biondi capelli... Mia sorella in visita dalla lontana Svizzera dove risiedeva ormai da mesi dopo il recente matrimonio, contribuiva a rendere l'atmosfera di casa piacevolmente animata. Leggevo i versi di quell' incomprensibile melassa di roride morti e affannosi petti chiedendomi che aspetto avesse la persona che anni prima aveva destinato al programma di studi una simile mostruosità....     

INVERNO 1962
Luogo: Torino
Persone: io, mamma
Ora pomeriggio

Il cinema Eliseo è il "Cinema" per antonomasia della mia infanzia. In quella sala, unica ed enorme allora, non ancora suddivisa in vari piccoli ambienti, ho visto film come Lord Jim, 55 giorni a Pechino, Tre contro tutti, 007 dalla Russia con amore e tanti altri. Al cinema andavo accompagnato da mio padre, in genere la domenica pomeriggio nella stagione invernale. L'ambiente era spesso velato da una cortina di fumo, qualche incosciente faceva volare il mozzicone acceso giù dalla galleria. Ricordo in particolare un film che mi fu negato, si trattava de L'ira di Achille, di cui ricordo ancora la locandina raffigurante un guerriero digrignante armato di spadone, il viso coperto per buona parte da un elmo metallico piumato. Non ricordo il motivo della proibizione ma mia madre fu inflessibile nonostante le mie insistite rimostranze e continuò a stirare severamente mentre il giorno moriva sulle pareti della cucina sul cortile.


ESTATE 1963
Luogo: Sion (Svizzera)
Persone e cose: io, Wagner e la Panhard
Ora: pomeriggio


Il mio primo disco mi fu regalato all'età di 12 anni a Sion nel cantone del Vallese dove mia sorella si era trasferita appena sposata. Ascoltai per giorni e giorni quelle maestose sinfonie che mi ispiravano grandi sogni e contenute emozioni. La realtà era più ordinaria. Mi divertivo a guardare dal terzo piano il flusso dei veicoli sulla strada che portava al centro della cittadina cercando di riconoscere i vari modelli: Ford Taunus, Renault Dauphine, Panhard. Su tutte mi piaceva quest'ultima, con le sue sinuose forme tondeggianti e il rumoroso ronzare del motore.  Catalogavo, scrivevo su fogli a quadretti i passaggi delle vetturette.... e intanto sentivo le valchirie cavalcare e Sigfrido compiere l'ultimo viaggio. Gotterdamerung,  Waldweben, der Ring, nomi affascinanti e incomprensibili al di là dell'immediatezza del suono. La realtà si univa alla leggenda quando riposta la penna, mi coricavo e sognavo, ormai dimenticati i giochi, lontani amori ancora sconosciuti



ESTATE ANNI 70
Luogo: Casa di mia sorella a C...... (Ginevra)

Persone: io
Ora: pomeriggio, solo in casa

La casa di C..... era una grande villa con ampia vista sulla piana che digrada verso il Monte Salève. Quel pomeriggio ero solo in casa senza programmi nè idee, assediato da una persistente e leggera noia. Finito di esplorare la biblioteca dove facevan bella mostra le edizioni d'arte di Skira, una sgualcita grammatica della lingua tedesca, le avventure a fumetti di Tintin e qualche numero, un poco discosto alla vista, di Playboy) avevo cominciato a guardare i dischi di musica Classica. Conoscevo già la copertina lucida dell'anello del Nibelungo dove spiccava un elmo cornuto e altri simboli di guerra mentre il nome di Dvorak non mi diceva granchè. Fu dunque per caso che misi sul piatto la Sinfonia del Nuovo Mondo. La musica mi avvolse con una profonda malinconia. Guardavo la pianura oltre le grandi vetrate all'inglese, immensa distesa di case ed esistenze. Avvertivo acutamente una solitudine mai provata prima tuttavia non ero triste.


ESTATE DEL 72
Luogo: cucina di corso F..... Torino

Persone: io
Ora: le 22 circa

Ho nelle gambe la stanchezza della camminata per le strade della collina fino a P..... Come l'anno passato buona parte della nostra classe F del Liceo Galileo Ferraris ha compiuto questa scampagnata fino alla casa dei nonni di L. Lei non è ancora la mia fidanzata, ha lo sguardo assorto nelle foto di quel giorno sotto l'ombrello nero che la ripara dalle gocce di pioggia cadute dopo pranzo. Tornato a casa mi sono messo a letto a riflettere sulla giornata. Fra qualche giorno tutti partiranno per le vacanze d'estate, Il vento soffia e muove a tratti le saracinesche dei garage in cortile, un suono che ho nella mente fin dai miei primi ricordi. Non so dire se sono triste, sento tutti amici,  

ESTATE DEL 73
Luogo: Finlandia del Nord


Persone: Io, M....., E...... 
Ora  l’alba ovvero le tre di notte

Dopo aver chiacchierato nella capanna monocamera di legno, aver scritto in silenzio alle fidanzate (quelli di noi che l’avevano), aver visto imbrunire verso mezzanotte e sorgere l'alba dopo un ora, usciamo a passeggiare lungo la strada deserta che si snoda diritta senza fine tra gli altissimi e radi abeti. Siamo stanchi, dopo un mese di viaggio cominciamo a sentire la fatica di condividere tanti giorni sempre insieme. Nonostante tutto rimane la voglia di scherzare. Sembra un mondo quello intorno a noi ormai disabitato per l'eternità. Nelle pause dei dialoghi avvertiamo solo il rumore lento e  continuo del vento. Torniamo nell'isba per riposare dormire un oretta prima di riprendere il viaggio di ritorno verso Sud.