venerdì 15 marzo 2013

Storia di una matita

Storia di una matita


Nei cassetti di una casa  si stratificano oggetti preziosi o insignificanti: ad ognuno, in piccola o grande misura è attaccato un frammento della vita di una persona. Gli oggetti sono messi nei cassetti seguendo la logica del caso. Importanti o no possono rimanere lì dimenticati per anni, lustri e più. Sempre il caso, nuovamente, ne decreta la sopravvivenza o la fine.
Giorni fa ho recuperato in mezzo ad una miriade di fogli, lettere, spille, batterie scadute, elastici, nastri, la matita riprodotta qui in alto. E' sopravvissuta a quattro traslochi, viaggiando nascosta in un cassetto. Il ricordo che ho di essa più lontano, risale alla fine degli anni '50 quando abitavo a Torino in Borgo San Paolo. La cucina, o per la precisione il "tinello", in cui passavo la maggior parte delle mie ore bambinesche, aveva oltre ad un divano e al tavolo un bel mobile azzurro pallido, privo di spigoli, un po' come quello riprodotto qui sotto.



Lì, nel cassetto di mezzo, in un momento imprecisato di quel decennio, la matita ha iniziato la sua vita autonoma. Già allora era vecchia, lo smalto verso la punta si era sfaldato lasciando trasparire l'acciaio sottostante e i numeri che indicavano la durezza della graffite erano ormai esili tracce dorate. Unico superstite il simbolo HB, su in alto, testimone rassicurante di una "media" durezza.
In quegli anni le penne stilografiche, che mi avrebbero fatto compagnia e in parte deluso nel decennio delle scuole medie, erano ancora sconosciute in casa mia: la maestra dei primi anni dell'elementare voleva la penna col pennino e il relativo inchiostro ad inzuppo. I disegni, a volte le brutte copie, meno le sottolineature (il sussidiario si leggeva, guardava e studiava, neanche pensare a sottolinearci sopra qualcosa) le facevo dunque con questa matita. Mio padre verso la fine dell'anno doveva compilare una lunga lista di fornitori per l'officina presso cui lavorava: io l'aiutavo mettendo sulla carta la copia provvisoria degli infiniti nominativi con indirizzo che poi lui avrebbe approvato e dato da copiare in bella a mia sorella, che in quanto assai maggiore di me negli anni, aveva il privilegio della stesura finale. La matita comunque non godeva ancora in quei tempi di una sua fisionomia che potrei definire "affettiva e particolare" Era solo una delle tante in uso a casa mia. Con l'introduzione della penna biro (in verità abbastanza tardi nella mia vita scolastica, in quanto poco tollerata dai maestri prima e dai professori poi) la matita scomparve alla mia attenzione, per molti anni, penso, giacque nei vari cassetti della casa, un po' in cucina e a volte nella più raffinata collocazione del mobile in sala.


(Anni 40, in radica, stile Chippendale molto in voga nei rifacimenti di quel tempo). Il caro oggetto tornò in uso, raggiunta ormai una dimensione "mitica", nei lunghi faticosi anni dell'università. Lì i testi si sottolineavano eccome: righe, pagine intere, tutto un nereggiare graffitico con la scala della durezza che scivolava verso il 2B..... Finita l'università, per la matita cominciò il secondo letargo che è arrivato fino ai nostri giorni, quasi un sonno di oblio eterno. Invece eccola di nuovo lì, sul tavolo in legno di noce che mio nonno costruì quasi cent'anni orsono, sul comodino stile eclettico arrivato dal Sudamerica a metà del secolo scorso (ma questa è un'altra storia.........) usata per sottolineare le faticose declinazioni dei verbi tedeschi che impegnano il mio tempo libero.......


Nessun commento:

Posta un commento