martedì 21 maggio 2013

Torino nera: via Mazzini, anno 1912

Un gravissimo delitto scoperto dopo quattro mesi. Costringe con minaccia di morte l'amante ad avvelenarsi. L’arresto del colpevole.
La Stampa 16.3.1912 
In un letto della sezione Carle al S. Giovanni, giace da tre mesi una povera donna ancora in
giovane età. I medici, le suore, le infermiere che l'assistono, e le poche persone che si recano
a visitarla, si avvicinano al suo capezzale coll'animo velato e commosso da un senso di infinita
pietà. Poiché la disgraziata è votata inesorabilmente alla morte. Giorno per giorno il suo
organismo si consuma in una lotta atroce contro un nemico implacabile che la corrode
lentamente, martellandola, pungendola, attanagliandola minuto per minuto con la raffinata
crudeltà, di un tiranno chiuso ad ogni senso di umiltà. Il nemico è l'acido muriatico, che la
sventurata ha ingoiato in una fatale notte dello scorso novembre. Vedremo in quali drammatiche
circostanze. Eppure questo fragile corpo di donna, tanto barbaramente martoriato, ha saputo
conservare per quattro mesi, fra le pieghe dell'anima che ancora lo vivifica, un segreto terribile,
per non recare danno o pregiudizio al suo carnefice, a colui che con atto di inaudita barbarie le
aveva dato la morte attraverso allo sofferenze indescrivibili di una lunghissima e straziante agonia!
E indubbiamente la misera creatura avrebbe portato il segreto nella tomba se per un caso
fortuito la polizia non fosse venuta a conoscenza di una parte della verità terribile. Misteri
dell'anima umana! 
Il suo ingresso all'Ospedale 
Fu nella notte del 6 novembre verso le ore 4 che la povera donna fece il suo primo ingresso al
San Giovanni. Era accompagnata dall'amante, certo Bonino Giuseppe d'anni 38, meccanico da
Ivrea e da certa Cario Angela maritata Migliotti, una vicina di casa. Introdotta nella sala delle
medicazioni, fu subito attorniata dai sanitari ai quali narrò, fra singhiozzi strazianti, che poco
prima aveva ingoiato un liquido venefico di cui ignorava il nome. Mentre i sanitari si prestavano
a prodigarle i soccorsi del caso, la guardia di servizio procedette alla prescritta identificazione.
Alle domande rivoltele rispose: Sono Novaresio Clelia di anni 27, sarta, ed abito in via Mazzini
n. 44. Chiestole poscia perchè aveva ingoiato il veleno, rispose semplicemente: Perchè ero stanca
di vivere. La risposta, conforme a quella che danno il novanta per cento delle parsone che si
votano volontariamente alla morte, fu creduta veritiera. Nessuno pensò in quel momento di
scrutare il contegno dell'amante presente. Compiuta la lavatura dello stomaco, la misera fu
ricoverata nel Nosocomio e vi rimase per una quindicina di giorni, durante i quali il suo stato
parve migliorare alquanto. Era però un miglioramento fittizio, apparente. Il terribile veleno le
aveva concesso una breve tregua, ma le era rimasto nelle viscere, pronto a riprendere con
maggiore implacabilità la triste opera sua. Più disfatta, più sofferente, dovette richiedere
ospitalità, al Nosocomio; e lì rientrò il 18 dicembre. Questa volta fu ricoverata nella sezione Carle.
Dai sintomi, che ora erano più chiari ed evidenti, i medici dubitarono assai che il veleno che
la martoriava fosse il sublimato corrosivo, come prima si era creduto; ma ancora una volta la
donna interrogata su tale riguardo, rispose di ignorare di quale natura fosse il liquido ingoiato.
Giorno per giorno intanto le sue condizioni si andavano aggravando in causa della crescente
debolezza dovuta all'impossibilità di ricevere qualsiasi nutrimento. I sanitari pensarono allora
di nutrirla artificialmente, e provvidero alla bisogna mediante l'immissione di una sonda
attraverso ad un'incisione nell'addome. E così ancora oggi è nutrita la disgraziata creatura!
Durante le molte settimane della degenza, alcuni conoscenti si recarono al suo letto a recarle
la parola del conforto; ma non comparse mai l'amante, il Bonino. Egli — come si seppe di poi —
aveva lasciato Torino e si trovava a Nicastro in qualità di «chauffeur» presso il comm. Mauro.
Alla polizia nel frattempo era pervenuto fortuitamente, come abbiamo detto, un barlume della
verità che la donna aveva saputo, con tanto spirito di generosità, tacere. Impressionato dalla
notizia pervenutagli, per quanto frammentaria, il cav. Massera commissario della sezione di via
Giannone, volle subito approfondire le indagini, e insieme al delegato Olivazzi si recò senz'indugio
al S. Giovanni per interrogare la Novaresio. 
La vittima narra di essere stata costretta ad avvelenarsi!  
Alle prime domande rivoltele, la povera donna fissò i due funzionari come stupita che una parte
del s6uo segreto fosse conosciuto — Come l'hanno saputo? — interrogò a sua volta. Eh!la polizia
ha svariate fonti che la mettono, non sempre ma sovente, a conoscenza di quanto la gente vuol
nasconderle — rispose il commissario. Invitata poscia a dire tutta la verità, la donna si raccolse
per qualche istante in un affannoso silenzio, poscia incominciò, il suo terribile racconto dall'inizio,
incominciando delle sue tribolazioni. Circa, nova anni fa, quando era ancora giovanissima ed
inesperta della vita, essa conobbe un uomo che l'amò e nelle cui braccia essa si gettò
completamente fiduciosa. Frutto di tale relazione fu una bambina che ha ora otto anni e
convive con la mamma, o almeno è vissuta fino al giorno in cui la mamma dovette essere
ricoverata all'Ospedale. Passarono gli anni e giunse purtroppo anche un giorno triste, e
fu quello in cui l’amante volle riprendere intera la sua libertà ed abbandonò ai loto destini
madre e figlia pur restando a Torino ove fa il cameriere. Questa parte della narrazione forma
il preludio soltanto dell'odissea di guai della poveretta. La fase più burrascosa della sua
martoriata vita è venuta in seguito. La Novaresio continuò il suo triste racconto: — L'anno
scorso la cattiva sorte mi fece incontrare nel Bonino Giuseppe. Egli era vedovo, io ero libera
e ci unimmo maritalmente, nella mia abitazione in via Mazzini N. 44. Restammo insieme quattro
mesi e non furono, purtroppo, mesi di pace per me. Il Bonino era gelosissimo e lo dimostrava
con scene di inaudita violenza che mi terrorizzavano. Quanti giorni e quante notte di spasimo
abbiamo passato io e la bambina. Poi venne la notte fatale (quella del 6 novembre), il cui ricordo
mi fa tuttora rabbrividire. E la misera rabbrividì infatti: poi continuò: — Il Bonino è venuto a
casa quella sera col viso spaventosamente oscurato dall'ira; ed iniziò una delle solite scenate,
ma con un impeto di ferocia che ancora non conoscevo. Mi difesi come meglio seppi, ma lo
sciagurato non voleva udire ragioni, e non trovando nelle contumelie sufficiente sfogo all'ira,
mi percosse spietatamente. Ma nemmeno ciò valse a soddisfarlo. Ad un tratto egli afferrò un
rasoio e mi si gettò addosso terribile. Col coraggio della disperazione mi difesi come meglio
seppi: e sia per le mie grida, o sia per un baleno di pentimento che egli ebbe, si lasciò finalmente
disarmare; e poscia si calmò alquanto. Io approfittai di quel momento per nascondere l'arma nel
materasso, temendo che l'ira lo riprendesse. E non mi ero su questo punto ingannata. Lo
sciagurato dopo brevi istanti di semi-pace, risorse più terribile e minaccioso, e ghermitami di
nuovo pel collo gridò furente: «Voglio, voglio ucciderti!» Ebbi in quel momento l’impressione
che la mia ultima ora era giunta. Invece lo sciagurato improvvisamente mi lasciò ed avvicinatosi
ad un armadio prese una piccola bottiglia e me la porse. Io, a tutta prima non compresi. — Bevi!
— mi gridò imperiosamente il furfante- altrimenti ti uccido. Ma cosa c’è li dentro- domandai
timidamente. Non fare domande: bevi! — ripetè lui. — In quel momento non seppi comprendere
la gravità dall'atto che mi si chiedeva e sotto il dominio della minaccia mi appressai alle labbra
la bottiglia e ingoiai 11 liquido che conteneva. 
Le terribili sofferenze 
Il Bonino assistè all'atto, impassibile. Parve finalmente soddisfatto del sacrificio supremo che mi
aveva imposto. Io rimasi alcuni istanti come istupidita. Ancora non comprendevo la terribile
realtà della mia posizione. Me ne accorsi però poco dopo quando il veleno incominciò la sua
terribile opera, strappandomi grida e singulti di spasimo. Il Bonino parve allora misurare le
conseguenze che in suo danno avrebbero potuto venire, e assumendo un tono supplichevole
mi scongiurò di nascondere la verità dicendo che mi ero avvelenata di mia volontà. Glie lo
promisi, e mantenni la parola! Nulla avrei mai detto se ella non fosse venuto qui. I dolori intanto
aumentavano — continuò — e allora ti Bonino svegliò la vicina di casa. Corto Angela, che
premurosamente accorse e mi preparò una tazza di camomilla, il che non valse, certo, a togliermi
le sofferenze. Fu allora deciso di accompagnarmi al vicino Ospedale di San Giovanni; il che fu
fatto. 
Lettere compromettenti  
Abbiamo detto più sopra che il Bonino si allontanò da Torino per assumere un impiego di
chauffeur a Nicastro in Calabria. La lontananza però non aveva dato la tranquillità all’animo suo.
Era tuttora in lui il timore che la donna rivelasse la verità terribile e questo stato dell'animo suo
svelò in una lettera che fu trovata dalla polizia. La verità poi del racconto fatto dalla donna fu
confermata dalla minuta di una lettera che essa aveva scritta al Bonino in risposta a quella di lui.
La denunzia e l'arresto 
Il commissario Massera, dopo avere raccolto la gravissima deposizione, fece una visita
nell’abitazione della Novaresio e nell’armadio trovò e sequestrò un’altra bottiglietta contenente
del liquido che fu poscia riconosciuto per acido muriatico, che il Bonino teneva presso di sè per
le saldatura. Proseguendo poscia per altre vie le indagini, il funzionario potè raccogliere
deposizioni varie che lo misero in grado di stendere una particolareggiata denunzia all'autorità,
giudiziaria. Presa conoscenza dei fatti, il Procuratore del Re spiccò subito mandato di cattura
contro il Bonino; mandato che fu immediatamente inviato all'Autorità di Nicastro per
l'esecuzione. In tal modo, dopo quattro mesi dal delitto, il Bonino è caduto nello mani
della giustizia. Egli verrà presto tradotto a Torino per essere messo a confronto, se già la, morte
non avrà compiuto il suo triste ufficio, con la sventurata vittima. La bimba della disgraziata è
stata provvisoriamente ritirata da una vecchia e pietosa donna.  
.. e poi continua....
Conseguenze del gravissimo delitto scoperto dopo quattro mesi 
Un cameriere che si suicida perché citato dal giudice istruttore 
La Stampa 22.3. 1912 
Ieri mattina l’Autorità venne avvisata che in una camera ammobiliata sita un caseggiato interno
dello stabile n. 37 di via San Francesco da Paola si era ucciso un uomo. Sul posto si recò
immediatamente il delegato Azzati con agenti. Salito nella camera, che è attigua ad altre pure
date in affitto ammobiliate. Il funzionario rilevò che il suicida si era sparato un colpo di rivoltella
alla tempia destra, stando seduto sul letto. Il colpo era riuscito mortalmente fulmineo. Nella camera
fu trovata una lettera chiusa, indirizzata all’ ufficio di istruzione presso il Tribunale. Il funzionario
ne prese possesso per consegnarla all’ufficio. Dalle informazioni attinte da alcuni dei presenti
egli potè stabilire che il suicida è certo Tos Gioacchino di anni 42 da Santhià cameriere al Molinari.
Potè inoltre accertare che il movente del suicidio risale al fatto da noi narrato nella cronaca del
16 corrente. In quella triste narrazione abbiamo esposte le tragiche vicissitudini toccate ad una
disgraziatissima donna, certa Novaresio Clelia, d'anni 27, che, sotto il dominio di gravi minacce
per parte del suo amante Bonino Giuseppe, aveva bevuto quattro mesi prima, e precisamente
nella notte del 6 novembre, una pozione di acido muriatico. Risalendo nel triste passato della
sventuratissima creatura, abbiamo pure narrato che in età giovanissima essa si era completamente
abbandonata nelle braccia di un cameriere, che l’aveva resa madre di una bambina, che ora ha
8 anni e che la madre aveva voluto tenere con sé invece di abbandonarla alla carità pubblica come
fanno, purtroppo, la maggior parte delle donne nubili. Orbene l’autorità giudiziaria la quale sta
costruendo l’inchiesta contro il Bonino che com’è noto fu arrestato a Nicastro volle naturalmente
precisare anche tutte le circostanza dei precedenti della tragedia: e in conseguenza il giudice
istruttore incaricato dell’inchiesta fece pervenire un invito a interrogatorio anche a Gioacchino
Tos che era appunto il cameriere ex-amante della Novaresio. Appena il Tos fu in possesso del
documento si dimostrò conturbatissimo, e questo suo stato d'animo confidò ad un collega col
quale era in maggiore intimità. Nè valse a tranquillizzarlo il pensiero che a lui, legalmente, non
venivano fatti addebiti riguardo al veneficio. Nelle sue successive confidenze al collega, questi
comprese che il turbamento andava aumentando nell’animo suo. Infatti l’altro ieri egli gli chiese
fra l’altro con quale mezzo avrebbe potuto darsi la morte senza soffrire. Impressionato da tali
discorsi ieri mattina il collega il quale affitta pure una camera nello stesso stabile entrò nella
camera del Tos per svegliarlo ma il disgraziato dormiva già di un sonno che non ha risveglio!
Fu allora dato l’allarme al vicinato e poscia all’Autorità. Dopo le incombenze di legge il cadavere
venne trasportato negli istituti universitari del Valentino
Non è dato di sapere quali furono gli sviluppi della tragica vicenda. Nella Stampa del 29
gennaio 1916, quindi di 4 anni dopo, un trafiletto reca l'annuncio del matrimonio di tal Arato Felice con Novaresio Clelia...
Ci auguriamo a distanza di quasi cent'anni che non si tratti di una mera omonimia

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