sabato 4 febbraio 2012

Le Olimpiadi attraverso i Bollettini del CIO (Comitato Olimpico Internazionale)

I bollettini Ufficiali del CIO sono una fonte interessante di notizie e testimonianze che, al di là del semplice avvenimento sportivo, danno l’idea di un modo di concepire la realtà molto particolare. Per molto tempo, da fine ‘800 all’immediato periodo che precede la seconda guerra mondiale, abbiamo la sensazione di un mondo chiuso che si nutre dei sacri e immutabili principi dell’Olimpismo (l’intangibilità della Carta Olimpica di De Coubertin è di fatto, all’interno del Movimento Olimpico, un vanto e una certezza non negoziabile). L'Olimpismo è «una filosofia di vita, che esalta e combina in un insieme armonico le qualità del corpo, della volontà e dello spirito. Nell'associare lo sport alla cultura e all'educazione, l'Olimpismo si propone di creare uno stile di vita basato sulla gioia dell’impegno, sul valore educativo del buon esempio e sul rispetto dei fondamentali principi etici universali». Così recita il primo dei suoi principi fondamentali. Le prime edizioni dei giochi in età moderna, non dettero prova di commistioni tra politica e sport. Si trattava di un fenomeno ancora poco istituzionalizzato, con esigua partecipazione di atleti e mancanza di un concetto di rappresentativa nazionale. Con l'edizione londinese del 1908 cominciano a delinearsi degli aspetti di evidente natura politica quali la liceità di far partecipare distintamente gli atleti boemi e ungheresi, ambedue compresi sotto il dominio austriaco o in modo analogo la rappresentativa finlandese, dato che la Finlandia era compresa nell'impero russo. Nella stessa edizione dei Giochi si verificò un incidente formale che fu variamente commentato dalla stampa americana ossia la mancata esposizione nello stadio della bandiera americana. Il tardivo rimedio non valse ad evitare la pronta segnalazione del New York Times mentre il londinese Times tacque la notizia. Nei Bollettini del CIO di quegli anni non viene data menzione di questi primi problemi. Nella lungo capitolo introduttivo del bollettino dedicato ai Giochi londinesi molto viene riportato sulle origini storiche dei Giochi e sul suo fondatore, poco nulla su quanto accaduto in realtà. Lo stesso si può dire dei vari discorsi tenutisi alla cerimonia di chiusura. La consultazione dei Bollettini Ufficiali del CIO relativamente agli anni che vanno dal 1932 al 1984 mette in luce un graduale, lento adeguamento del Comitato stesso al mutare dei tempi. Se agli inizi la questione maggiormente trattata all'interno dei Giochi Olimpici è quella relativa al concetto di dilettantismo e professionismo, con pochi riferimenti alle influenze della politica e degli interessi commerciali, dopo i fatti di Città del Messico, si assiste ad un maggiore considerazione di quanto succede nel mondo esterno e nei rapporti che questo ha con il movimento olimpico. Nel 1972 Avery Brundage lascia il suo incarico di Presidente del CIO. Brundage è l’uomo che ha governato il mondo olimpico con piglio autoritario e metodi non sempre condivisi. Nelle sue interviste con la stampa traspare spesso il fastidio più che l'imbarazzo a discutere di quanto c’è di politico in alcuni episodi dei Giochi. La sua negazione dell’interferenza della politica sul movimento olimpico è sempre netta e non lascia spazio ad un contraddittorio. Con l’arrivo di Killanin cambia il clima, i fatti di Città del Messico e quelli drammatici di Monaco hanno reso evidente che non è più possibile ignorare il mondo esterno in quanto questo, attraverso azioni dimostrative o vere e proprie ingerenze violente, si manifesta, sconvolgendo e influenzando i Giochi stessi. Le vicende dimostrano quanto l'aspetto politico influenzi e contraddistingua i Giochi Olimpici, rendendoli un canale di trasmissione ottimo per rivendicazioni di diverso genere. Gli esempi che sono stati scelti in questa tesi per documentare l’intreccio tra politica e relazioni internazionali sono, nella loro diversità, molto chiari. Nella Berlino degli anni 30 fu un’intera nazione permeata dal nazionalismo nazista a plagiare e piegare l’evento olimpico in modo da farne la vetrina mondiale delle proprie aspirazioni di potenza. L’edizione di Messico 1968 fu caratterizzata dal guanto nero dei due atleti di colore che con il loro gesto rivendicarono le ragioni della lotta contro il razzismo da parte delle Black Panthers americane. Il simbolo contenuto nel semplice e silenzioso gesto degli atleti fu amplificato dal mezzo televisivo e diede alla protesta un valore ben al di là di quanto si poteva immaginare sul momento. Mai una protesta fu politicamente più efficace nella sua esecuzione e lo fu anche per il contesto in cui avveniva, quello della sempre proclamata indipendenza e purezza dell’ideale olimpico. Quattro anni dopo a Monaco è la violenza del terrorismo usato come arma politica di pressione ad irrompere nei Giochi. Il quadro in cui si inseriscono i due boicottaggi reciproci a Mosca e a Los Angeles è quello dello scontro tra grandi potenze. La scelta di portare nello sport puro per definizione le rispettive rivendicazioni, quindi, è un ottimo strumento in grado di amplificare il messaggio dinnanzi ad un pubblico sempre più numeroso. Questo fatto ha avuto come conseguenza che la politica si intrecciasse con le Olimpiadi in un modo sempre più violento e rivendicativo. In quasi tutti i casi Olimpiade e Politica hanno prodotto una contrapposizione di interessi o scopi eticamente discutibili e inconciliabili, con poca possibilità di dialogo e poche analisi critiche volte a risolvere la questione. La ragione ultima di questo intreccio improduttivo è probabilmente da ricercarsi nell'uso strumentale che è stato fatto dell'ideale olimpico, ideale che sempre meno si concilia a quello di un mondo lacerato da troppe contraddizioni. I grandi eventi sportivi sono sempre più segnati da una commistione stretta tra sport e politica. Grandi interessi nazionalistici sono proiettati nell'evento, tanto da far pensare che lo sport più che un equivalente morale della guerra, come pensava nobilmente lo psicologo William James, sia diventato un sostituto integrale della guerra stessa.

LE OLIMPIADI del 1932, 1968, 1972, 1980 e 1984
BERLINO (1936)
I Giochi Olimpici di Berlino furono assegnati alla città ancor prima che Hitler si insediasse al potere. L'assegnazione fu essenzialmente opera di Carl Diem, Direttore dell'Accademia sportiva di Colonia e Theodore Lewall. L'obbiettivo era quello di riabilitare l'immagine della Germania, uscita sconfitta dalla Grande Guerra. Infatti, in qualità di potenza sconfitta, severamente punita dalle potenze vincitrici (diktat punitivo), la Germania era stata esclusa dalla partecipazione alle Olimpiadi del 1920 e 1924. L'occasione di ospitare i Giochi del 1936 costituiva per i tedeschi un'opportunità enorme di reinserirsi nelle relazioni internazionali, attraverso il canale dello sport. Da parte della Comunità internazionale si pensava invece che i Giochi avrebbero aiutato la nazione a superare il periodo di crisi economica e istituzionale che stava attraversando. Tuttavia, con l'ascesa al potere di Hitler e con la nascita dello stato nazista, le Olimpiadi vennero ad assumere un'altra connotazione: esse diventarono un efficace mezzo di propaganda nazista, con il quale Hitler, sostenuto da Goebbels, lanciava messaggi. Il Führer non tardò a comprendere il significato politico dei Giochi, convogliando grandi energie nell'organizzazione di un evento che doveva mostrare al mondo una Germania pacificata e efficiente, che offuscasse inoltre la perfezione raggiunta in occasione dei Giochi Olimpici del 1932, a Los Angeles. Il resto del mondo non accettò senza riserve che il nazionalsocialismo potesse contare su tale vetrina: si formarono tutta una serie di movimenti volti a boicottare i Giochi (soprattutto determinati ambienti statunitensi, ma si unirono anche proteste canadesi, britanniche, olandesi, cecoslovacche) e numerose altre proteste furono rese al CIO affinché fosse cambiata la sede. L'aspetto più ricordato dei Giochi Olimpici di Berlino 1936 fu quello delle discriminazioni razziali vigenti in Germania, che escludevano gli ebrei dalle competizioni sportive. Secondo la logica nazista, nella pratica sportiva i tedeschi dovevano distinguersi dai popoli ritenuti inferiori, ossia ebrei e neri. Dall'aprile del 1933 gli ebrei furono esclusi da tutte le organizzazioni sportive statali, fino ad arrivare nel 1935 al divieto di accedere a strutture sportive statali e private. Alle Olimpiadi, la Germania risultò prima nel medagliere per nazioni, scalzando per la prima volta gli Stati Uniti, mentre l'Italia fascista si classificò terza davanti ai francesi, quarti i giapponesi davanti agli inglesi: i regimi dittatoriali sconfissero i paesi democratici. Ma, ironia della sorte, il vero campione dei Giochi di Berlino fu un atleta americano, di colore, Jesse Owens, il quale vinse quattro medaglie d'oro davanti agli occhi di tutto lo Stato maggiore tedesco. Si dice che Hitler abbia abbandonato lo stadio in occasione della premiazione, poiché non poteva assistere alla celebrazione di un atleta nero. Ad accrescere la delusione di Hitler fu anche l'insuccesso della squadra di calcio tedesca, su cui il Führer aveva riposto grande fiducia e fatto di essa un ottimo fattore propagandistico. Ma la nazionale tedesca perse per 2-0 contro quella norvegese. Entrambe le reti furono segnate da un atleta dal nome ebraico: Isaaksen.
In preparazione dei giochi
Nei tre anni che precedettero le Olimpiadi di Berlino ci furono molte discussioni negli Stati Uniti riguardo l'astensione dai Giochi come forma di protesta. Molti gruppi di interesse pubblico cercarono di influenzare il Comitato Olimpico Americano e il suo Presidente Brundage al fine di boicottare l'edizione berlinese. Avery Brundage, leader del Comitato Olimpico Americano e delle forze anti-boicottaggio nel 1933 dichiara: «La partecipazione a questi giochi non deve essere interpretato come un appoggio alle politiche e alle pratiche del governo nazista e delle forze anti-boicottaggio. Sono state adottate misure per assicurare che non ci saranno violazioni dei principi fondamentali del fair play e della sportività o degli standard di libertà ed eguaglianza». Nel giugno del 1933 il Presidente del CIO Conte de Baillet-Latour affrontò la questione relativa ai Giochi della XIX Olimpiade a Berlino e informò i convenuti che dopo il cambiamento di governo avvenuto in Germania, aveva avuto le stesse garanzie di quelle ottenute nel 1931 dal precedente governo. Nella risposta di Lewald Presidente del Comitato Olimpico tedesco, si legge al punto 3. che «in linea di principio gli ebrei tedeschi non saranno esclusi dalle squadre tedesche partecipanti ai Giochi». In una intervista al New York Times del 9 maggio 1934 Lewald osservò che «nell'anno passato ci sono state molte discussioni riguardo alla frase 'in linea di principio' Alcuni critici accusano la Germania di cercare di eludere la sua promessa distorcendo il senso di questa frase. Voglio dire che la Germania continuerà a mantenere questa promessa In secondo luogo che non ci sono e non ci saranno qualificazioni di atleti ebrei alla squadra tedesca». Come per tutte le promesse tedesche al riguardo le parole di Lewald rappresentano una mera bugia. Gli ebrei furono esclusi da tutte le squadre di campionati nazionali e alcuni furono costretti ad allenarsi in campi da pascolo per via delle limitazioni all'utilizzo delle piste atletiche. Il 6 novembre 1935 il Presidente del CIO Conte de Baillet-Latour dichiarò di essersi incontrato con il Cancelliere tedesco (Hitler) e di essere arrivato alla conclusione che nulla si opponeva al mantenimento dei Giochi a Berlino. Dichiarò poi che la «la campagna di boicottaggio non deriva dai Comitati Olimpici Nazionali e non è appoggiata da nessuno dei loro membri. Essa è politica, basata su affermazioni gratuite, di cui mi è stato facile smascherare la falsità». Il 25 novembre del 1935 Lee Jahncke, membro del CIO, scrisse una lettera al Presidente Baillet-Latour in cui si diceva «Nessun americano o rappresentante di altro paese può prendere parte ai Giochi della Germania Nazista senza in tal modo rendersi acquiescente di fronte ai Nazisti e al loro sordido utilizzo dei Giochi». Nel febbraio del 1936 sempre Baillet-Latour nel Municipio di Garmisch-Partenkirchen presiedette una seduta in cui venne fatto il punto sulla campagna condotta dagli Stati Uniti contro la partecipazione americana ai Giochi di Berlino nella persona di Lee Jahncke. I membri del comitato olimpico si mostrarono indignati per il fatto che Lee aveva contravvenuto allo Statuto del CIO tradendo gli interessi del Comitato. Nella XXXIIIª Sessione del Comitato Internazionale Olimpico che si aprì il 29 luglio1936 a Berlino presero la parola il Ministro R. Hess, il commissario di Stato Lippert, il Presidente del Comitato organizzatore Dr. Lewald. Tutti nelle loro relazioni citarono il Cancelliere del Reich Adolf Hitler in varia misura, Hess dicendosi suo rappresentante, Lippert e Lewald attribuendo al Fureria il merito di aver sostenuto la festa olimpica con “forte volontà”. Questa immagine di Hitler protagonista è una costante che precede ed accompagna tutto lo svolgimento di questi giochi di Berlino pervasi da una martellante propaganda nazionalistica del regime nazista. La relazione finale del Presidente del CIO, Conte de Baillet-Latour, fa oggi sorridere nel passo in cui afferma che «E' l'invariabilità della dottrina che ha dato al Comitato Internazionale forza, autorità e prestigio senza i quali non avrebbe potuto far rispettare la sua Carta, né riportare una vittoria contro quelli che han tentato di boicottare gli XI Giochi, né infine, nei giorni agitati che attraversiamo, la possibilità di mantenersi fuori di ogni contingenza politica o religiosa».
I giochi
Quanto a comunicazione questa olimpiade si distinse per un numero elevato di dichiarazioni delle autorità, quasi tutte uniformemente improntate ai valori più nobili dell'essere umano: cavalleria, sacri desideri, rispetto reciproco, fratellanza. Ogni concetto fu utilizzato in realtà per dare importanza e lustro alla perfetta organizzazione dei giochi e al Reich in ultima analisi. E' interessante notare come nella lunghissima relazione sulla storia dell'Organizzazione dei Giochi i titoli di alcuni paragrafi recitino Adolf Hitler visits the scene of construction”, “The German Chancellor decides. Non era mai successo che a dirigere l'organizzazione olimpica fosse, in prima persona, una così alta carica dello stato. Il giornalista canadese Doug Gilbert, che ha ricavato le sue informazioni da numerose interviste ad atleti e funzionari della Repubblica Democratica tedesca, nel 1980 scrive che l'uso fatto da Hitler del Villaggio Olimpico è quanto di più contrario ci sia mai stato all'ideale olimpico. Nella Berlino olimpica del 1936 dunque l'efficienza tedesca e l'ideologia nazista si unirono per produrre un evento di sfarzo stravagante e di eccitante agonismo.
Dopo i giochi
Alla sessione del 1937 del Comitato Internazionale Olimpico tenutosi a Varsavia il Presidente Baillet-Latour fece un bilancio del passato e parlando dell'Olimpismo sostenne che «non oltrepassando la linea tracciata, non cedendo a nessuna pressione, non lasciandosi andare a nessun compromesso, per gravi che possano essere le conseguenze conserveremo [all'Olimpismo] il suo carattere, e resteremo l'elemento moderatore in un'epoca in cui, sotto il pretesto del progresso e del miglioramento, si cerca di fare tabula rasa di tutto ciò che in passato è stato onorato e rispettato. [….] Signori, avete ancora in mente il successo dei Giochi di Berlino e le difficoltà incontrate nella loro preparazione e gli sforzi tentati per farli fallire. Perché quelle difficoltà sono svanite? Perché il Comitato Internazionale Olimpico si impegnato a difendere i principi olimpici così come le autorità tedesche li han fatti rispettare. Tutti e tre i colleghi tedeschi così come i loro collaboratori non hanno riconosciuto che una legge, la Carta Olimpica. I Giochi del 1936 che si sono svolti nella stessa atmosfera di quelli precedenti han fatto giustizia di questo errore così spesso ripetuto di credere che solo i grandi paesi le cui Federazioni dispongono di mezzi finanziari illimitati possano aspirare agli onori olimpici». Il discorso di Baillet-Latour è improntato ad un enfasi retorica che oscura ogni tentativo di analisi seria di quanto è successo a Berlino. Vengono invocate le virtù del passato come uniche in grado di difendere l'ideale olimpico dalle sirene del falso progresso e si vede nell'immobilismo la sola sicurezza per il futuro.
CITTA' DEL MESSICO (1968)
Trentadue anni dopo, ad un periodo piuttosto tranquillo per quanto riguarda le tensioni internazionali nello svolgimento dei Giochi Olimpici (specialmente le due ultime edizioni, quelle di Roma e di Tokyo), fecero seguito due delle edizioni più concitate della storia dei giochi, in cui la tensione si fece sentire e in cui, soprattutto nel 1972, si testò la vera e propria tragedia. Il Messico fu il primo paese non industrializzato ad ospitare i giochi olimpici, ma non per questo fu da meno in quanto organizzazione ed efficienza. Tuttavia, gli ingenti sforzi economici fatti dal governo nell'allestire le infrastrutture necessarie allo svolgimento dei giochi suscitarono una serie di malumori nella popolazione, che si chiedeva se non fosse più opportuno destinare quei fondi alle numerose riforme sociali ritenute maggiormente necessarie. Questo malcontento fu espresso soprattutto dagli studenti, contro l'atteggiamento illiberale del Presidente della Repubblica Diaz Ordaz. A partire da fine luglio 1968 iniziarono manifestazioni di massa, drammaticamente sedate dalla polizia messicana. Il 3 ottobre delle stesso anno, in occasione dell'ennesimo corteo, i corpi speciali della polizia spararono sulla folla, provocando circa 250 morti e un migliaio di feriti. Due celebri intellettuali di sinistra, Bertrand Russell e Jean-Paul Sartre si espressero pubblicamente invocando il boicottaggio dei giochi di Città del Messico come risposta alle violente repressioni poste in atto dal governo messicano contro le masse. Malgrado questo evento, i Giochi Olimpici presero ugualmente inizio, in un clima decisamente turbato. Tuttavia, i Giochi Olimpici di Città del Messico non restarono famosi solo per questo evento: in ambito sportivo lo sarebbero diventate per le note manifestazioni antirazziste messe in atto da alcuni atleti statunitensi. Giova ricordare che, proprio nel 1968, aveva avuto luogo l'assassinio di Martin Luther King, in conseguenza del quale si erano avuti disordini soprattutto negli Stati Uniti, con decine di morti. Il movimento statunitense “black power” aveva richiesto, senza riuscirvi, il boicottaggio dei Giochi da parte di tutti gli atleti neri. Alle Olimpiadi gli atleti nordamericani neri esposero sulla giacca uno stemma che riportava la scritta Olympic project for human rights, per testimoniare il loro impegno antirazzista. Ma l'evento più evidente della protesta fu rappresentato dai due atleti di colore, Tommie Smith e John Carlos, (rispettivamente medaglia d'oro e di bronzo nei 200 metri) i quali salirono sul podio senza scarpe, con calze nere e con il pugno alzato, indossando entrambi un guanto nero. L'episodio, di grande impatto mediatico, valse ai due atleti l'allontanamento dal villaggio olimpico e l'espulsione ad opera del CIO (Comitato Olimpico Internazionale) e del Comitato Olimpico Statunitense dalle competizioni internazionali. Questo atto tuttavia fu fondamentale nel testimoniare a livello mondiale il problema del razzismo statunitense.
In preparazione dei giochi
Nelle sessioni del CIO tenutesi nel 1968, anno dei Giochi a Città del Messico, la questione politicamente più importante riguardò la riammissione nel Movimento Olimpico del Sud Africa in relazione alle discriminazioni razziali in atto nel paese. La scelta nel febbraio del '68 di riammettere il Sud Africa nel Comitato Olimpico ebbe ripercussioni immediate sul piano internazionale perché molte nazioni minacciarono il ritiro dai Giochi. Questa presa di posizione fece si che a Losanna, in aprile, il CIO decidesse di escludere nuovamente il Sud Africa dalle competizioni della XIX Olimpiade, riaffermando il concetto che il movimento olimpico non può ammettere nessuna discriminazione di razza, di credo e di nazionalità. Desideroso di mettere l'accento su questa presa di posizione ideologica, il Comitato Organizzatore diede vita ad un Congresso mondiale sulle leggi sportive sotto gli auspici dell'Università Nazionale del Messico tenutosi nel giugno del '68 con la partecipazione di 430 giuristi di 30 paesi, primo congresso del genere nella storia del movimento olimpico. Il congresso era presieduto da Gustavo Diaz Ordaz Presidente della Repubblica Messicana. Dopo aver studiato nel dettaglio 85 proposizioni il Congresso adottò un certo numero di risoluzioni e deplorò che la politica potesse interferire con i movimenti sportivi, sia sul piano nazionale che su quello internazionale. Chiese inoltre che fossero messi a punto un certo numero di riforme e aggiunte ai regolamenti sportivi internazionali. Suggerì che le sanzioni riguardanti le attività sportive fossero internazionalizzate. Infine propose di dare più spazio ai programmi sportivi dei paesi in via di sviluppo. In precedenza Avery Brundage in una intervista del 22 aprile 1968 alla televisione inglese era riuscito a aggirare abilmente tutte le precise domande del giornalista sui rapporti tra sport e politica.
I giochi
Il 12 ottobre 1968 Gustavo Diaz Ordaz Presidente del Messico indirizzò un breve messaggio ai 100mila spettatori presenti e, via satellite, ai centinaia di migliaia di telespettatori sparsi in tutto il mondo. La frase era quella di rito: «Proclamo l'apertura dei Giochi Olimpici di Città del Messico che celebrano la XIX olimpiade dell'era moderna». Tutto sembrava svolgersi nel migliore dei modi ogni polemica sembrava risolta.
Dopo i giochi
Conferenza di Avery Brundage alla stampa internazionale (22 Aprile 1968)
D: «Come si spiega il dominio su pista degli atleti di colore e che effetto pensa che abbiamo sulle Olimpiadi future
R: «Questo non è nulla di nuovo. Fin dal lontano '36 si può vedere in particolare con Jesse Owens, come i neri eccellano nell'atletica. La loro struttura muscolare si presta da sé a questo tipo di competizioni. Tuttavia ci sono ancora degli sport in cui il nero non eccelle e in cui deve compiere molti progressi. Vorrei inoltre aggiungere che sono convinto che il loro comportamento abbia scandalizzato grandemente la gente. Non è stato un atteggiamento sportivo. I Giochi Olimpici non sono un forum politico. Da ultimo vi faccio una domanda: perché c'è un così grande interesse riguardo chi infrange le regole e nulla riguardo chi le rispetta?»
D: Dato che la politica entra sempre più spesso nelle Olimpiadi, pensa che nel giro di pochi anni esista la possibilità che i Giochi Olimpici quali li conosciamo possano cambiare drasticamente? R: «Vorrei rispondere ponendo una domanda. Chi dice che la politica entra sempre più nelle Olimpiadi? Secondo me ciò non è vero. E' innegabile che dobbiamo fare i conti con molti problemi come le bandiere, gli inni e anche l'enormità dei Giochi. Tuttavia voi sapete molto bene che la politica non è permessa all'interno dei Giochi. Noi accogliamo atleti per misurare la loro forza nel campo dello sport ma se essi hanno qualche protesta da portare avanti, lo stadio olimpico non è il luogo adatto per farlo». Due anni dopo, intervistato nel febbraio 1970 dalla Stampa inglese, Brundage alla domanda: «Quale pensa che sia il pericolo maggiore per le Olimpiadi, l'interferenza della politica o gli interessi commerciali?» risponde: «L'interesse commerciale è il maggior pericolo. Viviamo in tempi materialistici e per la sopravvivenza del Movimento Olimpico dobbiamo combattere per esso, è tutto» (16). Il Presidente del CIO evidentemente non aveva l'intenzione di riconoscere pubblicamente alla politica un ruolo così importante nel determinare i destini dello spirito olimpico. Il gesto degli atleti neri all'atto della premiazione venne considerato più che una motivata protesta un atto di maleducazione isolato. Sicuramente Brundage non aveva nessuna simpatia per le lotte delle pantere nere e dichiarò «Menti distorte e personalità disturbate sembrano essere ovunque e difficili da estirpare». In realtà non si può definire Brundage un razzista in quanto in centinaia di interviste ebbe a ripetere che lo sport è il regno in cui ogni discriminazione razziale non può trovar posto. Pochi giorni dopo, il 23 febbraio 1970, in una conferenza stampa, alla domanda su cosa si fosse deciso su Rodesia e Sud Africa sempre Avery Brundage risponde evasivamente che la questione Rodesia è un fatto recente e che nulla è cambiato rispetto al Sud Africa. Che in Rodesia esista l' apartheid è un fatto politico e lui ha piacere di rispondere a domande su questioni sportive. Brundage è stato da più parti considerato un uomo fuori posto nel movimento olimpico del 20° secolo per via di convinzioni non in linea col mutare dei tempi: I suoi modi spesso autocratici e la sua ostinata negazione della politicizzazione dello sport amatoriale sembrano dimostrarlo.

MONACO 1972


Dopo l'esperienza messicana i giochi olimpici sbarcarono nuovamente in Europa nel 1972 con i giochi di Monaco. Questi giochi ebbero come evento principale l'attacco da parte di terroristi palestinesi alla delegazione olimpica israeliana. Gli ideatori dell'azione furono due alti esponenti dell' organizzazione al-Fath: Muhammad Dawud Awda e Salah Khalaf, i quali, il 15 luglio 1972, si incontrarono in un bar di Roma con Abu Muhammad, dirigente dell'organizzazione conosciuta come "Settembre Nero". Si discusse della recente azione terroristica compiuta dalla stessa organizzazione, conclusasi con la cattura dei dirottatori e la liberazione degli ostaggi. Il pretesto per un'altra azione terroristica fu fornito dalla notizia secondo cui il CIO aveva respinto la richiesta della Federazione Giovanile della Palestina di partecipare ai Giochi olimpici estivi di Monaco. Il commento di Abu Mohammed fu: "Se non ci permettono di partecipare ai Giochi olimpici, perché non proviamo a prendervi parte a modo nostro?". L'idea si trasformo' benn presto in un'operazione a cui fu dato il nome di "Biraam" e "Ikrit", due villaggi palestinesi evacuati dagli israeliani nel 1948.
In preparazione dei giochi
Il 28 gennaio 1969 Avery Brundage, ospite della municipalità di Monaco e del Comitato Organizzatore locale dei Giochi ripeté più volte durante una conferenza stampa il leitmotiv «Vogliamo Giochi che siano puliti, puri ed onesti, liberi da politica e commercializzazione». La preparazione dei Giochi di Monaco da parte degli organizzatori fu meticolosa e attenta, tesa a cancellare l'immagine negativa di quanto avvenuto oltre 30 anni prima a Berlino. Nel giugno 1970 Hans-Jochen VOGEL, sindaco di Monaco durante una cerimonia che celebrava la conclusione di diverse grandi opere dichiarò con soddisfazione che i Giochi di Monaco sarebbero stati anche i Giochi della televisione e della radio poiché circa 800 milioni di persone avrebbero potuto seguire nel mondo intero i programmi di 60 catene televisive e 110 radiofoniche, attraverso 2 satelliti. Willi Daume membro del CIO per la Germania nella 69° seduta del 7 maggio 1970 ad Amsterdam affermava “«...è la ragione per la quale mi auguro che il mondo parli da noi degli allegri giochi di Monaco così come si è parlato di quelli cordiali di Helsinki, concreti di Melbourne e splendidi di Roma». Queste affermazioni di orgogliosa consapevolezza gettano una tragica luce sugli sviluppi che ebbero gli eventi di Monaco 1972. Nel volume dedicato all'organizzazione dei giochi di Monaco venne tracciata una analisi della decadenza progressiva dagli anni '60 in poi dei principi etici delle competizioni sportive internazionali. La minaccia maggiore veniva imputata alle accese dispute per la conquista delle medaglie e al problema del dilettantismo nei Giochi sempre più ipocritamente considerato. A fronte di queste considerazioni, era comprensibile che il Comitato Organizzatore tedesco si sentisse in obbligo di contribuire ad una sorta di rigenerazione morale dei Giochi Olimpici non solo con semplici parole ma con fatti e sacrifici necessari all'organizzazione dell'edizione in tera tedesca. Per ottenere questo risultato era necessario che la Germania riconquistasse una piena fiducia da parte del resto del mondo e che non ci fosse alcuna opposizione da parte dell'opinione pubblica internazionale. Nel medesimo documento un ampio capitolo è dedicato alla questione sicurezza. Le misure di sicurezza furono prese su informazioni derivanti da precedenti eventi sportivi di grandi dimensioni (Roma, Tokyo e Messico City) anche se esisteva la consapevolezza che il contesto era differente e non confrontabile. Molti comunque furono i viaggi del membri del comitato organizzatore dedicati all'acquisizione di dati sulla sicurezza negli stadi e su possibili attacchi terroristici (Rio de Janeiro, San Paolo, Lima, Buenos Aires). Era anche chiaro che un villaggio olimpico non poteva trasformarsi in una fortezza armata: “l'immagine di filo spinato e torrette di guardia non si adatta ad una visione abituale di una struttura olimpica”, notava ironicamente l'estensore del rapporto. Prima e durante i Giochi molte autorità ricevettero rapporti su possibili azioni di disordine, a fine politico, dirette verso atleti e pubblico degli eventi sportivi. Questi rapporti erano poco precisi riguardo i posti e i tempi in cui queste minacce si sarebbero circostanziate. Indagini più accurate dei servizi segreti non svelarono una particolare pericolosità di queste minacce verso gli atleti israeliani. Nonostante ciò, molti furono gli incontri tra forze di sicurezza e il team olimpico israeliano già da molti mesi prima dell'inizio delle gare. Il 9 agosto 1972 un membro dei servizi israeliani fu informato di quanto le autorità della città avevano predisposto per la sicurezza. Venne ribadito che nessun complotto omicida né azione di disturbo si era rivelata attendibile nei confronti degli atleti israeliani. Nonostante queste notizie rassicuranti un'altra riunione dei servizi di sicurezza congiunti si tenne il 24 agosto: fu in tale sede ribadita la completa sicurezza delle sistemazioni nel villaggio olimpico e di ogni altro aspetto considerato.
I giochi
Molte pagine furono dedicate al resoconto minuzioso dei fatti che iniziano nella notte fra il 4 e il 5 settembre in cui si udirono vari colpi di arma da fuoco provenire dal luogo in cui era alloggiata la rappresentativa israeliana. Il servizio di sicurezza e la polizia immediatamente accorsi, furono fermati all'entrata della casa olimpica da uomini muniti di armi automatiche. Un uomo incappucciato di nero apparve poi da un balcone del secondo piano e disse in tedesco che gli atleti israeliani erano stati presi in ostaggio e che sarebbero stati rilasciati solo a certe condizioni contenute in uno scritto gettato poco dopo da una finestra del secondo piano. Il documento iniziava con ”L'arrogante atteggiamento dell'apparato militare israeliano e la sua obiezione a soddisfare le nostre richieste, non ci fanno desistere dal cercare di salvare i prigionieri israeliani” Seguivano varie richieste tra cui la liberazione di 234 arabi dalle carceri israeliane e dei terroristi tedeschi Andreas Baader e Ulrike Meinhof, detenuti in Germania. In caso contrario, sarebbe stato ucciso un ostaggio per ogni ora di ritardo e i cadaveri gettati per strada. Il gruppo era composto da membri di Settembre Nero un commando di terroristi palestinesi. Si svolsero nel frattempo vari incontri cui presero parte le maggiori autorità politiche e sportive che dei servizi di sicurezza. Si iniziò a ragionare in base alla stima della situazione in corso e dei rischi connessi Le negoziazioni furono aperte dal capo della polizia di Monaco e dal Capo del Villaggio Olimpico assieme all'Ambasciatore di Tunisia e al Capo della Lega Araba di Bonn. Tra le richieste avanzate dai palestinesi c'erano anche le modalità con cui avrebbe dovuto svolgersi la loro fuga in compagnia degli ostaggi liberati in un secondo tempo. Apparve subito chiaro che gli israeliani non avrebbero mai concesso la liberazione di detenuti arabi. A metà pomeriggio i terroristi avanzarono una nuova richiesta: volevano essere trasferiti assieme agli ostaggi al Cairo e da lì proseguire le trattative. Mentre le Autorità tedesche chiedevano di potersi sincerare delle condizioni degli ostaggi, il Cancelliere federale Willy Brandt provò a contattare il presidente egiziano Sadat per ottenere il permesso di trasferire al Cairo il gruppo. I tentativi si rivelarono inutili, il Primo Ministro egiziano Aziz Sidky che negò l'assenso del suo Governo all'operazione. I terroristi posero un estremo ultimatum per le ore 21:00, rinnovando la minaccia dell'uccisione di un ostaggio per ciascuna ora di ritardo. Si decise allora di mettere in opera gli ultimi tentativi per salvare gli ostaggi: i terroristi e gli ostaggi avrebbero raggiunto un piazzale del villaggio olimpico e da lì sarebbero saliti su due elicotteri per dirigersi all'aeroporto. Lì avrebbero trovato un Boeing 727 della Lufthansa che li avrebbe portati al Cairo. Le intenzioni dell'unità di crisi consistevano nel tentare di uccidere i terroristi mentre percorrevano a piedi il tragitto verso gli elicotteri piano che fallì perché il trasferimento avvenne in minibus. Alle 22:10 il gruppo lasciò l'edificio e subito dopo salì su due elicotteri. Il piano prevedeva che gli elicotteri atterrassero a breve distanza dal Boeing 727. All'interno dell'aereo era stata posizionata una squadra della Polizia tedesca travestita con uniformi di volo della Lufthansa. All'esterno, intorno alla pista e sulla torre di controllo erano posizionati cinque agenti con fucili di precisione che avrebbero dovuto uccidere i terroristi. Il volo dal villaggio olimpico sino all'aeroporto di Fũrstenfeldbruck durò all'incirca una ventina di minuti. Pochi minuti prima che gli elicotteri con gli ostaggi atterrassero, la squadra di Polizia posizionata all'interno dell'aereo decise di annullare la missione per il rischio di fare esplodere l'aereo in caso di conflitto a fuoco. Gli agenti uscirono dall'aereo mentre gli elicotteri con gli ostaggi volteggiavano attorno all'aeroporto. Verso le 22:35 gli elicotteri con gli ostaggi atterrarono all'aeroporto. Immediatamente scesero i quattro piloti e sei terroristi che insospettiti dal ritardo nel trasferimento, si recarono immediatamente a ispezionare l'aereo. Non appena si accorsero che l'aereo era vuoto, compresero che si trattava di una trappola e tornarono di corsa agli elicotteri. Fu a quel punto che fu dato l'ordine di aprire il fuoco. Erano all'incirca le 23:00. Il conflitto a fuoco durò circa un'ora. Gli ostaggi, che nel frattempo erano rimasti legati all'interno degli elicotteri, provarono a liberarsi mordendo le corde. L'elicottero che trasportava la squadra dei rinforzi atterrò, per cause ignote, sull'altro lato della pista, a più di un chilometro di distanza dal luogo della sparatoria e gli agenti non entrarono mai in azione. Nel frattempo, tutta l'area adiacente all'aeroporto e le vie d'accesso erano state occupate da giornalisti e curiosi. Questa circostanza aveva fatto sì che i veicoli corazzati che dovevano servire da rinforzo rimanessero coinvolti nel traffico. Vistisi perduti, i terroristi decisero di uccidere gli ostaggi. Uno dei terroristi svuotò un intero caricatore all'interno di un elicottero uccidendo tre israeliani Subito dopo, lo stesso terrorista lanciò una bomba a mano nel velivolo che fu avvolto dalle fiamme. Nella confusione della sparatoria un agente tedesco rimase a terra colpito dl fuoco delle forze dell'ordine che lo avevano scambiato per un terrorista. Verso mezzanotte la caccia agli ultimi terroristi fu completata, 3 furono catturati feriti gli altri uccisi. Il governo israeliano fece richiesta di interrompere i Giochi. Dopo vari incontri si decise di sospendere le gare per un giorno e di tenere una cerimonia commemorativa il 6 settembre. Nella notte dal 5 al 6 settembre il Presidente del Comitato organizzatore e il Ministro degli Interni federale informarono la stampa della fine della vicenda. Venne anche deciso di annullare ogni festeggiamento per tutta la durata dei Giochi e di rivedere la cerimonia di chiusura degli stessi decisa per l'11 settembre. Le dichiarazioni che seguirono la conclusione della vicenda furono di tutti i maggiori rappresentanti politici nazionali e non. Il Presidente della repubblica Federale Tedesca Gustav Heinemann undici giorni dopo l'attentato dice « Questo attacco ha colpito tutti noi. Siamo stupidi di fronte a questo infame crimine» Si chiedeva poi se questa azione delittuosa avrebbe potuto essere evitata e la risposta era di dubbio. «Di fronte ad una organizzazione criminale che pensa che odio e morte siano armi per una lotta politica, non bisogna dimenticare che le nazioni che non ostacolano queste attività criminali sono anch'esse complici e responsabili». La conclusione era comunque in positivo, l'ideale olimpico ne usciva rafforzato e in nome di questo si chiedeva che tutte le nazioni del mondo contribuissero a debellare l'odio e a trovare una strada di riconciliazione. Le parole del Presidente del Comitato Organizzatore tedesco Daume furono in linea con discorsi analoghi, nessuna analisi concreta oltre le rituali frasi di circostanza (sogno di pace infranto, condanna della brutalità e solidarietà alle famiglie colpite dal lutto). Il Presidente del CIO Brundage si lascia andare a commenti meno vaghi sostenendo che gli attacchi alla XX Olimpiade erano da mettere in relazione alla battaglia persa contro la repressione politica come nel caso della Rodhesia. Il CIO poteva contare solo su di una forza che deriva da un grande ideale. Non era concepibile infine che un manipolo di terroristi potessero distruggere il cuore di un progetto di cooperazione internazionale e buona volontà rappresentato dai Giochi Olimpici. La lunga serie di dichiarazioni fu conclusa da quelle dell'Ambasciatore israeliano e del Capo missione della squadra olimpica che nulla aggiunsero a quanto detto dagli altri oratori.
Dopo i giochi
In un articolo intitolato “Messaggio da Monaco” James Worrall, membro del CIO canadese, scrisse che l'organizzazione dei giochi di Monaco erano stati “un superbo esempio di immaginazione ed idealismo adattati alla realtà” L'autore procedeva affermando che uno dei compiti del Comitato tedesco, soprattutto a livello di politica internazionale, era stato «di mostrare in vetrina la nuova Germania in contrapposizione con quella del 1936». Riguardo l'attacco terroristico, secondo Worall, non si sarebbe dovuto affidare la questione sicurezza ai servizi organizzativi dei Giochi ma si sarebbe dovuto agire alla radice delle cause che avevano prodotto l'azione di violenza.. Affermazioni poco convincenti e vaghe che non spiegavano la complessità del contesto in cui si erano sviluppati questi eventi. L'autore riferiva poi sulle critiche che avevano investito le misure di sicurezza, in particolare di come una piccola banda di terroristi animati da scopi lontanissimi dall'evento olimpico, potesse avere causato un così profondo sconvolgimento della tranquilla atmosfera dei Giochi. Da Monaco in sostanza doveva venire un avvertimento chiaro riguardo le misure di sicurezza da adottare visto che non era prevedibile un declino futuro di tali attività politica nel senso del terrore.



Da molti anni i Giochi Olimpici erano entrati nella sfera di interesse delle grandi potenze in quanto l'eccellere nelle competizioni sportive trasferiva il suo valore simbolico alla forza e superiorità di tutta una nazione. Un esempio è costituito da un documento pubblicato nel luglio 1964 dall'allora Ministro della Giustizia Robert Kennedy, che costituì una sorta di vero e proprio manifesto sportivo per il popolo americano. «Buona parte del prestigio di una nazione in tempo di guerra fredda si vince ai Giochi Olimpici. In questi giorni di stallo internazionale le nazioni utilizzano i tabelloni degli sport come un segno visibile di misura per provare la loro superiorità su di un debole e decadente modello di vita democratico. I successi dei paesi del blocco comunista alle Olimpiadi ed in altre competizioni internazionali sono se confrontati a quelli degli Stati Uniti, intollerabili in quanto hanno dato a queste nazioni un apparenza di forza». «Era dunque un preciso interesse nazionale, continuava il Ministro della Giustizia, che si riguadagnasse una superiorità olimpica, in modo da dare al mondo una prova visibile della nostra profonda vitalità e forza». Concludeva Kennedy dicendo che il governo avrebbe ad ogni livello incoraggiato con parole e fatti questo obiettivo. Fino ad allora la guerra fredda non aveva, se non parzialmente, condizionato il funzionamento dei giochi, nel 1979 avvenne un episodio internazionale che ebbe ripercussioni dirette sui successivi Giochi Olimpici, tenuti a Mosca nel 1980. L'Unione Sovietica nel dicembre del 1979 decise di invadere l'Afghanistan, inviandovi in pochi giorni un contingente dell'Armata Rossa di oltre 70.000 uomini. Il leader sovietico Breznev affermò che tale intervento era in risposta ad un appello del governo filo-sovietico di Kabul finalizzato a prevenire l'aggressione di alcuni ribelli afgani che si appoggiavano al vicino Pakistan e alla Cina. Si tratta del primo intervento “fuori area” dei sovietici che, per la prima volta nella storia della divisione in due blocchi, si rivolgeva ad un paese che non era parte della propria sfera di influenza. L'ONU si schierò immediatamente in posizione di condanna dell'Unione Sovietica e, in maniera più risoluta, reagirono gli Stati Uniti, che optarono per la riduzione delle esportazioni di grano verso l'Unione Sovietica e il blocco dei materiali ad alto contenuto tecnologico. Ma la contromisura che generò più scalpore a livello internazionale fu quella di disertare le Olimpiadi di Mosca che si tennero nell'estate del 1980 nella capitale sovietica. Fu così che gli atleti di Stati Uniti, Canda, Germania Ovest, Norvegia, Kenya, Giappone, Cina ed altri paesi (per un totale di 65 nazioni) decisero il boicottaggio del Giochi Olimpici. La Gran Bretagna, guidata dal governo conservatore di Margaret Thatcher, decise di appoggiare la posizione statunitense, ma il Comitato Olimpico Britannico votò diversamente, ragion per cui la rappresentativa Britannica fu presente alle Olimpiadi di Mosca. Tuttavia sfilò esponendo la bandiera olimpica in luogo di quella nazionale e inviando un solo rappresentante. La nuova Zelanda, invece, sfilò con cinque atleti che esposero una bandiera nera raffigurante il simbolo della pace intersecato da cerchi olimpici. L'Italia adottò un boicottaggio parziale: sfilò usando la bandiera del CONI in sostituzione di quella nazionale. Diversamente il governo australiano supportò il boicottaggio promosso dagli USA, ma lasciò ai singoli atleti la decisione se partecipare o meno ai giochi. Le olimpiadi di Mosca segnarono anche la definitiva soluzione della questione cinese in seno al mondo olimpico, poiché, per la prima volta, la Repubblica Popolare Cinese poté partecipare ai giochi senza che ciò implicasse l'esclusione di Taiwan.
In preparazione dei giochi
In una lettera datata 23 maggio 1979, il Conte de Beaumont rivolse un appello ai suoi colleghi del CIO in cui ricordava i due pericoli che minacciavano il movimento olimpico gli affari e la politica «due diavoli che hanno invaso, dominato e imbastardito ogni cosa sport incluso. Nel numero 157 dell'Olympic Review del novembre 1980 venne pubblicato un articolo dal titolo The Olympic movement in danger a firma di Mr. Kéba M'Baye membro senegalese del CIO. In esso si analizzavano fra l'altro i problemi connessi alla Cina, alle 2 Germanie e all'invasione dell'Afghanistan da parte dell'Unione Sovietica. L'articolo venne pubblicato prima dell'inizio dei Giochi di Mosca. In particolare M'Baye scriveva che «La città di Mosca non può in ogni caso essere considerata responsabile dell'occupazione dell'Afghanistan. Dovrebbe essere l'Unione Sovietica come Stato a dover replicare alle accuse. Ma se ascoltiamo le spiegazioni di quelle persone che negli Stati Uniti sostengono il boicottaggio dei Giochi, essi dicono per usare le parole del loro Presidente che la loro posizione è il risultato dello shock negativo creato dall'invasione dell'Afghanistan da parte dei Sovietici E' dunque chiaro che il bersaglio è la politica dell'URSS e che lo scopo immediato del boicottaggio è colpire attraverso i Giochi la politica dell'Unione Sovietica». Nel mese di aprile 1980 a Salt Lake City la 82ª sessione del CIO decise all'unanimità di mantenere i Giochi dell'Olimpiade a Mosca come previsto, in quanto le Olimpiadi rappresentavano una serie di contesti tra individui e non tra nazioni e che la partecipazione di atleti ai Giochi in nessun modo dava supporto a ideologie politiche o avvallava atti della nazione organizzatrice. Il CIO riconobbe l'importanza di depoliticizzare i Giochi alla luce del clima politico mondiale creatosi. In queste righe sembra di cogliere un certo senso di impotenza di fronte al duro e pesante intervento della politica nell'atmosfera dei Giochi. Il 16 maggio 1980 Lord Killanin Presidente del CIO si recò a Washington per discutere col Presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter sul futuro dei Giochi Olimpici in particolare su quelli di Los Angeles 1984. Il Presidente del CIO riaffermò l'impossibilita' di posticipare o cancellare l'edizione di Mosca. Carter, pur riaffermando il suo appoggio al Comitato Organizzatore delle Olimpiadi Americane e al CIO stesso, rimase sulle sue posizioni riguardo la non partecipazione degli Stati Uniti ai Giochi di Mosca. Più' oltre propose di tenere in permanenza le Olimpiadi in territorio greco privandole così di una connotazione nazionale. Lord Killanin non poté che ricordare le Regole del Comitato Olimpico che permettono a tutti i Comitati Olimpici di usare la bandiera del paese di appartenenza e l'inno proprio. Di fronte ai condizionamenti che la politica sembrava voler imporre la risposta del CIO fu nuovamente univoca, ifacendosi allo spirito originario del movimento olimpico dei suoi fondatori. Un mese prima dell'inizio dell'edizione moscovita Lord Killanin fece un consuntivo della questione e tra l'altro affermò che «a seguito degli eventi degli ultimi mesi, credo che l'organizzazione di eventi amatoriali sportivi debba essere completamente rivista». La politica ha cambiato a fondo l'essenza intima del fatto sportivo e ne ha decretato un necessario cambiamento, pena la sua sopravvivenza.
I giochi
Nel discorso tenuto il 19 luglio 1980 allo Stadio Lenin di Mosca in occasione della cerimonia di apertura dei Giochi della XXII Olimpiade, Lord Killanin, Presidente del Comitato Olimpico Internazionale dichiarò: «Voglio dare il benvenuto a tutti gli atleti e funzionari oggi qui convenuti, specialmente a quelli che han dimostrato la loro completa indipendenza a venir qui per gareggiare, nonostante le molte pressioni esercitate su di loro. Devo ripetere che questi Giochi appartengono al Comitato Olimpico internazionale e che sono assegnati esclusivamente in base alla capacità della città ospitante di organizzarli». La dichiarazione, al di la del riconoscimento del senso sportivo degli atleti in questione, è di per se importante e contiene un messaggio chiaro: i Giochi non hanno etichette politiche per il fatto che si svolgano in determinato luogo (nel caso in questione in un paese comunista), ma appartengono esclusivamente al CIO.
Dopo i giochi
Il 19 ottobre 1980 a Monaco, poco dopo la conclusione dell'Olimpiade di Mosca, il Presidente del CIO Juan Antonio Samaranch aprì i lavori della 14ª Assemblea Generale delle Federazioni Internazionali degli Sports con un discorso prudente ma di orgogliosa rivendicazione dello spirito olimpico e del suo movimento. Il riferimento al recente boicottaggio dei Giochi da parte degli Stati Uniti era evidente anche se non veniva mai esplicitamente dichiarato. « Siamo consapevoli delle tremende pressioni di ogni tipo che sono state esercitate sul Movimento Olimpico dalla fine del 1979 al 3 agosto 1980 (data di inizio dei Giochi di Mosca).....i Giochi Olimpici si sono svolti come pianificato e con altissimo successo. Coloro i quali sono stati volontariamente lontani o forzati a farlo, non possono non riconoscerlo. Che sorpresa per tutti coloro che in ogni parte del mondo pensavano che noi, di fronte a tante forze, armati solo del nostro ideale, non saremmo sfuggiti alla disfatta». Dalle parole del Presidente appare chiaro che esiste la consapevolezza che qualcosa di importante era avvenuto a livello politico ma che il CIO è in grado di far fronte a tali mutamenti grazie alla “nobility of its ethic”. In molti discorsi ufficiali dei vari Presidenti del CIO troviamo questa contrapposizione tra forze di chiara natura politica che agiscono in senso non positivo e spirito del Movimento Olimpico che comunque e sempre riesce a perseguire il suo scopo etico di fratellanza universale al di là delle distinzioni di razza, colore, opinioni, credo ed ideologia. Nel 1981 alla 84esima sessione del CIO il Presidente del Comitato Olimpico tedesco Willi Daume prese atto alla fine del suo discorso che i Giochi Olimpici erano sostanzialmente cambiati in quanto: «E' chiaro che gli sports olimpici sono diventati un fatto politico. Spetta a noi dare il buon esempio per una politica dello sport positiva e pacifica. Credo che questo sia il solo modo di conservare l'universalità dei giochi olimpici, anche se ciò può essere non abbastanza, è comunque essenziale».


Anche i giochi svolti a Los Angeles nel 1984 non si tennero in un clima di concordia internazionale, poiché alcuni paesi del blocco comunista restituirono il boicottaggio subito quattro anni prima a Mosca: tutti i paesi comunisti, eccetto Cina popolare, Jugoslavia di Tito e la Romania di Ceaucescu disertarono i XXIII Giochi Olimpici, con il pretesto della mancata garanzia di sicurezza per i propri atleti. In realtà era un boicottaggio in piena regola per vendicare quello americano a Mosca. Purtroppo è ancora la politica a dominare la vigilia dei Giochi che per la terza volta di fila debbono subire le mutilazioni dei boicottaggi, anche se l'Unione Sovietica però non parlò mai di boicottaggio. A Mosca '80 i Giochi erano stati pesantemente condizionati dalle assenze di Stati Uniti e di quasi tutto l'Occidente e quello che sarebbe successo a Los Angeles era già preventivato da molti. Nel maggio 1984 arrivò la notizia ufficiale: l'Unione Sovietica non parteciperà ai Giochi ed invita i paesi del suo blocco a fare altrettanto. Proprio i rumeni saranno tra i più applauditi in America conquistando, oltre alle simpatie per lo sgarbo fatto ai padroni sovietici, grandi allori sportivi. Nonostante l'assenza dell'URSS si registra un nuovo record di paesi partecipanti, ben 140 (solo 19 non partecipano tra cui Cuba ed Etiopia) tra i quali spicca la Cina. Si comincia il 28 luglio al Memorial Coliseum del 1932, rinnovato per l'occasione, con una cerimonia che regala grandi emozioni, come il giuramento degli atleti letto da un emozionato Edwin Moses. Gli americani danno fin da subito l'idea dello sport-spettacolo e business che caratterizza queste Olimpiadi: si va ancora un passo più in là, con un'organizzazione che è ormai in mano a privati sostenuti da grandi sponsor ed il gioco sembra funzionare. L'edizione di Los Angeles resta infatti un indubbio successo, economico ed organizzativo, a cui si aggiungono le presenze di grandi campioni, uno su tutti un velocista e saltatore americano che fa rivivere le epiche imprese di Jesse Owens.
In preparazione dei giochi
In occasione dell'XI Congresso Olimpico tenuto a Baden Baden nel settembre 1981 il Presidente del CIO Samaranch ritornò sul tema della politica: «Nella maggior parte dei casi gli atleti, le federazioni e i Comitati Nazionali devono, per sopravvivere, fare i conti con i loro Governi. Se è vero che tale rapporto deve essere il migliori possibile, non è meno importante il fatto che ogni governo rispetti l'indipendenza e l'autonomia verso le organizzazioni sportive internazionali. Cooperazione franca e leale ma senza alcuna subordinazione. A questo proposito vorrei parlare di un argomento delicato, l'Apartheid e lo sport. Il CIO fu il primo ad escludere l' Africa del Sud fin dal 1970 dai Giochi per via della sua politica razziale». Questa azione, continuò Samaranch, non fu una mancanza di rispetto verso ciò che un governo decide in piena indipendenza di fare, ma fu una reazione a misure che snaturavano il senso stesso dei principi olimpici e che avrebbero messo in discussione l'esistenza stessa dello sport. Più oltre Samaranch affronta il tema del riconoscimento internazionale del CIO da parte dei vari governi. «Se questo all'inizio è stato un vantaggio perché consentiva una certa indipendenza d'azione, afferma, adesso è diventato un ostacolo. Dopo vari iniziative del CIO volte a superare il problema la Svizzera per prima ha riconosciuto ufficialmente il CIO a livello governativo». Lord Killanin, nella stessa sede in un discorso da Presidente Onorario del CIO, ribadì il rischio che la politica potesse dettare legge in campo sportivo. In riferimento ai passati Giochi di Mosca affermò: «..realizzammo che il movimento olimpico e gli atleti in prima persona, sarebbero stati sacrificati per via dell'azione improvvisata e mal diretta del Presidente degli Stati Uniti che si impegnò a sabotare i Giochi moscoviti, giochi proprietà del CIO e non certo dell'Unione Sovietica. [….] Nonostante il tentativo di usare a fini politici i Giochi di Mosca, penso che ciò si sia rivelato un fallimento» (28). Sono parole coraggiose e dure che ripetono, inasprendolo,un concetto analogo espresso a Montreal 5 anni prima nel luglio 1976 dallo stesso Killanin allora nella sua veste di Presidente del CIO. All'annuncio della non partecipazione dell'Unione Sovietica ai giochi di Los Angeles segui' una intensa serie di incontri nel mese di maggio 1984 tra membri del CIO, Federazioni nazionali e le parti interessate dal ventilato boicottaggio. Il primo giugno a Parigi, nella solenne cornice della Sorbona, in occasione del 90°anniversario del CIO, a 24 ore di distanza dalla chiusura delle iscrizioni ai XXIII Giochi Olimpici apparve chiaro che l' Unione Sovietica non vi avrebbe partecipato. Il Presidente del Comitato Olimpico Francese (CNOSF) Nelson Paillou, tenne un discorso chiaro di condanna delle intrusioni politiche nelle Olimpiadi. «Il Comitato Olimpico francese ha sempre condannato le prese di posizione politiche che possono e dare un colpo mortale all'Olimpismo. Non abbiamo risparmiato gli Stati Uniti nel 1980. Abbiamo preso parte entusiasticamente ai Giochi di Mosca..... Nel 1984 abbiamo sperato fino all'ultimo momento che l'Unione Sovietica sarebbe stata abbastanza generosa da dimenticare il passato e insegnare al mondo come salvare l'Olimpismo andando a Los Angeles. L'Unione Sovietica non ha voluto che questo sogno fosse realizzato». Il presidente Paillou continuò ricordando che il Movimento Olimpico stava attraversando uno dei momenti più dolorosi della sua storia proprio in Francia, patria dei Diritti dell'Uomo, e che stava diventano di estrema importanza trovare riforme dirette a limitare “the increasingly dominating influence of State power”. L'accento era poi posto sul fatto che quelli occorsi nel 1980 e 1984 erano da considerarsi degli incidenti inconcepibili se rapportati alle idee del fondatore del Movimento Olimpico De Coubertin. L'ultima parte del discorso riguardava la prossima candidatura di Seoul nel 1988. Il relatore si chiedeva se non ci si dovesse preoccupare per il contesto politico in cui si sarebbero svolti. La proposta sarebbe stata quella di posporre la candidatura coreana in favore di una città come Barcellona (che in realtà ospiterà i Giochi nel 1992) Il suo discorso fu improntato ad una chiarezza e praticità che mai fino ad ora si erano sentiti in incontri ufficiali del CIO. L'intento era quello di analizzare senza circonlocuzioni gli eventi recenti e di proporre soluzioni adeguate. Per certi versi fu anche una allocuzione spregiudicata al di fuori delle prudenti e contenute dichiarazioni in contesti analoghi. Dopo Paillout prese la parola il Presidente della Repubblica francese François Miterrand, il quale sottolineò la sua condanna nel 1980 della decisione americana di boicottare i Giochi. Condanna motivata dal fatto che la politica non può e non deve vanificare le speranze e gli sforzi dei giovani che hanno dedicato anni alla preparazione di questo evento. In maniera analoga si sentì di condannare la decisione sovietica di boicottaggio. I giochi olimpici andavano difesi da interessi commerciali eccessivi come da esasperati nazionalismi. Miterrand coglieva infine anche l'occasione per rinnovare la proposta di candidatura della Francia per le Olimpiadi del 1992, attribuendo alla nazione francese i meriti di aver promosso lo spirito olimpico a partire da De Coubertin in poi. Dopo un nobile inizio dunque il discorso scese a più mirati interessi di parte. La relazione del Presidente del CIO analizzò le ragioni della mancata adesione dell'Unione Sovietica e di 13 nazioni ideologicamente allineate. Vennero ripercorse tutte le tappe e gli incontri che avevano portato a questa decisione: più volte si ribadì che tutte le richieste da parte sovietica riguardanti soprattutto la sicurezza dei suoi atleti erano state esaudite, ma invano. Alcuni passaggi riguardarono il dramma di molti atleti che non avrebbero potuto partecipare ad un evento unico per cui si erano preparati per anni. Si trattò di un discorso relativamente generico nei toni e nei contenuti, abbastanza distante dalle ferme prese di posizione dei due relatori citati in precedenza. A parziale discolpa va detto che la carica di Presidente del CIO, rappresentante di tutti Comitati Internazionali, deve far capo ad una universalità di opinioni che poco concedono ad una libera espressione di pensiero.
I giochi
L'Ufficialità' della cerimonia di apertura dei Giochi non permise di dedicare troppa attenzione ai problemi irrisolti come il boicottaggio in atto nei vari discorsi di rito. L'unico breve accenno alla questione fu del Presidente Samaranch «Sono sicuro che (gli atleti) gareggeranno secondo i principi del vero spirito Olimpico, della comprensione e fratellanza senza nessuna influenza politica. Tuttavia il nostro pensiero va a quegli atleti che non hanno potuto essere qui». Nei limiti di quello che l'etichetta consente in questa occasione, si tratta comunque di una frase importante recitata in un contesto mondiale.
Dopo i giochi
Dopo la conclusione dei Giochi di Los Angeles si tenne a Losanna un incontro straordinario per analizzare quanto accaduto. La relazione di Samaranch ricordò innanzitutto il grande successo dell'edizione 1984 che aveva rafforzato l'idea di un Movimento Olimpico in grado di far fronte a grandi imprevisti. Il CIO, ricordò il Presidente, era nato per far applicare e custodire i principi del Movimento Olimpico. La sua composizione e la sua struttura furono concepiti per evitare le trappole in cui cadono la maggior parte delle organizzazioni internazionali intergovernative. Questa indipendenza e' garanzia di sopravvivenza ed e' un'arma efficace per la difesa dalle pressioni e dalle tentazioni che ben si conoscono (l'allusione ai recenti fatti politici e' chiara). Il concetto di indipendenza dalla politica occupò tutta la prima parte del discorso e fu ripreso nell'ultima parte a proposito delle edizioni successive. Nella seconda parte si trattò della violazione dei doveri della Carta Olimpica da parte delle Nazioni che nelle ultime 3 edizioni precedenti avevano deciso di non partecipare ai Giochi per svariati motivi e si puntualizzarono alcuni aspetti della Carta stessa. Il discorso si pone in una linea di rinnovamento del CIO e di adeguamento dello stesso all'evolvere dei tempi pur nel rispetto dell'etica alla base del Movimento. Viene fatto riferimento inoltre alla Dichiarazione di Città del Messico del 7, 8 novembre 1984 da parte dei Comitati Olimpici Nazionali che in 22 punti pone le basi per una svolta del Movimento Olimpico. Tra l'altro al punto 5 dichiarano che «la partecipazione ai giochi olimpici e' un diritto fondamentale per un atleta e domandano ai Comitati Olimpici Nazionali di prendere tutte le disposizioni necessarie perché tale diritto sia garantito conformemente alla Carta Olimpica».

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